Ordinanza n. 289 del 2004

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ORDINANZA N. 289

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-   Gustavo                                 ZAGREBELSKY                 Presidente

-   Valerio                                   ONIDA                                  Giudice

-   Carlo                                      MEZZANOTTE                    "

-   Fernanda                                CONTRI                                "

-   Guido                                     NEPPI MODONA                "

-   Piero Alberto                         CAPOTOSTI                         "

-   Annibale                                MARINI                                "

-   Franco                                    BILE                                      "

-   Giovanni Maria                      FLICK                                               "

-   Francesco                               AMIRANTE                          "

-   Ugo                                        DE SIERVO                          "

-   Romano                                 VACCARELLA                   "

-   Paolo                                      MADDALENA                     "

-   Alfio                                      FINOCCHIARO                   "

-   Alfonso                                  QUARANTA                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 26 settembre 1985, n. 482 (Modificazioni del trattamento tributario delle indennità di fine rapporto e dei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita), e dell’art. 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) promosso con ordinanza del 3 febbraio 2003 dalla Commissione tributaria regionale di Roma sul ricorso proposto da Tardiola Angela contro l’Ufficio delle entrate di Roma 4, iscritta al n. 556 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2004 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto che con ordinanza del 3 febbraio 2003, emessa nel corso di un giudizio promosso da Angela Tardiola, collocata in quiescenza nel 1995, tendente ad ottenere il rimborso della somma complessiva di £ 2.087.000, quale IRPEF pretesamente trattenuta indebitamente sulla indennità di fine rapporto, la Commissione tributaria regionale di Roma, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 della legge 26 settembre 1985, n. 482 (Modificazioni del trattamento tributario delle indennità di fine rapporto e dei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita), e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), là dove prevedono, ai fini del reddito imponibile, l’applicazione, sul trattamento di fine rapporto, della franchigia di £ 500.000 all’anno a partire dal 1983 (essendo la legge del 1985 retroattiva per due anni), sempre uguale per ciascun anno preso a base di commisurazione, senza alcuna rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, malgrado l’inflazione verificatasi in tale arco di tempo;

che, secondo il giudice rimettente, la questione in esame, analoga a quella decisa, con la sentenza n. 126 del 1979, dalla Corte costituzionale, riguardante l’abbattimento dell’incremento di valore annuo degli immobili ai fini dell’INVIM, deve essere identicamente decisa;

che con la richiamata decisione la Corte avrebbe bensì riconosciuto al legislatore (nel quadro del principio costituzionale secondo cui "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva") la più ampia discrezionalità nel prendere in considerazione gli effetti di una rilevante svalutazione monetaria (quale quella verificatasi in Italia nel corso degli anni ottanta); ma avrebbe altresì ritenuto violato il principio di uguaglianza tutte le volte che proprio la predetta scelta – discrezionale, ed in sé insindacabile in sede di legittimità costituzionale – si traduca poi in norme di legge che ne diano in concreto delle applicazioni irrazionali ed inique;

che il principio espresso dalla Corte costituzionale, ad avviso del remittente, può trovare applicazione anche al caso in esame, in cui la controversia riguarda, in tema di IRPEF, una "franchigia" uguale anno per anno, introdotta proprio allo scopo di contenere l’importo aritmetico dell’imposta, tenendo conto del trascorrere del tempo e della sua influenza sul valore della moneta;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto la declaratoria di infondatezza della questione.

Considerato che la questione sollevata dalla Commissione tributaria regionale di Roma investe gli artt. 2 della legge 26 settembre 1985, n. 482 (Modificazioni del trattamento tributario delle indennità di fine rapporto e dei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita), e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella parte in cui non prevedono la rivalutazione, in rapporto all’andamento dell’inflazione, della franchigia di £ 500.000 (pari ad € 258,23) all’anno sull’imponibile del trattamento di fine rapporto, ed è sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del principio di uguaglianza, perché, a seconda degli anni in cui si consegue il trattamento di fine rapporto, si riceverebbe un trattamento fiscale più o meno favorevole;

che in materia tributaria si applica la norma in vigore nel momento in cui l’imposta deve essere versata e che al momento in cui la contribuente ha dovuto pagare l’IRPEF sul trattamento di fine rapporto (anno 1995) era in vigore il solo art. 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917;

che, pertanto, deve dichiararsi la manifesta inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione di costituzionalità dell’art. 2 della legge n. 482 del 1985, per non essere la predetta norma in vigore al momento in cui la contribuente ha pagato l’imposta;

che, secondo il remittente, con riferimento all’art. 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, "il legislatore ha sì deciso, nella sua autonomia, di tenere conto degli effetti distorsivi che l’inflazione cagiona nel rapporto economico e fiscale in esame; ma poi, applicando ad un rapporto che si sviluppa in un lungo arco di tempo una franchigia fissa anno per anno, senza tener conto degli indici ISTAT, finisce – irrazionalmente ed iniquamente – col sottoporre i contribuenti ad una disciplina che viola il principio della parità fra cittadini", con la conseguenza che dovrebbe applicarsi, anche nella specie, il principio enunciato nella sentenza n. 126 del 1979, che, in materia di INVIM, ha affermato che è irragionevole e viola i principi di capacità contributiva e di eguaglianza la mancata introduzione di correttivi adeguati alla diversità dei periodi di formazione per la determinazione dell’incremento di valore imponibile e di un regime di detrazioni diversamente commisurate al graduale aumento del valore dell’immobile nel corso del tempo;

che rientra nella discrezionalita` del legislatore prevedere se si debba o non si debba tenere conto degli effetti conseguenti ai processi di svalutazione monetaria in sede di applicazione delle diverse imposte dirette o indirette, conseguendone che tale scelta politica non può considerarsi sindacabile da parte della Corte costituzionale, sempre che non comporti la violazione di qualche principio costituzionale ovvero non determini un travalicamento del normale ambito di discrezionalita` che la Costituzione riserva alle scelte del legislatore ordinario (ex plurimis, sentenze n. 126 del 1979; n. 338 del 1987; n. 172 del 1988);

che il principio espresso dalla sentenza n. 126 del 1979 non è applicabile alla fattispecie, dovendosi rilevare che l’IRPEF sul trattamento di fine rapporto – al contrario dell’INVIM – tiene conto dell’inflazione tramite il disposto dell’art. 2120 cod. civ., che prevede appunto un adeguamento del trattamento di fine rapporto in relazione all’aumento dei prezzi registrato dall’ISTAT, con la conseguenza che, anche se la detrazione fiscale determinata dalla franchigia sarà ogni anno inferiore per effetto dell’inflazione, il risultato finale sarà comunque, per ogni anno, quello di un trattamento di fine rapporto maturato maggiore rispetto all’anno precedente;

che solo in apparenza è evidente la vicinanza tra i due sistemi di tassazione accostati dal giudice rimettente, dal momento che, seppure in entrambi l’inflazione con il tempo gioca a favore dell’erario e a sfavore del contribuente e in entrambi è previsto un meccanismo di franchigia il cui tasso fisso non permette di adeguare correttamente l’imposta all’inflazione, nell’INVIM il sistema delle detrazioni si pone proprio lo scopo di risolvere il problema dell’inflazione, mentre nell’IRPEF sul trattamento di fine rapporto la funzione della franchigia non è quella di adeguare la base imponibile all’inflazione, ma semplicemente di rendere meno gravosa l’imposta stessa;

che nel caso dell’IRPEF sul trattamento di fine rapporto esiste, per adeguare il trattamento di fine rapporto stesso al’inflazione, il meccanismo previsto dall’art. 2120 cod. civ., mentre nell’INVIM l’unico sistema correttivo è costituito dalle detrazioni, oggetto della pronuncia di incostituzionalità del 1979, con la conseguenza che se la funzione della franchigia nel caso del trattamento di fine rapporto non è quella di adeguare l’imposta all’inflazione, non si può lamentare la violazione del principio di uguaglianza per il diverso effetto dell’inflazione a seconda degli anni;

che nel caso dell’IRPEF sul trattamento di fine rapporto la violazione del principio di uguaglianza non può fondarsi invocando la mancata considerazione degli effetti negativi dell’inflazione, perché di quest’ultima tiene conto l’art. 2120 cod. civ. e la franchigia di £ 500.000 svolge solo il ruolo di mitigare l’imponibile a fini sociali;

che infatti una cosa è, come nell’INVIM, pagare un’imposta su un reddito che in realtà non c’è stato (o c’è stato solo in parte), un’altra è avere una detrazione più o meno consistente su di un reddito che invece è stato percepito per intero;

che, attesa la diversità di disciplina dell’INVIM rispetto all’IRPEF sul trattamento di fine rapporto e di operatività della franchigia nelle due imposte, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale perché la scelta operata dal legislatore non viola alcun principio costituzionale e non può farsi applicazione dei principi enunciati dalla sentenza n. 126 del 1979.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 26 settembre 1985, n. 482 (Modificazioni del trattamento tributario delle indennità di fine rapporto e dei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Roma, con l’ordinanza in epigrafe;

2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Roma, con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,

il 13 luglio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2004.