Sentenza n. 126 del 1979
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SENTENZA N. 126

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Avv. Leonetto AMADEI , Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 2, 4, 6, 7, 14, 15 e 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili) e dell'art. 8 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, promossi con ordinanze 8 febbraio 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Udine, 9 marzo 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Isernia, 26 aprile 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia, 3 maggio 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Grosseto, 4 e 18 marzo 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Aosta, 11 aprile 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Salerno, 24 febbraio 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Verona, 26 aprile 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Roma, 1 giugno 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Trento, 5 aprile 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Biella, 28 giugno 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Rovigo, 11 maggio 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Udine, 10 aprile 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Pisa, 12 giugno 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Busto Arsizio, 10 marzo e 24 febbraio 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Verona, 24 febbraio 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Milano, 8 giugno 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, 13 luglio 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, 17 febbraio 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Imperia, 4 luglio 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Ravenna, 19 luglio 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Tolmezzo, 21 aprile 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Avellino, 13 maggio 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Ascoli Piceno, 10 aprile 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Firenze, 5 ottobre 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Tortona, 14 ottobre 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Matera, 17 ottobre 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Cremona, 12 maggio 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Lucera, 15 novembre 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Cremona, 28 settembre 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, 16 ottobre 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Bergamo, 5 dicembre e 14 novembre 1978 della Commissione tributaria di secondo grado di Ravenna e 22 giugno 1978 della Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, iscritte rispettivamente ai nn. 251, 374, 376, 385, 400, 401, 412, 413, 421, 431, 459, 461, 487, 488, 500, 503, 528, 529, 546, 567, 571, 572, 585, 586, 587, 588, 589, 598, 599, 615, 631, 643, 661 e 673 del registro ordinanze 1978 e ai nn. 24, 31, 32, 38, 61, 67, 68, 73, 89, 97, 98, 99, 100, 101 e 108 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 215, 293, 300, 313,320,341 dell'anno 1978 e nn. 3, 10, 17, 24, 31, 38, 45, 52, 59, 73, 80 e 87 dell'anno 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1979 il Giudice relatore Guido Astuti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Le questioni di costituzionalità della normativa sulla istituzione dell'imposta sull'incremento di valore degli immobili (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643), sollevate con sessantasei ordinanze emesse da varie Commissioni tributarie relativamente agli artt. 2, primo comma, 3, 4, 6, 7, 11, 14 e 15 di quella legge, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 Cost., sono state già esaminate dalla Corte nella udienza pubblica del 9 novembre 1977; in quella occasione, mentre venivano dichiarate, con sentenza n. 8 del 1978, non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma, 7 e 15 lett. e del citato d.P.R., sollevate dalla Commissione tributaria di secondo grado di Trento in riferimento all'art. 76 Cost., venivano restituiti ai giudici con ordinanza n. 9/1978 gli atti relativi alle altre ordinanze per un nuovo esame sulla rilevanza, essendo nel frattempo entrato in vigore l'art. 8 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, che aveva apportato modifiche alla normativa sull'INVIM; con successiva ordinanza n. 67 dello stesso anno venivano, con la medesima motivazione, restituiti ai giudici gli atti relativi ad altre ordinanze di eguale contenuto nel frattempo pervenute alla Corte.

Le ordinanze ora all'esame ripropongono per la massima parte le stesse questioni già proposte.

2. - La Commissione tributaria di secondo grado di Udine, nel corso di una controversia promossa da Blasich Sergio, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 14 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (e successive modifiche) e dell'art. 8 della legge 16 dicembre 1977, n. 904. Ad avviso della Commissione le norme impugnate violerebbero i principi della capacità contributiva e della parità tributaria disponendo che l'incremento di valore imponibile venga ricavato dalla differenza tra il valore iniziale e quello finale, calcolati in termini monetari, senza tenere conto della intervenuta svalutazione della moneta, consentendo detrazioni annue non ragguagliate alla misura del tasso di inflazione e prevedendo una percentuale diversa di detrazione per il periodo dal 1 gennaio 1973 al 31 dicembre 1979, con conseguente sperequazione tra i soggetti passivi dell'imposta.

Identiche questioni sono state sollevate dalla Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia sul ricorso proposto da Ligabue Vincenzo; dalla Commissione tributaria di secondo grado di Rovigo, sui ricorsi proposti dalle Società di Credito italiano e Assicurazioni Generali; dalla Commissione tributaria di primo grado di Verona, sul ricorso proposto dalla Società italiana per l'industria degli zuccheri e sui ricorsi riuniti proposti dal Banco di Napoli nonché su quelli proposti dalla Società Cattolica di Assicurazione; dalla Commissione tributaria di primo grado di Imperia sul ricorso proposto da Ragogna Mario e altri; dalla Commissione tributaria di secondo grado di Ravenna, sul ricorso proposto dall'Ufficio del Registro di Ravenna e dalla Società Reale Mutua Assicurazioni di Torino; dalla Commissione tributaria di secondo grado di Avellino sul ricorso proposto dall'Ufficio del Registro di Avellino; dalla Commissione tributaria di secondo grado di Bergamo, sul ricorso proposto dall'Ufficio del Registro di Romano di Lombardia; dalla Commissione tributaria di secondo grado di Ravenna, sul ricorso proposto da Pepe Vito e sui ricorsi proposti dalla Società Cattolica di Assicurazione di Verona e dalla Società Assicuratrice Industriale.

La medesima questione, in riferimento però al solo art. 53 Cost., é stata sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Grosseto, sul ricorso proposto da Gori Savellini Eleonora ed altra; dalla Commissione tributaria di primo grado di Aosta, sui ricorsi proposti da Droz Augusto ed altro e da Ponzellini Celestino ed altra; dalla Commissione tributaria di secondo grado di Udine, sul ricorso proposto da Masetti Zanini de Concina Franca; dalla Commissione tributaria di primo grado di Busto Arsizio, sul ricorso proposto da Rossini Giovanni; dalla Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, sui ricorsi proposti da Simoncello Alfredo e Rossi Giancarlo; dalla Commissione tributaria di primo grado di Tolmezzo, sui ricorsi proposti da Fornasier Ersilia ed altri e da Seno Fabrizio; dalla Commissione tributaria di primo grado di Ascoli Piceno, sul ricorso proposto da Crisi Aulo; dalla Commissione tributaria di primo grado di Tortona, sui ricorsi riuniti proposti da Salvarezza Anna e altro e sul ricorso proposto da Dellachà Adolfo; dalla Commissione tributaria di primo grado di Matera sui ricorsi proposti da Volpe Annunziata ed altri e da Di Cesare Pasqua; dalla Commissione tributaria di primo grado di Cremona, sui ricorsi proposti da Superti Gandolfi Elsa, da Carini Rino e dall'Ufficio del Registro di Crema; dalla Commissione tributaria di primo grado di Lucera, sul ricorso proposto da De Santis Francesco; della Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, sul ricorso proposto da Hausbrandt Ermanno ed altro.

Le stesse questioni sono state sollevate anche dalla Commissione tributaria di primo grado di Pisa, sul ricorso proposto da Corsi Aldo, che ha altresì rilevato che l'art. 6 del d.P.R. n. 643 introdurrebbe una ulteriore disparità di trattamento in danno dei proprietari di aree fabbricabili, non solo per avere fissato aliquote di imposta diverse rispetto a quelle che erano previste dalla legge sulla imposta sull'incremento di valore delle aree fabbricabili, ma anche per avere previsto un momento iniziale per la determinazione del valore diverso rispetto a quello stabilito per i proprietari di altri beni immobili.

Identiche questioni sono state sollevate anche dalla Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, sui ricorsi proposti dalla Cassa di Risparmio di Trieste ed altra; dalla Commissione tributaria di secondo grado di Milano, sui ricorsi proposti da Peroni Gelmino ed altri, che hanno eccepito altresì la violazione dell'art. 42 Cost. perché la disciplina in questione avrebbe l'effetto di colpire il patrimonio, risolvendosi in una parziale espropriazione senza indennità.

All'art. 42 Cost. hanno fatto riferimento ancora la Commissione tributaria di secondo grado di Roma, sul ricorso proposto da Lorenzi Gioacchino, che ha rilevato la illegittimità dell'art. 6 d.P.R. n. 643 anche nella parte in cui dispone che ai fini della determinazione dell'incremento di valore imponibile debbono assumersi i valori accertati nelle precedenti tassazioni, senza possibilità di fare riferimento ai valori reali; e la Commissione tributaria di primo grado di Isernia, sui ricorsi proposti da Pontarelli Giovanni ed altro: tutte hanno altresì impugnato l'art. 15 dello stesso d.P.R. in quanto la progressività delle aliquote - per scaglioni di incremento imponibile - ivi prevista, prescindendo da ogni riferimento di carattere temporale, si risolve in un trattamento discriminatorio ai danni di coloro che alienano beni a notevole distanza dal momento dell'acquisto.

La Commissione tributaria di Isernia ha rilevato la violazione dell'art. 3 Cost. anche con riferimento all'art. 14 del d.P.R. n. 643, perché l'applicazione della detrazione ivi prevista viene a privilegiare ingiustamente chi effettua vendite ravvicinate nel tempo.

La violazione anche dell'art. 15 dello stesso d.P.R., in riferimento ai soli artt. 3 e 53 Cost., é stata altresì rilevata dalla Commissione tributaria di secondo grado di Firenze che, sui ricorsi riuniti proposti da Pucci Giannozzo ed altri, ha rilevato, in relazione all'art. 6, anche una ulteriore violazione dell'art. 3 Cost. consistente nella disparità di trattamento non in base a una diversa capacità contributiva, bensì con esclusivo riferimento al tempo, con la conseguenza di favorire le alienazioni effettuate, con intento speculativo, dopo poco tempo dall'acquisto; inoltre dalla Coinmissione tributaria di primo grado di Salerno sui ricorsi proposti da Carpinelli Attilio e Alfano Pellegrino ed altra, ma sotto il profilo che l'attribuzione ai Comuni della determinazione delle aliquote comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i cittadini.

La (sola) violazione dell'art. 15 del d.P.R. n. 643 é stata inoltre rilevata, con riferimento agli artt. 3, 53 e 42 Cost., dalla Commissione tributaria di primo grado di Trento, sul ricorso proposto da Rossi Giuseppe. Infine la Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, sul ricorso proposto dalla Banca Antoniana di Padova e di Trieste, ha sollevato questione di costituzionalità degli artt. 6, 14, 15, 16 del d.P.R. n. 643 e 8 della legge n. 904, e sui ricorsi proposti dalla S.p.A. Laon ed Italcantieri, degli artt. 2, 4, 6, 7, 14 e 15 dello stesso d.P.R. e 8 della stessa legge, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto l'imposta de qua finisce per colpire il patrimonio anziché l'incremento del valore conseguito dal bene.

Da ultimo la Commissione tributaria di primo grado di Biella, sul ricorso proposto da Berghino Giovanni ed altra, ha sollevato la violazione degli artt. 6 e 14 del d.P.R. n. 643 e 8 della legge n. 904 in riferimento, oltre che all'art. 53 Cost., nei sensi di cui alle precedenti ordinanze, anche all'art. 47 Cost. in quanto dette norme, fondando il prelievo tributario su un aumento fittizio della capacità contributiva con conseguente assoggettamento ad imposta del bene in sé, ostacola la tutela del risparmio.

3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, in tutti i giudizi, ad eccezione di quelli relativi alle ordinanze emesse dalle Commissioni di primo grado di Salerno (reg. ord. numeri 412,413/78), di Pisa (n. 503/78), di Gorizia (n. 68/79) e dalle Commissioni di secondo grado di Avellino (n. 615/78) e di Ravenna (n. 89/79).

In primo luogo é stata eccepita la non rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge n. 904 del 1977, sollevata dalla Commissione tributaria di secondo grado di Udine, non potendo trovare detta norma applicazione in quel giudizio.

Richiamando poi le considerazioni già svolte per l'udienza del 9 novembre 1977, l'Avvocatura ha affermato la piena legittimità costituzionale della normativa INVIM, necessariamente inserita in un ordinamento giuridico che é fondato sul principio nominalistico della moneta, e diretta alla tassazione di una particolare capacità contributiva su cui la svalutazione della moneta non produce effetti diversi da quelli che sono naturalmente pregiudizievoli per tutti i cittadini. Nell'ambito della propria discrezionalità il legislatore, introducendo nel sistema la previsione contenuta nell'art. 8 della legge n. 904, ha attenuato l'incidenza dell'INVIM proprio per mantenere esclusi dalla tassazione gli incrementi di valore soltanto nominali. Infine l'ammontare della detrazione é senz'altro equo, deduce l'Avvocatura, in relazione agli scopi per cui é stata disposta tenuto conto: a) della impossibilità di applicare al solo commercio degli immobili un indice di svalutazione desunto da ogni altro aspetto della economia; b) della necessità di evitare che gli immobili ed in particolare le aree fabbricabili siano sottratti, quali beni rifugio, al loro naturale impiego per il soddisfacimento delle più elementari esigenze della collettività.

Nessuna parte privata si é costituita.

Considerato in diritto

1. - Le 49 ordinanze di rimessione elencate in epigrafe sollevano questioni sostanzialmente identiche o strettamente connesse, e pertanto i giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

Come analiticamente precisato nelle premesse in fatto, é generalmente denunciata - in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. (o al solo art. 531, nonché da alcune ordinanze anche agli artt. 42 e 47 Cost. - la illegittimità costituzionale degli artt. 6 e 14 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 e successive modificazioni, e dell'art. 8 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, sotto un duplice ordine di profili.

In primo luogo, si osserva nelle ordinanze che le ricordate disposizioni relative alla determinazione dell'incremento di valore imponibile, e delle detrazioni da tale incremento in rapporto al tempo intercorso tra la data di acquisto o di riferimento e quella di alienazione o trasmissione degli immobili, non consentirebbero adeguato apprezzamento dell'incidenza della svalutazione monetaria, sottoponendo così all'imposizione plusvalenze nominali e non reali, in contrasto con i principi della capacità contributiva e dell'eguaglianza tributaria. Con varia prospettazione, si rileva che a norma dell'art. 6 del d.P.R. n. 643/1972 vengono assunti come valore iniziale e come valore finale degli immobili due valori di stima stabiliti in termini monetari non omogenei, per effetto del mutato e decrescente potere d'acquisto della lira nel corso del tempo, senza correttivi idonei a depurare il valore differenziale della misura di incremento dipendente solo dalla svalutazione della moneta, talché il tributo si risolverebbe, almeno in parte, in una "imposta sull'inflazione"; si osserva che assumendosi per la determinazione dell'incremento imponibile i valori accertati nelle precedenti tassazioni, senza possibilità di riferimento ai valori reali, si verificherebbe ulteriore violazione del principio della capacità contributiva; che, in fine, le detrazioni applicate ai valori iniziali, nelle percentuali stabilite, per ogni anno o frazione di anno superiore al semestre, dall'art. 14 del d.P.R. n. 643 del 1972 e dall'art. 8 della legge n. 904/1977, aventi funzione mitigatrice differenziata della progressività del tributo e comunque inadeguate rispetto alla svalutazione effettivamente verificatasi, non consentirebbero una corretta applicazione del tributo agli effettivi incrementi di valore degli immobili.

Ne conseguirebbe una sorta di imposizione patrimoniale mascherata e distorta, applicata a singoli soggetti in occasione dell'alienazione a titolo oneroso o dell'acquisto a titolo gratuito, nonché alle società ed enti pubblici e privati di cui all'art. 3 del d.P.R. n. 643/1972 e successive modificazioni, anche al compimento di ciascun decennio dalla data dello acquisto; imposizione che determinerebbe lesione non solo dei principi sanciti dagli artt. 3 e 53 Cost. ma anche di quelli enunciati negli artt. 42 e 47, comportando una parziale espropriazione di fatto senza indennizzo, e contrastando con le istanze di tutela del risparmio, specie in ordine all'accesso alla proprietà dell'abitazione.

2. - In secondo luogo, con richiamo anche al regime delle aliquote stabilito dall'art. 15 del d.P.R. n. 643/1972 di cui alcune ordinanze denunciano la incostituzionalità, viene altresì rilevata la violazione del principio di eguaglianza, prospettando, in relazione al meccanismo dell'accertamento e delle detrazioni, nonché alla progressività delle aliquote da applicarsi per scaglioni d'incremento imponibile determinati con riferimento al valore iniziale dell'immobile, maggiorato delle spese di acquisto, incrementative e di costruzione, diversi profili di disparità di trattamento tra i soggetti passivi del tributo. Tale disparità é ravvisata anzitutto nel fatto che le aliquote progressive per scaglioni di incremento imponibile, prescindendo da ogni riferimento di carattere temporale, determinerebbero nell'applicazione dell'imposta un onere fiscale più elevato per i trasferimenti immobiliari che si verificano a maggior distanza di tempo dalla data dell'acquisto, o, per gli acquisti verificatisi oltre un decennio prima dell'entrata in vigore del decreto istitutivo del nuovo tributo, dal 1 gennaio 1963; e ciò anche per effetto della fissità della percentuale delle detrazioni annue riferite al valore iniziale degli immobili, per cui, di fronte al graduale incremento del loro valore nel decorso del tempo, l'incidenza delle detrazioni risulta via via decrescente.

Oltre che in relazione al diverso periodo di tempo considerato per la determinazione della differenza tra valore iniziale e valore finale, la disparità di trattamento viene prospettata anche in relazione alla diversa frequenza delle fattispecie di trasferimento degli immobili, nonché alla diversa misura delle percentuali di detrazione per il periodo anteriore al 31 dicembre 1972 e per quello successivo, fino al 31 dicembre 1979.

3. - L'ordinanza n. 503/1978 della Commissione tributaria di primo grado di Pisa rileva una ulteriore disparità di trattamento in danno dei proprietari di aree fabbricabili, sia per il riferimento ad un momento iniziale diverso da quello stabilito per gli altri beni immobili, dovendosi per dette aree considerare il valore che esse avevano alla diversa data stabilita con le deliberazioni previste dagli artt. 5 e 25 della legge 5 marzo 1963, n. 246, sia anche per la maggior misura delle aliquote rispetto a quelle già previste dalla legge istitutiva dell'imposta sull'incremento di valore delle aree fabbricabili.

La illegittimità costituzionale dell'art. 15 del d.P.R. numero 643/1972 é denunciata sotto un diverso profilo dalle ordinanze nn. 412 e 413/1978 della Commissione tributaria di primo grado di Salerno, in quanto la norma, demandando ai comuni la concreta determinazione della misura delle aliquote da applicarsi per scaglioni di incremento imponibile, creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i contribuenti, potendo essere colpito con aliquote diverse uno stesso incremento di valore di immobili contigui ma situati in territorio di comuni diversi, e potendosi altresì verificare l'adozione di aliquote più elevate, per particolari esigenze della finanza locale, in zone economicamente più depresse, con violazione dei principi di eguaglianza e di capacità contributiva.

Deve infine ricordarsi che la Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, con le ordinanze nn. 585, 586, 587/1978 e n. 108/1979, ha denunciato, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali sopraindicati, oltre agli artt. 6, 14 e 15 del d.P.R. n. 643/1972, anche gli artt. 2, 4, 7 e 16, senza specifica motivazione in ordine alle disposizioni richiamate.

4. - Nei giudizi elencati in epigrafe (ad eccezione di quelli promossi con le ordinanze nn. 412, 413, 503, 615/1978 e nn. 68, 89/1979), é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, la infondatezza di tutte le questioni proposte. L'imposta é legittimamente diretta a colpire la specifica capacità contributiva corrispondente all'accrescimento di valore degli immobili per effetto di mutate condizioni oggettive e di mercato, da cui la proprietà immobiliare privata ha tratto gratuito beneficio. L'incidenza della svalutazione sull'incremento dei valori immobiliari non potrebbe determinare di per sé lesione del principio della capacità contributiva, in quanto l'apprezzamento dei suoi effetti, specie in materia tributaria, può essere oggetto soltanto di eventuali scelte politiche rimesse in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore ordinario, e non sindacabili in sede di controllo di costituzionalità delle leggi. Agli effetti pregiudizievoli dell'inflazione, che in varia misura colpisce la generalità dei cittadini possessori di altri beni, valori e redditi mobiliari, non può pretendersi che siano sottratti proprio gli immobili rustici e urbani, beni diretti alla soddisfazione di fondamentali esigenze sociali, come l'agricoltura e l'abitazione. D'altra parte, le detrazioni previste dall'art. 14 del d.P.R. n. 643/1972, aumentate dal 4 al 10% per il periodo 1973-1979 con l'art. 8 della legge n. 504 del 1977, costituiscono correttivo idoneo ad assorbire almeno in parte gli incrementi dovuti allo slittamento del potere d'acquisto della lira, e la misura di tali detrazioni é comunque oggetto di un giudizio insindacabile del legislatore. Gli incrementi di valore in concreto realizzati dai soggetti passivi dell'imposta costituirebbero pertanto un sicuro indice di capacità contributiva; né potrebbero ravvisarsi disparità di trattamento nell'applicazione dell'imposta per effetto della sua diversa incidenza nei confronti di situazioni soggettivamente ed oggettivamente diverse.

L'Avvocatura dello Stato ha eccepito la non rilevanza della questione di costituzionalità dell'art. 8 della legge numero 904/1977, sollevata dalla Commissione tributaria di secondo grado di Udine con l'ordinanza n. 251/1978, non potendo detta norma trovare applicazione in quel giudizio, in relazione alla data dell'atto di trasferimento a cui era stata applicata l'imposta. L'eccezione é fondata, e deve essere accolta; ma ciò non esonera questa Corte dall'esame della questione in relazione alle numerose ordinanze concernenti giudizi per la cui decisione essa risulta sicuramente rilevante.

5. - Scendendo all'esame delle diverse questioni, giova premettere qualche considerazione circa l'oggetto e i presupposti del tributo, per un corretto approccio di fronte a taluni rilievi critici tanto banali quanto diffusi, che in alcune ordinanze di rimessione hanno trovato immeritato accoglimento.

L'esigenza della imposizione fiscale sull'incremento di valore degli immobili non é certo una novità, né una singolarità del vigente sistema tributario italiano. Oltre al rilievo attribuito alle plusvalenze in genere, all'atto della realizzazione o della iscrizione in bilancio, ai fini delle imposte dirette, in quanto esse siano ricollegabili a finalità speculative, reali o presunte, in molti Paesi é stata largamente riconosciuta, fin dal secolo scorso, l'esigenza di assoggettare a prelievo fiscale l'effettiva variazione del valore di mercato dei beni immobili, e in specie dei terreni fabbricabili, in quanto non ricollegabile ad iniziative, attività ed investimenti dei proprietari, ma derivante dalla espansione degli agglomerati urbani, da nuovi insediamenti industriali o turistici, e dal complesso delle opere pubbliche connesse a tali sviluppi, nonché da contingenti e spesso imponenti fenomeni di speculazione immobiliare.

Senza ricordare altri esempi ben noti nella legislazione straniera ed anche italiana, sarà qui sufficiente far richiamo agli immediati precedenti dell'imposta ora in vigore: il contributo di miglioria generica, disciplinato dagli artt. 236 e seguenti del t.u. per la finanza locale, approvato con r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, e la imposta sull'incremento di valore delle aree fabbricabili, istituita con la legge 5 marzo 1963, n. 246, in correlazione con l'accelerata espansione urbanistica verificatasi nel nostro Paese nel periodo della ricostruzione post-bellica e con i connessi cospicui fatti speculativi, spesso contrastanti con le esigenze di sviluppo dell'edilizia economica e popolare.

Non é quindi possibile porre in dubbio la giustificazione fondamentale dell'imposta di cui é causa, diretta a colpire incrementi di valore non di rado vistosi, dovuti al concorso di fattori oggettivi, o esterni, indipendenti da iniziative dei singoli soggetti privati, e in larga misura legati all'insieme dei lavori e servizi pubblici eseguiti a spese dello Stato e degli enti locali, talché gli incrementi in questione sono stati qualificati da autorevoli studiosi dell'economia politica come "valore pubblico", pertinente alla collettività e non ai privati proprietari che pur ne traggono gratuito beneficio.

Questo incremento dei valori immobiliari, che di per sé costituisce sicuro indice di capacità contributiva, riceve ulteriore impulso dalla svalutazione della moneta, impulso tanto maggiore quanto più intenso e rapido si manifesta il processo inflattivo. Ed é ovvio che l'incidenza della svalutazione assume particolare rilievo, in rapporto alla pressione fiscale, sia quando trattisi di imposte caratterizzate da progressività di aliquote, sia soprattutto quando il tributo, come accade appunto per l'INVIM, venga applicato sulla base d'un valore imponibile determinato dalla differenza tra due valori monetari accertati in tempi diversi, ossia corrispondenti a monete aventi diverso potere d'acquisto.

6. - Da questa constatazione non consegue tuttavia che la presenza del fattore inflattivo debba costituire ostacolo alla applicazione d'una imposta sul plusvalore degli immobili, né che il legislatore possa essere tenuto a depurare gli incrementi di valore imponibile della componente imputabile alla svalutazione della moneta, mediante formule di indicizzazione o di integrale rivalutazione, in contrasto con i principi a cui si ispira non solo il vigente sistema tributario, ma l'intero regime delle obbligazioni pecuniarie, corrispondente alle esigenze di una economia sviluppata in cui la moneta é indispensabile misura dei valori di mercato.

Con ciò non si intende ovviamente escludere che il legislatore possa o, in casi di particolare gravità, debba tener conto degli effetti conseguenti ai processi di svalutazione monetaria, per correggere o eliminare conseguenze inique o eccessivamente onerose, sia nella disciplina dei rapporti tra soggetti privati, sia in quella relativa alle obbligazioni tributarie. Questo é di fatto avvenuto anche nel nostro Paese, e non occorre ricordare qui esempi ben noti di interventi legislativi più o meno recenti, diretti a ricondurre ad equità rapporti giuridici pubblici e privati, o almeno ad attenuare talune conseguenze più gravi del deprezzamento della moneta avente corso legale. Ma questi interventi sono stati sempre il frutto di scelte politiche, riservate alla discrezionalità del potere legislativo, al quale compete di provvedere in sì delicata materia, sulla base di valutazioni di ordine politico, sociale, economico, finanziario, che sfuggono di massima al sindacato di legittimità affidato a questa Corte.

Anche nel campo della legislazione tributaria questa discrezionalità di scelte politiche non é contestabile, sia sul piano generale della distribuzione del carico fiscale tra le diverse categorie di contribuenti, sia su quello settoriale dell'applicazione delle diverse imposte dirette e indirette. E per quanto concerne in specie il tributo di cui é causa, mentre appare incontestabile la piena legittimità della imposizione diretta a colpire gli effettivi incrementi di valore degli immobili, deve altresì ritenersi non sindacabile in questa sede la disciplina normativa dei presupposti e criteri di applicazione del tributo, in relazione agli effetti della svalutazione della moneta, nemmeno sotto il profilo di una sopravvenuta incostituzionalità. Del resto, il legislatore nella statuizione dei criteri per la determinazione dell'incremento di valore imponibile non ha ignorato il fenomeno della svalutazione, anzi, - come risulta dai lavori parlamentari e in specie dalle relazioni sul decreto delegato istitutivo del tributo e sulla successiva legge n. 904 del 1977 -, ha introdotto le detrazioni del 4% e poi del 10% annuo, anche nel fine, seppure non esclusivo, di "assorbire gli incrementi attribuibili allo slittamento della moneta".

Così stando le cose, deve ritenersi non fondata la questione di costituzionalità proposta in riferimento all'art. 53 Cost., sotto il profilo della mancanza di un congegno di integrale conguaglio monetario tra valore iniziale e valore finale, idoneo a depurare la base imponibile netta dell'incremento dovuto alla svalutazione. Il principio sancito dal Costituente, per cui "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva", - principio che si ricollega ad una solenne enunciativa contenuta già nell'articolo 25 dello Statuto albertino, e di cui questa Corte ha più volte chiarito il significato -, non può sicuramente dirsi violato solo per il fatto che una fluttuazione del valore della moneta abbia accresciuto l'incidenza fiscale di un tributo, pur nella incontestabile presenza di una effettiva capacità del contribuente. Anche la semplice sussistenza di effetti distorsivi nell'applicazione di una imposta, imputabile alla svalutazione monetaria, non può, di regola, considerarsi di per sé costituzionalmente rilevante e quindi sindacabile, sempreché tali effetti non comportino la violazione di qualche principio costituzionale, ovvero non determinino un sicuro travalicamento del normale ambito di discrezionalità che la Costituzione riserva alle scelte del legislatore ordinario.

7. - Infondata sotto il profilo dianzi esaminato, in riferimento al parametro fornito dall'art. 53 Cost., la questione deve peraltro dichiararsi fondata sotto il secondo e diverso profilo della violazione del principio di eguaglianza, comunemente prospettata dalle ordinanze di rimessione nei termini già sopra riferiti al n. 2, e con espresso richiamo a diverse concrete situazioni di disparità di trattamento.

Se, come già si é ricordato, spetta al legislatore di valutare quando e come si debba tener conto della incidenza della svalutazione della moneta nell'applicazione di un tributo, non v'é dubbio che, effettuata una scelta politica nell'esercizio della sua discrezionalità, logica vuole che il legislatore stesso attui poi con coerenza il criterio prescelto, mediante una disciplina normativa idonea al conseguimento del fine voluto. Diversamente, ove l'incoerenza fosse tale da determinare irrazionali discriminazioni, la legge risulterebbe viziata non solo nel merito, ma anche sotto il profilo della legittimità costituzionale.

Ora, per quanto concerne in specie l'imposta in esame, non sussiste incertezza tanto sullo scopo perseguito, di colpire incrementi di valore dipendenti da fattori obbiettivi estranei all'attività dei proprietari, quanto sulla fondamentale esigenza di assicurare una corretta applicazione del tributo, conforme non solo al principio della capacità contributiva ma anche a quello della parità di trattamento dei diversi soggetti passivi. Ciò emerge con particolare evidenza trattandosi di un tributo che, a differenza dalla generalità delle imposte dirette e indirette, le quali colpiscono con esclusivo riferimento a valori attuali al momento della concreta applicazione, assume quale presupposto, o almeno quale base imponibile, un incremento di valore, considerato come fatto continuo delimitato da due termini di riferimento nel tempo.

Senza indugiare qui sulla non facile identificazione della natura e dei presupposti dell'INVIM, in relazione al suo ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo, sarà sufficiente sottolineare come accanto ai diversi eventi (alienazione, acquisto, possesso decennale) che rendono ardua una definizione unitaria del presupposto, l'incremento di valore degli immobili assuma fondamentale rilevanza nella struttura del tributo, per quanto attiene alla determinazione dell'imponibile sulla base dell'oggettiva variazione di valore nel tempo. In altre parole, l'INVIM, non solo nell'applicazione periodica in base al possesso decennale, ma anche rispetto alle ipotesi di alienazione-acquisto degli immobili, sebbene applicata in occasione del trasferimento, non é configurabile come imposta sui trasferimenti, bensì come imposta sugli incrementi di valore.

Dovendosi individuare l'incremento imponibile come valore differenziale, costituito dalla differenza tra un valore iniziale e un valore finale, era anzitutto necessario stabilire un punto di riferimento temporale a quo per gli acquisti verificatisi oltre un decennio prima dell'entrata in vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (1 gennaio 1973). Il criterio di non risalire oltre il decennio era già stato accolto dal legislatore nella precedente legge n. 246 del 1963, concernente l'imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili: ove era stato stabilito che la data di riferimento alla quale i singoli comuni intendessero risalire per la determinazione dell'incremento tassabile non poteva, per regola generale, essere fissata anteriormente al 1 gennaio del terzo anno antecedente a quello di adozione della deliberazione istitutiva dell'imposta (art. 5), disponendo però che i comuni obbligati ad applicare l'imposta, nonché gli altri comuni qualora ubicati in prossimità di un comune con più di 30.000 abitanti, e compresi nella zona di espansione urbanistica o in un piano intercomunale di quel comune, potevano fissare la data di riferimento fino al 1 gennaio del decimo anno antecedente a quello nel quale avessero adottato la deliberazione istitutiva dell'imposta (art. 25: e si cfr. altresì le norme transitorie dettate con gli artt. 48 e 49 per i comuni in cui fosse già stata in precedenza stabilita l'istituzione del contributo di miglioria generica).

Movendo da queste premesse, l'art. 6, terzo comma, del d.P.R. 643/1972 (modificato dal d.P.R. n. 688/1974), stabilisce che per gli acquisti verificatisi oltre un decennio prima del 1 gennaio 1973 "il valore iniziale é quello venale che i beni avevano al 1 gennaio 1963 (nel dettato originario: "al decimo anno anteriore"), ovvero, nel caso di beni per i quali erano applicabili le disposizioni della legge 5 marzo 1963, n. 246, quello che essi avevano alla diversa data stabilita con le deliberazioni previste dagli artt. 5 e 25 della predetta legge". Anche per l'applicazione periodica dell'imposta nei confronti dei soggetti indicati all'art. 3 (e successive modificazioni), analogamente a quanto già disposto dall'art. 3 della legge n. 246/1963, é stato stabilito che essa deve aver luogo "al compimento di ciascun decennio dalla data dell'acquisto" (art. 3, primo comma, modificato dal d.P.R. n. 688/1974), e l'art. 6, quinto comma, nel testo integrato dal d.P.R. n. 688/1974, aggiunge: "Per gli immobili che al 1 gennaio 1975 appartengano alle società da oltre dieci anni si assumono come valore iniziale e come valore finale i valori venali al 1 gennaio 1965 e al 1 gennaio 1975".

8. - Assunto un periodo di dieci anni quale presupposto temporale per la determinazione dell'incremento di valore imponibile, sia nel caso di alienazione-acquisto, sia nell'applicazione periodica dell'imposta alle società, rispondeva ad un criterio logico, nel provvedimento istitutivo dell'imposta, fissare l'estremo dies a quo, per gli acquisti risalenti oltre un decennio prima della sua entrata in vigore, alla data del 1 gennaio 1963. Ma questo termine iniziale fisso é poi rimasto immutato negli anni, così d'aver prodotto, e più ancora da prestarsi a produrre in avvenire, nell'applicazione dell'imposta, una abnorme diversa incidenza dell'elemento temporale, creando tra i contribuenti sperequazioni rilevanti, e tanto più gravi in relazione alla progressività delle aliquote. Il legislatore ha bensì tenuto presente il fattore tempo, ed ha previsto, con riguardo alla diversa ampiezza dell'arco temporale considerato per la determinazione della differenza tra valore finale e valore iniziale, la detrazione dall'incremento di valore - per ogni anno o frazione d'anno superiore al semestre - di una somma pari al 4% del valore iniziale, maggiorato delle spese di acquisto, di costruzione ed incrementative riferibili al periodo considerato (art. 14 d.P.R. n. 643/1972); detrazione elevata al 10% per il periodo 1 gennaio 1973 - 31 dicembre 1979 (art. 8 legge n. 904/1977). Ma queste detrazioni, a prescindere da altri rilievi sul loro regime, che saranno esposti nel seguito, se possono apparire idonee e congrue per correggere le disparità di trattamento nell'ambito di un limitato periodo, risultano inadeguate al fine voluto dal legislatore nel riferimento a più ampi periodi di tempo.

Invero, l'imposta può ormai essere applicata ad incrementi di valore formatisi nel corso di diciassette anni, o anche più, nel caso di beni già soggetti all'applicazione della legge 5 marzo 1963, n. 246, in evidente difformità dal criterio generale adottato dal legislatore di colpire, di regola, incrementi non più che decennali, e in sicuro contrasto con il canone della ragionevolezza, la cui inosservanza integra disparità di trattamento, con violazione del principio di eguaglianza, principio di cui anche il principio della capacità contributiva rappresenta, sotto questo profilo, univoco e specifico sviluppo. Rispetto ad incrementi di valore formatisi in così lunghi periodi, la legge avrebbe dovuto introdurre correttivi adeguati alla diversità dei periodi di formazione, e ciò anche per ovviare alle conseguenze palesemente inique che, nel lungo periodo, sarebbero derivate da una più ampia variazione del metro monetario.

9. - Altro difetto strutturale del sistema di determinazione dell'incremento imponibile netto, nella logica del meccanismo di questa legge, é costituito dal regime delle detrazioni. Come già si é ricordato, le detrazioni dall'incremento di valore (nonché dall'importo delle spese ammesse, secondo quanto stabilito dagli artt. 11-13 del provvedimento istitutivo del tributo), in misura percentuale del valore iniziale, sono state introdotte per attenuare il naturale aggravio delle aliquote progressive dell'imposta destinato a prodursi con il decorso degli anni. Ed a ciò si collega, soprattutto dopo l'aumento della misura percentuale della detrazione annua dal 4 al 10%, - aumento che ovviamente di per sé non comporta la disparità di trattamento denunciata senza motivo da qualche ordinanza -, il dichiarato fine di correggere o ridurre gli effetti della svalutazione della moneta, in correlazione al tempo intercorso tra gli eventi considerati per determinare l'incremento di valore in base alla differenza tra valore iniziale e valore finale.

Adottato in tale senso, come unico correttivo, il sistema delle detrazioni annue, in relazione al periodo considerato per la determinazione dell'incremento di valore imponibile netto, esigenze di coerenza e congruità al fine voluto avrebbero richiesto una diversa commisurazione delle detrazioni riferita al graduale aumento del valore dell'immobile nel corso del tempo. Invece l'incidenza delle detrazioni fissate in misura costante risulta inadeguata, in quanto non é proporzionata all'effettivo incremento, e nemmeno alla parte di esso ascrivibile alla progressiva diminuzione del potere d'acquisto della moneta, ma al contrario agisce in misura via via decrescente, e quindi con efficacia correttiva tanto minore quanto più ampio é il periodo di tempo intercorso tra i due termini di raffronto, ancorato come é, si tratti del 4 o del 10%, al valore iniziale, che nel tempo risulta sempre meno comparabile con quello finale.

Anche sotto questo profilo, é palese la irrazionalità del regime delle detrazioni, la cui applicazione determina in concreto ingiustificate disparità di trattamento, laddove il legislatore si era proposto di eliminarle.

10. - I difetti strutturali del sistema di calcolo dell'incremento di valore, in relazione al regime delle detrazioni e alla formazione dell'imponibile netto, si rivelano con ancor maggiore evidenza considerando la progressività delle aliquote che, a norma dell'art. 15 del d.P.R. n. 643/1972, come modificato dall'art. 1 del d.P.R. n. 688/1974, sono applicate per scaglioni d'incremento imponibile (determinati con riferimento al valore iniziale dell'immobile, maggiorato delle spese di acquisto, incrementative e di costruzione), in misura crescente dal 3-5% fino al 30%.

Il meccanismo di liquidazione dell'imposta, per effetto della progressività delle aliquote, rispetto alla cui applicazione l'elemento temporale esercita incidenza minima, essendo considerato unicamente nel calcolo delle detrazioni percentuali annue, comporta in concreto un trattamento differenziato e palesemente discriminatorio, tra coloro che alienano immobili a diversa distanza di tempo dall'acquisto, con un onere tributario notevolmente più gravoso per chi aliena dopo un più lungo periodo di possesso; e ciò in quanto determinandosi gli scaglioni d'incremento con riferimento al valore iniziale e all'importo delle spese ammesse, ed applicandosi le aliquote alla base imponibile netta, lo scatto delle aliquote più elevate tende a verificarsi in misura non ragguagliata alla durata del periodo considerato per il calcolo del valore differenziale.

La riprova di questi rilievi é offerta dalla constatazione di fatto che per uno stesso immobile, o per due immobili di eguale valore, oggetto nel corso di un decennio di successive alienazioni, ovvero di una sola alienazione al termine del decennio medesimo, pur essendo identici il primo valore iniziale e l'ultimo valore finale, e quindi eguale il complessivo incremento di valore, l'incidenza dell'imposta applicata al termine del decennio può risultare ben superiore a quella della somma delle imposte applicate ai passaggi di proprietà verificatisi nello stesso arco di tempo. Né trattasi di meri pregiudizi di fatto, bensì di ingiustificate conseguenze dei criteri tecnici adottati dal legislatore. E d'altra parte non si scorgono ragioni che possano giustificare un trattamento meno favorevole per chi aliena dopo avere a lungo goduto il possesso d'un immobile, specie se destinato all'abitazione del nucleo familiare.

Con questi rilievi non si intende ovviamente porre in discussione il criterio di progressività a cui si informa il tributo, ma unicamente constatare le conseguenze aberranti che, - nell'applicazione delle aliquote progressive, in sé pienamente legittime -, derivano dal sistema normativo adottato per il calcolo dell'incremento imponibile netto e per la determinazione dei relativi scaglioni con riferimento al valore iniziale maggiorato delle spese; sistema veramente inadeguato all'esigenza di una coerente e congrua considerazione dell'elemento temporale, indispensabile per una corretta imposizione degli oggettivi incrementi di valore con trattamento uniforme nei confronti dei soggetti passivi del tributo.

Esorbita dal compito istituzionale di questa Corte formulare indicazioni o suggerimenti circa i rimedi che il legislatore vorrà adottare, nella sua piena discrezionalità, per eliminare gli inconvenienti che, sotto i diversi profili qui prospettati, dipendono dai difetti strutturali del sistema di questa legge. Varie possono essere le vie di una riforma correttiva, idonea a rendere l'imposta sull'incremento di valore degli immobili corrispondente allo scopo perseguito con la sua istituzione, e ad evitare la possibilità di applicazioni distorte e lesive della parità tributaria. Le ordinanze di rimessione hanno denunciato le disposizioni degli artt. 6, 14 e 15 del d.P.R. n. 643/1972, e dell'art. 8 della legge n. 904/1977, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione: questa Corte ritiene di dover dichiarare la illegittimità delle sole disposizioni che concernono la determinazione definitiva della base imponibile, ossia la formazione del valore imponibile netto, mediante detrazioni percentuali fisse commisurate al numero degli anni, o frazioni d'anno, considerati per il calcolo della differenza tra valore finale e valore iniziale. Sono infatti le disposizioni dell'art. 14 del d.P.R. del 1972 e dell'art. 8 della legge del 1977 quelle che direttamente regolano la misura delle detrazioni annue in rapporto al periodo considerato per la determinazione del valore differenziale, e pertanto solo queste disposizioni possono essere investite dalla pronuncia di incostituzionalità, pur rimanendo ovviamente in facoltà del legislatore di attuare una più congrua disciplina normativa in ordine alla incidenza dell'elemento temporale con eventuale intervento anche su altre disposizioni della legge.

Non occorre, infine, ripetere qui le considerazioni già svolte per cui la Corte ritiene di dover riferire la pronuncia di incostituzionalità al principio enunciato dall'art. 3, primo comma, della Costituzione.

11. - Non fondate sono invece le altre questioni sollevate da alcune ordinanze, sopra ricordate al n. 3. Salvo quanto si é già osservato circa le date di riferimento per la determinazione del valore iniziale, la disparità di trattamento denunciata dalla commissione tributaria di primo grado di Pisa con riguardo alle speciali disposizioni concernenti le aree fabbricabili non sussiste. Le norme transitorie che hanno regolato il passaggio dall'imposta sul plusvalore delle aree a quella oggi in vigore (al par di quelle dettate dalla legge n. 246 del 1963 in rapporto alla soppressione del contributo di miglioria generica), possono aver determinato effetti diversi nei confronti dei contribuenti assoggettati all'applicazione del vecchio o del nuovo tributo, ma ciò tuttavia non comporta disparità di trattamento lesiva del principio di eguaglianza, nemmeno per quanto concerne l'eventuale diversa misura delle aliquote, in conseguenza di una imposizione correlata alla oggettiva situazione di diritto e di fatto delle aree site in territorio di comuni diversi; mentre nel caso di utilizzazione edificatoria delle aree appare ineccepibile il criterio stabilito dall'art. 6, sesto comma, del d.P.R. n. 643 del 1972 (modificato dal d.P.R. n. 688 del 1974 e dalla legge n. 694/1975), per la separata liquidazione dell'imposta sull'incremento di valore delle aree e rispettivamente dei fabbricati.

Per quanto concerne la disposizione dell'art. 15 del d.P.R. n. 643/1972 che attribuisce ai comuni la determinazione delle aliquote da applicarsi per la liquidazione del tributo in relazione agli immobili siti nel loro territorio, é appena il caso di ricordare che trattasi di imposta il cui gettito é attribuito ai comuni, e che la legge non soltanto ha fissato i precisi limiti minimi e massimi entro i quali debbono essere stabilite le aliquote percentuali, ma ha altresì indicato all'art. 16 i criteri a cui i comuni debbono attenersi nel deliberare la misura delle aliquote, disciplinando anche il procedimento di adozione, controllo e pubblicazione delle relative deliberazioni consiliari. L'apprezzamento rimesso alla discrezionale valutazione dei comuni, in misura molto ristretta e con prefissione di criteri direttivi, lungi dal poter comportare lesione dei principi di eguaglianza e di capacità contributiva, é precisamente diretto allo scopo di consentire una maggiore aderenza alla realtà delle situazioni locali, che possono giustificare l'adozione di aliquote diverse, nei limiti invalicabili stabiliti dalla legge.

La Commissione tributaria di Gorizia ha in alcune ordinanze denunciato anche gli artt. 2,4,7 e 16 del d.P.R. n. 643/1972, senza peraltro addurre alcuna motivazione in ordine a queste disposizioni. Questa Corte ha già dichiarato non fondata la questione di legittimità degli artt. 2, primo comma, e 7, in riferimento all'art. 76 Cost. (sentenza 2 febbraio 1978, n. 8), e non scorge motivo che possa condurre, allo stato, alla richiesta declaratoria di incostituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria di secondo grado di Udine, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 14 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, e dell'art. 8 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, nella parte in cui le disposizioni concernenti il calcolo dell'incremento di valore imponibile netto determinano - in relazione al periodo di formazione dell'incremento stesso - ingiustificate disparità di trattamento tra i soggetti passivi del tributo;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, 4, 6, 7, 15 e 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, sollevate dalle ordinanze di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 42, 47 e 53 della Costituzione.Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 1979.

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria l'8 novembre 1979.