Sentenza n. 8 del 1978
 CONSULTA ONLINE 

 

 

 

SENTENZA N. 8

ANNO 1978

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma, 7 e 15 lett. e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili), promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1976 dalla Commissione tributaria di 2 grado di Trento, sul ricorso proposto da Turrini Giulia ed altro contro l'Ufficio del registro di Cles, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 127 dell'11 maggio 1977.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1977 il Giudice relatore Guido Astuti;

 

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

La Commissione tributaria di 2 grado di Trento, sul ricorso proposto da Turrini Giulia e altro, accogliendo l'eccezione del contribuente, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, 7 e 15 del D.P.R. n. 643 del 1972 in riferimento all'art. 76 Cost. Si osserva, in primo luogo, che la legge delega per la riforma tributaria 9 ottobre 1971, n. 825, all'art. 6 avrebbe previsto la istituzione dell'imposta per le sole alienazioni degli immobili, mentre le norme delegate vi avrebbero sottoposto anche la costituzione di diritti di godimento.

Inoltre, mentre l'art. 6 della legge delega fissa il prelievo in un minimo del 25% per lo scaglione di incremento superiore al 200%, la norma delegata, art. 15 lett. e, determina in tale misura il prelievo massimo per lo scaglione di incremento tra il 150 ed il 200%.

Tali contrasti tra legge delega e norme delegate comporterebbero lesione dell'art. 76 della Costituzione.

Il Presidente del Consiglio dei ministri si é costituito, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, eccependo, in primo luogo, la non rilevanza delle questioni proposte. Avendo la controversia ad oggetto soltanto il valore dei beni trasferiti ed essendo fuori discussione ogni problema relativo alla concreta applicazione dell'imposta, per non avere l'ufficio provveduto alla relativa liquidazione, non sarebbe necessaria, per dirimere la controversia, la soluzione di alcuna questione di diritto sostanziale tributario, onde la eventuale dichiarazione di incostituzionalità delle norme impugnate non avrebbe rilevanza ai fini della decisione.

Le questioni proposte sarebbero comunque infondate. La legge di delega si riferirebbe a tutte le alienazioni che consentono di realizzare l'incremento di valore del bene, oggetto dell'imposta, e perciò comprenderebbe, come stabilito nella norma delegata, anche la costituzione, il trasferimento o il conferimento di diritti reali di godimento, escluse le servitù.

Inoltre, la previsione di una aliquota massima del 25% per lo scaglione di incremento oltre il 150 e fino al 200%, contenuta nelle norme delegate, non contrasterebbe con la indicazione della legge delega di una aliquota minima del 25 % per gli scaglioni di incremento superiori al 200%. Si tratterebbe del punto di distinzione fra le due aliquote progressive, rappresentante, per quella inferiore, il risultato di un'operazione di arrotondamento infinitesimale, secondo un procedimento utilizzato, per altre aliquote, dalla stessa legge delega.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - L'ordinanza della Commissione tributaria di 2 grado di Trento solleva, in riferimento all'art. 76 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma, e 7, nonché dell'art. 15, lett. e, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, "Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili". Secondo il giudice a quo le dette disposizioni sarebbero viziate da illegittimità per eccesso rispetto ai principi e criteri direttivi enunciati dalla legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825: l'art. 6, n. 1 della legge, che prevede l'istituzione dell'imposta sugli incrementi di valore degli immobili "alienati a titolo oneroso o trasmessi a titolo gratuito", non avrebbe consentito al legislatore delegato di estendere l'applicazione dell'imposta anche ai casi di costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su immobili (art. 2, primo comma), e in particolare di usufrutto (art. 7); l'art. 6, n. 6 della stessa legge, fissando la misura dell'aliquota, per lo scaglione di incremento imponibile eccedente il duecento per cento del valore iniziale di riferimento, "dal venticinque al trenta per cento", non avrebbe consentito di determinare nella misura massima del venticinque per cento l'aliquota per lo scaglione fino al duecento per cento.

2. - L'Avvocatura dello Stato ha eccepito il difetto di rilevanza di entrambe le questioni, sostenendo che oggetto di contestazione davanti alla Commissione tributaria sarebbe soltanto il valore dell'immobile accertato in primo grado, e non l'applicazione dell'imposta, non avendo l'ufficio ancora provveduto alla relativa liquidazione. Ma l'eccezione deve essere disattesa, in quanto la controversia verte precisamente sulla applicabilità dell'imposta in relazione a un atto di rinuncia all'usufrutto su un terreno e alla conseguente consolidazione con la nuda proprietà, e pertanto, come ha affermato l'ordinanza di rimessione, le dedotte questioni di costituzionalità hanno carattere pregiudiziale per la definizione del giudizio.

3. - Le questioni non sono fondate. Per quanto concerne l'applicazione dell'imposta anche nei casi di alienazione a titolo oneroso o di acquisto a titolo gratuito di diritti reali di godimento sugli immobili, le denunciate disposizioni dell'art. 2, primo comma, e dell'art. 7 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, nel testo modificato ed integrato dall'art. 1 del D.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688, contengono una specificazione normativa pienamente conforme ai principi stabiliti dalla legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825. Questa, nel disporre l'istituzione della nuova imposta, in sostituzione di quella sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili, ha usato - come era ovvio, dovendo enunciare principi e criteri direttivi - una formula atta ad indicare l'oggetto dell'imposizione, diretta a colpire gli incrementi di valore degli immobili in occasione del trasferimento da uno ad altro soggetto (nonché, per le società ed altri enti pubblici o privati, anche al compimento di ciascun decennio dalla data di acquisto), lasciando al legislatore delegato l'analitica determinazione delle diverse ipotesi di trasferimento. La relazione ministeriale al disegno di legge (Camera dei deputati, Atto n. 1639) dichiara al riguardo: "il n. 1 dell'art. 7 parlando di alienazione a titolo oneroso intende comprendere le vendite, le permute, i conferimenti, ed ogni possibile caso di trasferimento totale o parziale a titolo oneroso; e parlando di trasmissioni a titolo gratuito intende riferirsi alle donazioni ed alle successioni a causa di morte. Il legislatore delegato considererà se sia necessaria la specifica indicazione degli atti, anche per evitare forme di elusione del tributo"; e più oltre conferma: "spetterà al legislatore delegato di stabilire i criteri in base ai quali dovrà essere determinato il valore di riferimento degli immobili, ... nonché i criteri di determinazione dell'incremento nei casi di alienazione di diritti parziali (nuda proprietà, usufrutto, ecc.)".

L'art. 2 del decreto delegato ha coerentemente determinato, con analitica specificazione, l'ambito di applicazione dell'imposta nelle diverse ipotesi di trasferimento "del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento sull'immobile", precisando che "per diritti reali di godimento si intendono l'usufrutto, l'uso, l'abitazione, l'enfiteusi e la superficie"; e conseguentemente gli artt. 7-9 hanno disciplinato l'applicazione dell'imposta nei casi di costituzione o trasferimento dei diritti di usufrutto (uso e abitazione), enfiteusi e superficie, indicando per l'usufrutto l'incremento imponibile in rapporto alla quota del valore della piena proprietà corrispondente al diritto costituito o trasferito, determinato agli effetti dell'imposta di registro o di successione, e regolando i casi in cui la consolidazione dell'usufrutto con la nuda proprietà dà luogo ad applicazione dell'imposta.

4. - Non occorre ricordare come già la legge 5 marzo 1963, n. 246, istitutiva dell'imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili, ne disponesse l'applicazione non solo nei casi di alienazione o utilizzazione edificatoria della piena proprietà, ma anche in quelli in cui le aree fabbricabili fossero oggetto di diritti reali parziari. L'art. 19 stabiliva che nel caso di trasmissione del diritto di usufrutto, della nuda proprietà, del diritto di superficie e di enfiteusi di durata limitata nel tempo, dovevano applicarsi per il calcolo ed eventuale ripartizione dell'onere le norme della legge del registro, mentre la trasmissione dell'enfiteusi e del diritto di superficie permanenti era parificata alla cessione del diritto di proprietà; e l'art. 20 regolava analogamente l'onere tributario a carico dei titolari dei diversi diritti reali parziari, nei casi di incremento di valore accertato in occasione dell'utilizzazione edificatoria delle aree.

Le disposizioni in questione non rappresentano, del resto, una innovazione: nel nostro ordinamento tributario, quando la legge assume come base imponibile il possesso di beni immobili, rustici o urbani, o dei relativi redditi, sono di regola considerati soggetti passivi delle diverse imposizioni - sul patrimonio, sulle successioni, sui redditi, per tacere dell'imposta di registro - non soltanto i titolari della piena proprietà ma anche, in varia misura, i titolari di diritti reali di godimento.

Nella specie, l'imposta colpisce l'incremento di valore degli immobili che si realizza all'atto della alienazione a titolo oneroso o dell'acquisto a titolo gratuito, concretandosi non solo in occasione del trasferimento della proprietà, ma anche della costituzione o del trasferimento dei diversi diritti reali di godimento, in misura corrispondente al contenuto dei diritti stessi: la disciplina stabilità dal decreto delegato si uniforma quindi alla ratio ed alla previsione normativa della legge di delegazione, con cui é stato istituito il nuovo tributo. E non occorre rilevare quanto sarebbe facile l'evasione, se l'imposta fosse applicabile unicamente nel caso di alienazione o acquisto della piena proprietà.

5. - Anche la seconda questione non é fondata. Si assume nell'ordinanza di rimessione che avendo l'art. 6, n. 6 della legge di delegazione consentito ai comuni di stabilire le aliquote per scaglioni di incremento imponibile fino ad "un massimo dal venticinque al trenta per cento per lo scaglione eccedente il duecento per cento", il decreto delegato non avrebbe potuto indicare all'art. 15, lett. e, un'aliquota "dal venti al venticinque per cento", per il penultimo scaglione d'incremento da oltre il centocinquanta fino al duecento per cento del valore iniziale dell'immobile. Ma il denunciato contrasto non sussiste: perché l'aliquota del venticinque per cento costituisce il limite massimo per lo scaglione di incremento fino al duecento per cento, e al tempo stesso il limite minimo per lo scaglione successivo, oltre il duecento per cento. Si dimentica dal giudice a quo che quella cifra percentuale rappresenta il punto di distinzione tra due fasce di aliquote progressive, che i comuni sono autorizzati a stabilire nei limiti di legge. Sarebbe invero assurdo pretendere che il limite massimo dell'aliquota applicabile per il penultimo scaglione fosse indicato nella misura del 24,999, anziché nella misura del venticinque per cento, che costituisce solo un arrotondamento di entità infinitesimale, la cui applicazione non reca alcun apprezzabile pregiudizio per i contribuenti.

Trattasi d'altra parte di un criterio abitualmente adottato dalla legislazione tributaria nella determinazione di scaglioni di valore o di reddito. Esso é stato applicato, nella specie, anche dal legislatore delegante, che ha indicato in cifre tonde nella misura dal tre al cinque per cento l'aliquota per il primo scaglione, e dal venticinque al trenta per cento quella per l'ultimo scaglione, rimettendo al legislatore delegato di stabilire le aliquote per gli scaglioni intermedi.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma, 7, e 15, lett. e, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, modificati dall'art. 1 del D.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688, sollevate dalla Commissione tributaria di 2 grado di Trento, in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 febbraio 1978.

 

 

            Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE

 

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1978.