Ordinanza n. 268 del 2004

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ORDINANZA N. 268

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo                      ZAGREBELSKY             Presidente

- Valerio                        ONIDA                               Giudice

- Carlo                           MEZZANOTTE                       "

- Fernanda                     CONTRI                                   "

- Guido                         NEPPI MODONA                   "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                            "

- Annibale                     MARINI                                   "

- Franco                         BILE                                         "

- Giovanni Maria           FLICK                                      "

- Francesco                    AMIRANTE                             "

- Ugo                             DE SIERVO                             "

- Romano                      VACCARELLA                      "

- Paolo                           MADDALENA                        "

- Alfio                           FINOCCHIARO                      "

- Alfonso                       QUARANTA                           "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 45 e 47, comma 2, del codice di procedura penale, come modificati dalla legge 7 novembre 2002, n. 248 (Modifica degli articoli 45, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale), e dell’art. 1, comma 5, della stessa legge, promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, dalla Corte di assise di Cosenza con ordinanza in data 21 novembre 2002, dal Tribunale di Pescara con ordinanza in data 28 gennaio 2003, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pescara con ordinanza in data 11 febbraio 2003 e dal Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, con ordinanza in data 6 maggio 2003, rispettivamente iscritte al n. 4, al n. 334, al n. 444 e al n. 553 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, n. 24, n. 28 e n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 maggio 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che la Corte di assise di Cosenza ha sollevato (r.o. n. 4 del 2003), in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 2, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 novembre 2002, n. 248 (Modifica degli articoli 45, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale), «nella parte in cui prevede l’obbligatoria sospensione del processo prima dello svolgimento della discussione e delle conclusioni e, a fortiori, prima della pronunzia della sentenza»;

che la Corte di assise premette che, a seguito della richiesta di rimessione del processo ad altro giudice ai sensi degli artt. 45 e seguenti cod. proc. pen., presentata da un imputato lo stesso giorno fissato per l’udienza di discussione, i difensori degli imputati hanno chiesto la sospensione del processo ex art. 47, comma 2, dello stesso codice;

che il pubblico ministero si è opposto, sostenendo che la sospensione diviene obbligatoria solo quando la Corte di cassazione comunica l’assegnazione della richiesta di rimessione alle Sezioni unite ovvero a sezione diversa da quella di cui all’art. 610, comma 1, cod. proc. pen.;

che la Corte rimettente ritiene che l'avverbio «comunque» utilizzato nel comma 2 dell'art. 47 citato renda evidente che la sospensione è ‘comunque’ obbligatoria prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione, anche perché, diversamente opinando, la richiesta di rimessione presentata nel corso della discussione non potrebbe impedire, in contrasto con quella che risulta essere la chiara volontà del legislatore, di pronunciare sentenza se i provvedimenti della Cassazione non intervengono prima che la discussione stessa abbia termine;

che ad avviso della rimettente la sospensione obbligatoria del processo violerebbe gli artt. 3, 111 (sotto il profilo della ragionevole durata del processo) e 112 Cost., alla stregua delle considerazioni svolte nella sentenza n. 353 del 1996, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui faceva divieto al giudice di pronunciare la sentenza fino a che non fosse intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando che il presupposto interpretativo della rimettente è errato e chiedendo perciò che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata;

che il Tribunale di Pescara (r.o. n. 334 del 2003) ha sollevato, in riferimento all’art. 25 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 248 del 2002, nella parte in cui assume a fondamento della rimessione le situazioni in cui «gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l’incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto», nonché, in riferimento all’art. 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 47 cod. proc. pen., come modificato dalla medesima legge, nella parte in cui prevede che la richiesta di rimessione determina «la sospensione - eventuale o obbligatoria - del processo»;

che il Tribunale rimettente premette:

- che l’imputato, «dopo aver avanzato, nel corso dello stesso procedimento, diverse istanze di ricusazione e di rimessione», tutte dichiarate inammissibili, ha presentato un’ulteriore richiesta di rimessione a norma dell’art. 45 cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 248 del 2002, «assumendo la sussistenza di gravi situazioni locali tali da determinare motivi di legittimo sospetto»;

- che il pubblico ministero ha chiesto sollevarsi questione di legittimità costituzionale degli artt. 45 e 47 cod. proc. pen., come modificati, in quanto «la nozione ‘di legittimo sospetto’, non basata su criteri certi ed oggettivi», permettendo il trasferimento del processo dalla sua sede naturale «sulle base di mere illazioni e prospettazioni, anche prive di prove idonee a dimostrare un effettivo pregiudizio per ‘la libera determinazione delle persone che partecipano al processo», violerebbe l’art. 25, primo comma, Cost., mentre la sospensione eventuale o necessaria a norma dell’art. 47 cod. proc. pen. sarebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo;

che il Tribunale osserva, in punto di rilevanza, che per la definizione del processo in corso è «prevista una istruttoria particolarmente ridotta», cui potrebbe far seguito, nella stessa udienza, la discussione;

che nel merito, quanto alla prima questione, il rimettente ritiene che l’indeterminatezza della nozione di legittimo sospetto vulneri l’art. 25 Cost., per il quale non è sufficiente che sia predeterminato il nuovo giudice territorialmente competente, «ma deve essere anche analiticamente individuato dalla legge il presupposto della rimessione»;

che l’art. 47 cod. proc. pen., nella parte in cui «prevede la sospensione - eventuale o obbligatoria - del processo», violerebbe l’art. 111 Cost., in quanto, «pur essendo […] il legislatore libero di scandire le diverse fasi processuali, non può scegliere, tra le diverse soluzioni, quella che comporti, sia pure in casi estremi, la paralisi dell’attività processuale» mediante la «riproposizione di istanze di rimessione, formalmente ineccepibili anche se in concreto prive di ogni fondamento»;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la manifesta infondatezza delle questioni;

che, con riferimento all’art. 45 cod. proc. pen., l’Avvocatura rileva che la disciplina della rimessione è destinata a trovare applicazione solo nei casi in cui una condizione «qualificata» e per nulla generica, riconducibile al paradigma delle ‘gravi situazioni locali’, risulti, «in base a dati obiettivi», idonea a turbare lo svolgimento del processo;

che pertanto la norma censurata, imponendo una valutazione ancorata a dati oggettivi e verificabili ed operando un corretto bilanciamento tra garanzia dell’imputato e garanzia della giurisdizione, non è costituzionalmente illegittima;

che, quanto all’art. 47 cod. proc. pen., l’Avvocatura osserva che, nei casi in cui è prevista la sospensione, la protrazione della durata del processo determinata dalla procedura incidentale è giustificata dalla necessità di accertare la situazione denunciata, il che esclude il vulnus al principio del giusto processo e alla tempestività dell’esercizio della funzione giurisdizionale;

che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pescara (r.o. n. 444 del 2003), nel sollevare  questioni di legittimità costituzionale degli artt. 45 e 47 cod. proc. pen. affatto analoghe alle precedenti, premette che l’imputato ha presentato richiesta di rimessione «con argomentazioni diffuse ed ulteriori rispetto a quelle già svolte con precedente istanza dichiarata inammissibile dalla Corte di cassazione»;

che ad avviso del giudice a quo la nuova richiesta di rimessione impedisce, secondo quanto disposto dagli artt. 45 e 47 cod. proc. pen., di «dar luogo allo svolgimento delle conclusioni» ed impone «la sospensione del procedimento sino all’ordinanza che dichiari inammissibile o rigetti la richiesta ovvero, in caso di suo accoglimento, fino a che il processo non perverrà, nel medesimo stato, dinanzi al giudice designato»;

che l’art. 45 cod. proc. pen., consentendo «il trasferimento del processo dalla sua sede naturale senza una precisa predeterminazione dei presupposti che lo giustifichino, in forza della generica previsione di un ‘legittimo sospetto’ non meglio specificato», si porrebbe in contrasto con l’art. 25, primo comma, Cost., mentre l’art. 47 cod. proc. pen., prescrivendo la sospensione del processo «reiterabile in conseguenza di istanze di rimessione facilmente riproponibili ex art. 49 cod. proc. pen.», violerebbe il principio della ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 Cost.;

che il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, (r.o. n. 553 del 2003) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, 97 e 111 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 45 e 47 cod. proc. pen., come modificati dalla legge n. 248 del 2002, nonché dell’art. 1, comma 5, della stessa legge;

che il rimettente premette che l’imputato ha formulato istanza di rimessione ai sensi dell’art. 45 cod. proc. pen. e che il pubblico ministero ha eccepito l’incostituzionalità di tale disciplina per contrasto con l’art. 111 Cost.;

 che il rimettente sottolinea che al giudice non è consentita alcuna valutazione in ordine alla ammissibilità dell’istanza, essendo tenuto unicamente a disporre l’immediata trasmissione degli atti alla Corte di cassazione, con l’unica eccezione costituita appunto dalla proposizione della questione di costituzionalità;

che ciò nonostante la rilevanza della questione sarebbe «indubbia», atteso che, «ove l’istituto de quo fosse diversamente strutturato e non contemplasse il presupposto del ‘legittimo sospetto’, tra l’altro con la norma transitoria che [ne] consente l’applicazione […] ai processi in corso, l’istanza non potrebbe essere avanzata»;

che nel merito il giudice a quo premette che nel disciplinare la rimessione il legislatore del 1988 si era attenuto ai principi e alle indicazioni elaborati dalla giurisprudenza costituzionale formatasi in relazione alla disciplina previgente, mentre la legge n. 248 del 2002 ne ha modificato profondamente i contenuti, così da rendere necessario un nuovo esame dell’intero istituto in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost.;

che i dubbi circa la compatibilità della rimessione con l’art. 25 Cost. appaiono rafforzati dall’adozione del rito accusatorio, nel quale la naturalità del giudice si sostanzia nel diritto del cittadino di essere sottoposto a giudizio davanti alla collettitività in cui vive e dove è stato commesso il reato;

che, inoltre, l’istituto non sarebbe che «un mero anacronismo» in un’epoca in cui la collettività è sottoposta ad un tale flusso di informazioni da escludere che sussistano «fatti e vicende che […] possano scuotere talmente le parti processuali da far sì che il giudizio possa esserne alterato e l’esito non sereno», in un sistema tra l’altro che già offre strumenti (quali l’astensione e la ricusazione) a tutela della imparzialità del giudice;

che sarebbe violato anche l’art. 3 Cost., in quanto l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge «verrebbe vulnerata laddove fosse possibile, attraverso l’uso della rimessione, tentare di sottrarsi ad un giudice e ad un ufficio sgraditi»;

che in via subordinata il rimettente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 cod. proc. pen., nella parte in cui prevede fra i presupposti che impongono la rimessione del processo anche i «motivi di legittimo sospetto»;

che il giudice a quo - richiamata la giurisprudenza di legittimità che sotto la vigenza dell’art. 55 del codice di rito del 1930 aveva ristretto l’ambito di operatività dell’istituto, «oggettivizzando al massimo grado i presupposti» - rileva che nel formulare l’art. 45 cod. proc. pen. il legislatore del 1988 avrebbe tenuto presente proprio questa giurisprudenza, mentre con la reintroduzione del «legittimo sospetto» è stato inserito un «concetto vago, generico, indeterminato, valido per qualunque uso, tale da non garantire tassatività e determinatezza», con conseguente violazione dell’art. 25, primo comma, Cost.;

che ulteriori profili di illegittimità costituzionale sarebbero  ravvisabili nella disposizione transitoria di cui all’art. 1, comma 5, della legge n. 248 del 2002, in quanto l’applicazione della nuova disciplina ai processi in corso consente una sostanziale sottrazione del processo alla giurisdizione e al giudice naturale, fino a «creare una categoria di cittadini protetti, in contrasto con il principio tempus criminis regit iudicem»;

che, infine, la «sospensione obbligatoria del processo», prevista nell’art. 47, comma 2, cod. proc. pen., sarebbe affetta dagli stessi vizi della disciplina, analoga all’attuale, dichiarata costituzionalmente illegittima (sentenza n. 353 del 1996), in quanto in caso di uso distorto e dilatorio della rimessione poteva determinare la paralisi del procedimento, e si porrebbe conseguentemente in contrasto non solo con i principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di «efficienza del processo» (art. 97 Cost.), ma oggi anche con il principio della sua ragionevole durata (art. 111 Cost.);

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, richiamando integralmente l’atto di intervento depositato in relazione alla ordinanza del Tribunale di Pescara iscritta al n. 334 del registro ordinanze del 2003.

Considerato che la Corte di assise di Cosenza, il Tribunale di Pescara, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pescara e il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale della disciplina della rimessione del processo, come modificata dalla legge 7 novembre 2002, n. 248 (Modifica degli articoli 45, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale), sotto gli aspetti: a) della incompatibilità dei presupposti dell’istituto descritti dall’art. 45 del codice di procedura penale con gli artt. 3 e 25, primo comma, della Costituzione (r.o. n. 334, n. 444 e n. 553 del 2003); b) del contrasto della sospensione del processo a norma dell’art. 47 dello stesso codice con gli artt. 3, 111, secondo comma, 97 e 112 Cost. (r.o. n. 4, n. 334, n. 444 e n. 553 del 2003); c) della violazione dell’art. 25 Cost. in relazione alla immediata applicabilità della nuova disciplina ai processi in corso, prevista dall’art. 1, comma 5, della legge n. 248 del 2002 (r.o. n. 553 del 2003);

che, avendo tutte le questioni ad oggetto il medesimo istituto, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che il primo gruppo di questioni si riferisce, in particolare, al carattere vago, generico e indeterminato di nozioni quali quelle di «legittimo sospetto», di turbamento della «libertà di determinazione delle persone», di pregiudizio della «sicurezza» o della «incolumità pubblica», qualificabili esse stesse come fonti di legittimo sospetto, nonché alla stessa compatibilità dell’istituto con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza;

che a norma dell’art. 46, comma 3, cod. proc. pen. il giudice, dopo che è stata depositata in cancelleria la richiesta di rimessione, è tenuto a trasmetterla immediatamente alla Corte di cassazione, alla quale esclusivamente spetta di decidere sulla richiesta, anche sotto il profilo della ammissibilità (artt. 47, comma 1, e 48, commi 2 e 6, cod. proc. pen.);  

che solo la Corte di cassazione, in quanto competente a giudicare sulla richiesta di rimessione, risulta pertanto abilitata a sollevare questione di legittimità costituzionale sugli aspetti sia sostanziali che processuali dell’istituto, mentre il giudice di merito non deve fare applicazione delle norme censurate, ad eccezione di quelle riguardanti la sospensione del processo ex art. 47 cod. proc. pen., ed è quindi privo di legittimazione a sollevare questioni in tema di rimessione;

che questa Corte è pervenuta ad analoghe conclusioni in ordine all’istituto della ricusazione, affermando che, ove il giudice ricusato venisse abilitato a sollevare questione di legittimità costituzionale in ordine al procedimento incidentale che lo riguarda, verrebbe stravolto il sistema che attribuisce esclusivamente al giudice superiore la competenza a giudicare sulla ricusazione (ordinanze n. 147 del 2003 e n. 204 del 1999; v. anche, per la dichiarazione di inammissibilità delle questioni sollevate dal giudice di merito dopo la presentazione, rispettivamente, del ricorso per regolamento di giurisdizione e di competenza, ordinanze n. 322 del 2002 e n. 248 del 2000);

che le predette questioni devono pertanto essere dichiarate manifestamente inammissibili; 

che con il secondo gruppo di questioni i rimettenti censurano l’art. 47, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede la sospensione obbligatoria del processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione e comunque prima della pronuncia della sentenza, così consentendo, mediante la reiterata riproposizione di richieste di rimessione, di paralizzare sistematicamente l’attività processuale, in violazione dei principi di ragionevolezza, della ragionevole durata e dell’efficienza del processo, alla stregua di considerazioni che riecheggiano quelle svolte da questa Corte nella sentenza n. 353 del 1996;

che l’art. 47, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce che il giudice deve ‘comunque’ sospendere il processo, prima dello svolgimento della discussione o prima della pronuncia della sentenza, dopo che ha avuto notizia dalla Corte di cassazione, ex art. 48, comma 3, dello stesso codice, che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite o a sezione diversa dall’apposita sezione alla quale, a norma dell’art. 610, comma 1, cod. proc. pen., sono assegnati i ricorsi quando il Presidente della Corte rileva una causa di inammissibilità;

che dalla formulazione dell’art. 47, comma 2, cod. proc. pen. emerge dunque che il giudice deve disporre la sospensione del processo solo in presenza della duplice condizione che il processo stia per entrare in una fase processuale particolarmente ‘qualificata’ (prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione, prima della pronuncia del decreto che dispone il giudizio o della sentenza) e che al giudice stesso sia pervenuta la notizia che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite o, comunque, ad una sezione competente a decidere nel merito, fermo restando che il giudice non deve disporre la sospensione se ritiene che la richiesta non sia fondata su elementi nuovi rispetto ad altra richiesta già rigettata o dichiarata inammissibile;

che tutti i rimettenti hanno sollevato la questione subito dopo che la richiesta di rimessione è stata depositata in cancelleria, senza trasmetterla alla Corte di cassazione secondo quanto disposto dall’art. 46, comma 3, cod. proc. pen., rendendo così impossibile il verificarsi della seconda condizione a cui è subordinata l’operatività della sospensione obbligatoria del processo, e cioè la comunicazione da parte della Corte che la richiesta è stata assegnata ad una sezione competente a decidere nel merito;

che, ai fini della rilevanza della questione, non può essere seguita l’interpretazione prospettata dalla Corte di assise di Cosenza (r.o. n. 4 del 2003), secondo cui l’avverbio «comunque» che compare nell’art. 47, comma 2, cod. proc. pen. renderebbe in ogni caso obbligatoria la sospensione del processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione, in quanto contrastante sia con la sintassi della disposizione censurata, sia con la volontà del legislatore, che emerge chiaramente dai lavori parlamentari, di limitare l’obbligo di sospendere il processo ai casi di assegnazione della richiesta di rimessione ad una sezione competente a deciderla nel merito, al fine di rendere la relativa disciplina compatibile con la sentenza di questa Corte n. 353 del 1996 e con le successive precisazioni contenute nell’ordinanza n. 5 del 1997;

che le questioni risultano pertanto prive di rilevanza, in quanto sollevate in un momento in cui i rimettenti non erano chiamati a fare applicazione della disciplina censurata, e debbono conseguentemente essere dichiarate manifestamente inammissibili;

che manifestamente inammissibili, per difetto di motivazione, sono anche le questioni sollevate dal Tribunale di Pescara (r.o. n. 334 del 2003) e dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale (r.o. n. 444 del 2003), nella parte in cui i rimettenti censurano la sospensione facoltativa prevista dall’art. 47, comma 1, cod. proc. pen., posto che da un lato i rimettenti omettono di fornire qualsiasi elemento sul perché ricorrerebbero gli estremi per disporre la sospensione, dall’altro rilevano che l’imputato ha già presentato plurime richieste di rimessione, ma non dicono perché nel caso di specie non sarebbe applicabile la disposizione di cui all’ultimo periodo dell’art. 47, comma 2, cod. proc. pen.;

che, infine, il Tribunale di Trani dubita anche della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, della legge n. 248 del 2002, in riferimento all’art. 25 Cost., in quanto la norma censurata, prevedendo l’applicabilità della nuova disciplina della rimessione anche ai processi in corso, e in particolare alle richieste di rimessione presentate dopo la  data di entrata in vigore della legge, violerebbe il principio tempus criminis regit iudicem, secondo cui la competenza del giudice si radica al momento della commissione del fatto;  

che, avendo questa Corte già rilevato, nell’esaminare il primo gruppo di questioni, che i rimettenti non sono chiamati a fare applicazione della disciplina censurata, ne consegue che il giudice a quo non è neppure abilitato a sindacare la legittimità costituzionale della norma transitoria che dispone l’immediata applicabilità dei nuovi presupposti di cui all’art. 45 cod. proc. pen. ai processi in corso;

che, quanto alla nuova disciplina ‘processuale’ della rimessione, il giudice a quo non è certamente tenuto a fare applicazione delle disposizioni relative al procedimento incidentale che si svolge davanti alla Corte di cassazione, mentre potrebbero riguardarlo gli effetti della richiesta di rimessione in ordine alla sospensione, facoltativa ovvero obbligatoria, del giudizio a quo;

che peraltro, in relazione alla sospensione facoltativa, il rimettente omette qualsiasi considerazione circa la sussistenza dei presupposti per l’esercizio di tale facoltà, mentre in ordine alla sospensione obbligatoria non è chiamato a fare applicazione della nuova disciplina di cui all’art. 47, comma 2, cod. proc. pen., posto che - come si è già osservato nell’esaminare il secondo gruppo di questioni - non avendo trasmesso la richiesta di rimessione alla Corte di cassazione, non ha sicuramente potuto ricevere la comunicazione della sua assegnazione ad una sezione competente a deciderla nel merito;

che pertanto anche la questione relativa all’art. 1, comma 5, della legge n. 248 del 2002 deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 45 e 47 del codice di procedura penale, come modificati dalla legge 7 novembre 2002, n. 248 (Modifica degli articoli 45, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale), e dell’art. 1, comma 5, della predetta legge 7 novembre 2002, n. 248, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, 97, 111 e 112 della Costituzione, dalla Corte di assise di Cosenza, dal Tribunale di Pescara, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pescara e dal Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8  luglio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2004.