Sentenza n. 231 del 2004

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SENTENZA N.231

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo            ZAGREBELSKY      Presidente

- Valerio              ONIDA                      Giudice

- Carlo                 MEZZANOTTE        "

- Guido                NEPPI MODONA    "

- Piero Alberto    CAPOTOSTI             "

- Annibale           MARINI                    "

- Franco               BILE                          "

- Giovanni Maria FLICK                       "

- Francesco          AMIRANTE              "

- Ugo                   DE SIERVO              "

- Romano            VACCARELLA        "

- Paolo                 MADDALENA         "

- Alfonso             QUARANTA            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 314 del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, dalla Corte di cassazione con ordinanza del 17 aprile 2003, iscritta al n. 905 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

1. - La Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 24, terzo (recte, quarto) comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 del codice di procedura penale, "nella parte in cui, in tema di estradizione passiva, non prevede la riparazione per ingiusta detenzione nel caso di arresto provvisorio e di applicazione provvisoria di misura cautelare custodiale su domanda dello Stato estero che si accerti carente di giurisdizione".

La Corte rimettente premette:

- che a seguito di richiesta di estradizione presentata dagli Stati Uniti d’America nei confronti di persona accusata di violenza sessuale commessa a bordo di una nave da crociera che, per quanto emergeva dall’esposizione dei fatti, si trovava in acque territoriali statunitensi, il sospetto autore del reato era stato tratto in arresto dalla polizia italiana il 19 agosto 1998;

- che il Presidente della Corte di appello di Genova aveva convalidato l’arresto e disposto la misura della custodia cautelare in carcere e che il 14 gennaio 1999 l’estradando veniva rimesso in libertà;

- che successivamente la Corte di appello di Genova, nel delibare la richiesta di estradizione, aveva accertato che la nave, che batteva bandiera panamense, non si trovava al momento dei fatti in acque territoriali statunitensi, ma in alto mare, ed era quindi soggetta alla giurisdizione dello Stato di bandiera ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 29 aprile 1958, sottoscritta dall’Italia e dagli Stati Uniti d’America, vincolante anche per lo Stato richiedente;

- che pertanto, difettando la giurisdizione dello Stato richiedente, con sentenza del 2 dicembre 1999 la Corte di appello aveva pronunciato sentenza contraria all’estradizione;

- che l’interessato aveva formulato richiesta di riparazione per ingiusta detenzione e che la Corte di appello di Genova aveva accolto la domanda, affermando - sulla base di una precedente sentenza di legittimità concernente la carenza di giurisdizione dello Stato richiesto - che "l’esistenza della giurisdizione è un prius rispetto al suo esercizio, di tal che se è riparabile l’ingiusta detenzione conseguente al non corretto esercizio della giurisdizione, a fortiori essa è riparabile quando consegue alla carenza della giurisdizione stessa";

- che avverso tale provvedimento aveva proposto ricorso il Procuratore generale di Genova, sostenendo che la Corte di appello aveva erroneamente interpretato la disposizione in esame, applicandola al di là dei casi espressamente consentiti dalla legge.

2. - La Corte di cassazione rimettente, nel sollevare la questione di costituzionalità, dichiara di non condividere l’interpretazione estensiva dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. seguita dalla Corte distrettuale, secondo cui lo Stato italiano, in tema di estradizione passiva, mutua la propria giurisdizione dall’ordinamento dello Stato straniero richiedente, in quanto la giurisdizione è potere originario dello Stato e non deriva dall’altrui giurisdizione, ma è espressione del principio di sovranità ed esiste anche in assenza della giurisdizione dello Stato richiedente.

Al riguardo, la Corte di cassazione richiama un precedente di legittimità con il quale, in un caso di estradizione passiva, si è affermato che non spetta la riparazione per ingiusta detenzione, in quanto "per l’esplicita esclusione dell’applicazione dei parametri previsti dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. operata dall’art. 714, comma 2, cod. proc. pen., l’arresto a fini estradizionali non può dar luogo al diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, e perciò l’interessato non può conseguire alcun apprezzabile beneficio dall’annullamento del provvedimento".

Ritenuta pertanto "non conforme a diritto l’interpretazione estensiva del giudice a quo", la Corte rimettente solleva la questione di legittimità costituzionale per contrasto della disciplina censurata con gli artt. 3, 2 e 13, nonché 24, quarto comma, della Costituzione.

3. - L’art. 3 Cost. sarebbe violato, ad avviso della Corte rimettente, per la irragionevole disparità di trattamento tra chi, privato della libertà personale in forza di una misura emessa, a fini estradizionali, su richiesta di uno Stato estero, non può beneficiare dell’equa riparazione, e chi, privato della libertà in forza di un provvedimento emesso da un giudice dello Stato ma in assenza delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., può ottenere un’equa riparazione, previo accertamento del difetto delle predette condizioni di applicabilità.

Sarebbero violati inoltre gli artt. 2 e 13 Cost., in quanto, come già rilevato dalla Corte costituzionale, la riparazione per l’ingiusta detenzione ha un fondamento squisitamente solidaristico, ed in presenza di una lesione della libertà personale, rivelatasi comunque ingiusta con accertamento ex post, si deve avere riguardo unicamente alla oggettività della lesione stessa.

La disciplina censurata contrasterebbe infine con l’art. 24, quarto comma, Cost., che demanda alla legge di determinare le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari, senza delimitare in alcun modo la tipologia degli stessi, dal momento che tale principio ha trovato "il suo logico sviluppo e la conferma", a livello internazionale, nell’art. 5, paragrafo cinque, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che prevede, appunto, che ogni persona vittima di detenzione ingiusta ha diritto a un indennizzo, e a livello nazionale nel preambolo dell’art. 2 della legge delega per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale (legge 16 febbraio 1987, n. 81), che prescrive l’adeguamento alle norme delle convenzioni internazionali, e nell’art. 2, n. 100, della medesima legge, che impone al Governo di introdurre la riparazione per l’ingiusta detenzione, senza operare distinzioni di sorta.

Considerato in diritto

1. - La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell’art. 314 del codice di procedura penale, "nella parte in cui, in tema di estradizione passiva, non prevede la riparazione per ingiusta detenzione nel caso di arresto provvisorio e di applicazione provvisoria di misura custodiale su domanda dello Stato estero che si accerti carente di giurisdizione".

La Corte rimettente è investita del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Genova avverso la sentenza della medesima Corte di appello che aveva riconosciuto un indennizzo a titolo di riparazione per ingiusta detenzione in favore di un soggetto che, a seguito di richiesta di estradizione avanzata da uno Stato estero, aveva subito un periodo di custodia cautelare in carcere in Italia ed era poi stato posto in libertà.

Con la precedente sentenza contraria alla estradizione la Corte di appello di Genova aveva infatti ritenuto che lo Stato richiedente fosse privo di giurisdizione e successivamente, investita della domanda di riparazione per ingiusta detenzione, aveva affermato che presupposto dell’esercizio della giurisdizione è "l’essere il giudice munito di giurisdizione", mentre nella specie risultava accertato che il provvedimento di custodia cautelare era stato emesso in "mancanza della condizione fondamentale presupposta dall’art. 273, cioè dell’esistenza della giurisdizione". Ad avviso della Corte territoriale, se l’ingiustizia della detenzione che discende dal non corretto esercizio della giurisdizione dà diritto ad un’equa riparazione, a maggior ragione la riparazione è dovuta quando la detenzione consegue ad una situazione di carenza di giurisdizione.

La Corte di cassazione rimettente afferma di non condividere tale interpretazione estensiva dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., in quanto la giurisdizione è un potere originario dello Stato, espressione del principio di sovranità, sussistente anche in assenza della giurisdizione dello Stato richiedente, e richiama tra l’altro una precedente decisione di legittimità, secondo cui l’arresto a fini estradizionali non può dare luogo alla riparazione per ingiusta detenzione dal momento che l’art. 714, comma 2, cod. proc. pen. esclude espressamente che in tale materia trovino applicazione gli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. Pertanto, ritenuta non conforme a diritto l’interpretazione estensiva della Corte di appello, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 2, 3, 13 e 24, quarto comma, della Costituzione.

2. - La questione non è fondata, nei termini di seguito precisati.

3. - La Corte rimettente muove dal presupposto che esista "una carenza di previsione normativa" per le fattispecie del tipo di quella esaminata, in quanto l’esclusione operata dall’art. 714, comma 2, cod. proc. pen. nei confronti degli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. comporterebbe l’inapplicabilità della disciplina dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. alla detenzione a fini estradizionali.

Al riguardo occorre tuttavia considerare che il vigente codice di procedura penale dedica alle misure cautelari nel procedimento di estradizione un’apposita sezione, inserita nel Capo I del Titolo II del Libro XI, ove si fa espresso richiamo alla disciplina delle misure cautelari dettata nel Libro IV, sul presupposto che all’estradando debba applicarsi "lo stesso trattamento dell’imputato davanti a un giudice italiano" (cfr. Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, p. 154). In particolare, l’art. 714, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce che si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del Titolo I del Libro IV, riguardanti appunto le misure coercitive, fatta eccezione dei soli artt. 273 e 280, ove sono contemplate, rispettivamente, le condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari personali (sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, nonché assenza di condizioni di non punibilità, di cause di giustificazione o di estinzione del reato o della pena) e le condizioni di applicabilità delle misure coercitive, con riferimento ai limiti edittali.

Premesso che tra le disposizioni richiamate in via generale in forza del rinvio operato dall’art. 714, comma 2, cod. proc. pen. all’intiero Titolo I, dedicato alle misure coercitive, sono comprese quelle contenute nell’ultimo Capo del Titolo I del Libro IV, relativo alla disciplina della riparazione per ingiusta detenzione, l’espressa previsione della non applicabilità degli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. non può essere interpretata come volontà del legislatore di escludere il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione per i soggetti in attesa di estradizione, bensì come logica impossibilità di valutare nei loro confronti l’ingiustizia della detenzione sulla base dei parametri ricavabili dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., ove sono enunciate condizioni che possono evidentemente operare solo in relazione all’adozione di misure cautelari finalizzate alle esigenze del processo penale italiano.

Nei confronti dei soggetti di cui è richiesta l’estradizione gli estremi dell’ingiusta detenzione dovranno dunque essere valutati verificando se risulta ex post accertata l’insussistenza delle specifiche condizioni di applicabilità delle misure coercitive, per tali soggetti individuate a norma del comma 3 dell’art. 714 cod. proc. pen. nelle "condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione".

Tale interpretazione, oltre a consentire una lettura della disciplina censurata conforme a Costituzione, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha in sostanza ricollegato il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione alla presenza di una oggettiva lesione della libertà personale, comunque ingiusta alla stregua di una valutazione ex post (sentenze n. 310 del 1996, n. 446 del 1997, n. 109 del 1999, n. 284 del 2003 e n. 230 del 2004), è avvalorata, come più volte ribadito nelle menzionate sentenze, da significative indicazioni normative, anche di natura sovranazionale. L’art. 2, n. 100, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, contenente la delega legislativa per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale, enuncia la direttiva della riparazione dell’ingiusta detenzione, senza alcuna distinzione o limitazione circa il titolo della detenzione stessa o le ‘ragioni’ dell’ingiustizia; a sua volta l’alinea dell’art. 2 della citata legge delega stabilisce che il nuovo codice deve adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia relative ai diritti della persona e al processo penale, tra le quali la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, che prevedono rispettivamente, nell’art. 5, paragrafo cinque, e nell’art. 9, paragrafo cinque, il diritto ad un indennizzo in caso di detenzione illegale, senza alcuna limitazione.

Del resto, con specifico riferimento alla detenzione a fini estradizionali, la Raccomandazione n. R(86)13 del 16 settembre 1986 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, in tema di applicazione pratica della Convenzione europea di estradizione, contiene l’invito agli Stati a "esaminare la propria legislazione, in modo da permettere alle persone detenute senza giustificati motivi ai fini dell’estradizione di esigere un indennizzo, alle stesse condizioni previste per la detenzione provvisoria ingiustificata".

La questione deve pertanto essere dichiarata infondata, essendo possibile attribuire alla norma censurata un significato idoneo a superare i profili di illegittimità costituzionale prospettati dalla Corte rimettente, spettando evidentemente al giudice a quo accertare la sussistenza in concreto delle condizioni per il riconoscimento dell’ingiustizia della detenzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 24, quarto comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2004.