Ordinanza n. 208 del 2004

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ORDINANZA N.208

 

ANNO 2004

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai Signori:

 

- Gustavo                                ZAGREBELSKY                    Presidente

 

- Valerio                                 ONIDA                                       Giudice

 

- Carlo                                    MEZZANOTTE                               "

 

- Fernanda                              CONTRI                                           "

 

- Guido                                   NEPPI MODONA                           "

 

- Piero Alberto                        CAPOTOSTI                                    "

 

- Annibale                               MARINI                                           "

 

- Franco                                  BILE                                                 "

 

- Giovanni Maria                    FLICK                                              "

 

- Francesco                             AMIRANTE                                     "

 

- Ugo                                      DE SIERVO                                     "

 

- Romano                                VACCARELLA                               "

 

- Paolo                                    MADDALENA                                "

 

- Alfonso                                QUARANTA                                   "

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 116, comma 13, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze del 7 marzo 2003 dal Giudice di pace di Sorgono nel procedimento civile vertente tra Zedde Marco e la Prefettura di Nuoro e del 18 febbraio 2003 dal Giudice di pace di Roma nel procedimento civile vertente tra Ciocca Raffaello e il Comune di Roma, iscritte ai nn. 365 e 623 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 25 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2003.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 24 marzo 2004 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

 

Ritenuto che il Giudice di pace di Roma, con ordinanza del 18 febbraio 2003 (r.o. n. 623 del 2003), ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 116, comma 13, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui prevede la sanzione amministrativa da lire quattro milioni a lire sedici milioni a carico di chi guidi un motoveicolo di cilindrata superiore a 125 cc., essendo titolare di patente di categoria B conseguita prima del 1988 (rectius: dopo il 1988), e non di patente di categoria A (richiesta, per il periodo successivo al 1988, dal combinato disposto degli artt. 116 e 236 del codice della strada e degli artt. 3 e 5 del decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione 8 agosto 1994, recante “Recepimento della direttiva del Consiglio n. 91/439/CEE del 29 luglio 1991 concernente le patenti di guida”);

 

che, in punto di fatto, il remittente espone che il proprietario di un motoveicolo di 150 cc. titolare di patente di categoria B conseguita dopo il 1988 ha proposto ricorso avverso il verbale di accertamento con il quale la polizia municipale gli ha contestato la violazione dell’art. 116, comma 13, del codice della strada, perché circolava sprovvisto della patente di categoria A;

 

che, in diritto, il remittente osserva che la fattispecie in esame ricadeva in origine nella previsione di cui all’art. 125, comma 3, del codice della strada, il quale puniva la guida di qualsiasi veicolo con patente diversa da quella prescritta ma che, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), il quale ha sostituito alla parola “veicolo” la parola “autoveicolo”, la stessa fattispecie è stata invece attratta nell’ambito di applicazione dell’art. 116, comma 13, dello stesso codice;

 

che il medesimo giudice evidenzia, altresì, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 3 del 1997, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 116, comma 13, del codice della strada, nella parte in cui puniva con sanzione penale colui che, munito di patente di categoria B, C o D, guidasse un veicolo per il quale era richiesta la patente di categoria A, e che, successivamente, la fattispecie prevista da tale norma è stata depenalizzata con il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205);

 

che, ciò premesso, il remittente assume il contrasto della norma denunciata con l’art. 3 della Costituzione, perché essa determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra chi, con patente di categoria B, ma privo di patente di categoria A, guida un motoveicolo superiore a 125 cc., ed è assoggettato dalla norma denunciata alla sanzione amministrativa da lire quattro milioni a lire sedici milioni, e chi, munito di patente B, C o D, guida un autoveicolo che richieda una patente di categoria diversa, ed è assoggettato, dall’art. 125, comma 3, del codice della strada, alla minore sanzione amministrativa da lire 254.030 a lire 1.016.140;

 

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’infondatezza della questione;

 

che anche il Giudice di pace di Sorgono, con ordinanza del 7 marzo 2003 (r.o. n. 365 del 2003), ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 116, comma 13, del decreto legislativo n. 285 del 1992;

 

che la norma viene denunciata “nella parte in cui non differenzia l’ipotesi di guida di un motoveicolo di oltre 125 cc. e 11 kw con sola patente cat. B dalla più grave ipotesi di guida dello stesso motociclo senza patente alcuna”;

 

che, in punto di fatto, il giudice a quo espone di essere stato adito dal conducente di un motociclo che ha proposto ricorso avverso il verbale con il quale i Carabinieri gli hanno contestato, tra l’altro, la violazione dell’art. 116, comma 13, del codice della strada, perché, essendo titolare di patente di categoria B, circolava alla guida di un motociclo di 600 cc., senza aver conseguito la patente di categoria A;

 

che il remittente evidenzia come l’art. 116, comma 13, del codice della strada, irragionevolmente equipari, dal punto di vista sanzionatorio, chi guida senza patente e chi guida con patente diversa da quella prescritta;

 

che, pertanto, appare fondato, secondo il giudice a quo, il dubbio di legittimità costituzionale della norma denunciata, “nella parte in cui non differenzia l’ipotesi di guida di un motociclo con patente diversa da quella richiesta, rispetto alla più grave ipotesi di guida dello stesso motociclo senza patente alcuna”.

 

Considerato che i Giudici di pace di Roma e di Sorgono hanno sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 116, comma 13, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui tale norma punisce con la sanzione da lire quattro milioni a lire sedici milioni (ora, da € 2.168,25 a € 8.676,15) la condotta di chi guida un motociclo con patente diversa da quella prescritta, non differenziando tale ipotesi da quella, più grave, di guida di un motociclo senza patente alcuna;

 

che, per la sostanziale identità delle censure, i giudizi possono essere riuniti e definiti con unica pronuncia;

 

  che la questione sollevata si fonda sul presupposto secondo il quale – avendo l’art. 63 del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive ed integrative del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), sostituito la parola “veicolo” con la parola “autoveicolo” nell’art. 125, comma 3, del decreto legislativo n. 285 del 1992 – tale norma non sarebbe più applicabile alla condotta di guida di motociclo con patente inidonea, la quale sarebbe invece punibile in base alla norma relativa alla guida senza patente;

 

  che peraltro la disciplina che sanzionava la guida con patente inidonea di un motoveicolo (art. 116, comma 13, del decreto legislativo n. 285 del 1992) allo stesso modo della guida senza patente è già stata censurata da questa Corte, osservando che la guida di motoveicolo con patente inidonea non poteva essere punita (all’epoca, con sanzione penale) allo stesso modo della guida senza patente (sentenza n. 3 del 1997);

 

  che la circostanza che, successivamente, la sanzione di cui all’art. 116, comma 13, sia stata depenalizzata (art. 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 recante “Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205) non comporta certamente la conseguenza secondo la quale dovrebbero ora essere nuovamente assoggettate allo stesso trattamento (sanzione da € 2.618,25 a € 8.676,15) le due ipotesi – guida con patente inidonea e guida senza patente – che già la Corte aveva dichiarato di diversa gravità;

 

  che, a conferma dell’esigenza di tenere distinte le due ipotesi, recentemente (con l’art. 2, comma 3, lettera b, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, recante “Modifiche e integrazioni al codice della strada”, convertito nella legge 1° agosto 2003, n. 214), il legislatore ha espressamente ricondotto l’ipotesi di guida di motociclo con patente inidonea all’ambito di applicazione dell’art. 125, comma 3, sanzionandola, come ogni ipotesi di guida con patente inidonea, con la somma da € 137,55 a € 550,20;

 

  che entrambi i remittenti, trascurando il novum costituito dalla richiamata pronuncia di incostituzionalità e assumendo come tuttora presente nell’ordinamento l’assimilazione già censurata da questa Corte, omettono del tutto di esaminare la possibilità di pervenire ad una soluzione diversa – e idonea ad escludere il dubbio di costituzionalità –, attraverso una interpretazione del sistema legislativo tale da ricondurre la disciplina alla sua originaria impostazione;

 

  che conseguentemente, sotto questo profilo, entrambe le ordinanze di remissione risultano carenti sul piano della motivazione e le questioni con esse sollevate devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.

 

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

  riuniti i giudizi,

 

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 116, comma 13, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Roma e dal Giudice di pace di Sorgono, con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2004.

 

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

 

Paolo MADDALENA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2004.