Ordinanza n. 189 del 2004

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ORDINANZA N.189

 

ANNO 2004

 

 

REPUBBLICA ITALIANA                 

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO             

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Valerio                      ONIDA                                     Presidente

 

- Carlo                         MEZZANOTTE                          Giudice

 

- Fernanda                  CONTRI                                            "

 

- Piero Alberto            CAPOTOSTI                                     "

 

- Annibale                   MARINI                                            "

 

- Franco                      BILE                                                  "

 

- Giovanni Maria        FLICK                                               "

 

-  Francesco                AMIRANTE                                      "

 

- Ugo                          DE SIERVO                                      "    

 

-  Romano                   VACCARELLA                               "

 

- Paolo                        MADDALENA                                 "

 

- Alfonso                    QUARANTA                                    "

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 86, commi 1 e 2, e 91-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), promossi con n. due ordinanze del 5 maggio 2003 dal Giudice di Pace di Bianco nei procedimenti civili vertenti tra Strangio Giuseppe e Commisso Filippo e l’E.T.R. S.p.a. di Reggio Calabria, iscritte ai nn. 557 e 558 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 marzo 2004 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Giudice di pace di Bianco, con due ordinanze in data 5 maggio 2003 aventi identica motivazione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 86, commi 1 e 2, e 91-bis, in relazione all’art. 77, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nella parte in cui non prevedono che, in caso di fermo amministrativo di un veicolo, questo possa avvenire sui beni di proprietà del debitore fino alla concorrenza del doppio dell’importo del credito complessivo per cui si procede, così come previsto dall’art. 77 dello stesso d.P.R. nel caso di iscrizione di ipoteca sui beni immobili del debitore, e nella parte in cui non prevedono che l’esperimento di un tentativo di pignoramento con esito negativo costituisca presupposto necessario del fermo amministrativo del veicolo;

che il  rimettente riferisce di essere investito di non meglio precisati “tempestivi ricorsi” presentati da due proprietari di veicoli assoggettati a fermo amministrativo da parte di concessionari della riscossione dei tributi e che nei giudizi a quibus le parti hanno sollevato eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il Giudice di pace rimettente osserva che i provvedimenti di fermo amministrativo appaiono “ingiusti, illegittimi, iniqui” e che “l’attività posta in essere dal concessionario risulta essere emanata in assoluta carenza di potere, oltre che lesiva dei diritti soggettivi” dei ricorrenti;

che, dopo aver ricostruito il quadro normativo applicabile alla fattispecie, il rimettente osserva che, in assenza del decreto di attuazione previsto dall’ultimo comma dell’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, il concessionario “non ha alcun potere per disporlo [il fermo] per il semplice ed insuperabile motivo che un precetto privo della normativa di attuazione è un precetto inapplicabile”;

che, dopo aver escluso l’attuale vigenza del d.m. 7 settembre 1998, n. 503, in quanto allora il fermo aveva una funzione diversa ed era in ogni caso subordinato alla richiesta di un pignoramento negativo o del verbale di irreperibilità, il giudice a quo osserva come il fermo sia “sovradimensionato” e rimesso alla discrezionalità del privato concessionario;

che, secondo il rimettente, il d.m. 7 settembre 1998, n. 503,  prevedeva la necessità di un previo pignoramento negativo e poneva un limite di lire cinquecentomila al di sotto del quale non poteva disporsi il provvedimento di fermo, e ancora che era vietato il pignoramento di beni mobili per un valore presunto superiore al doppio del debito;

che il Giudice di pace di Bianco ricorda poi che l’art. 517 cod. proc. civ. prescrive che l’esecuzione vada eseguita sulle cose indicate dal debitore, norma questa completamente ignorata dal concessionario procedente nei due casi che hanno dato origine ai giudizi a quibus;

che, dopo aver ricordato la modifica del comma 1 della disposizione impugnata ad opera del d.lgs. 27 aprile 2001, n. 193, che ha attribuito al concessionario un indiscriminato potere discrezionale, eliminando il filtro rappresentato dall’art. 79 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, il rimettente rileva che si riscontra una grave ed irragionevole disparità di trattamento se si compara l’art. 86 con l’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973, dal momento che, mentre in caso di fermo amministrativo di veicolo non è previsto alcun limite di valore, l’iscrizione ipotecaria avviene solo per un importo pari al doppio dell’importo del credito per cui si procede;

che secondo il giudice a quo si può configurare un serio dubbio di legittimità costituzionale anche dell’art. 91-bis del citato d.P.R. n. 602 del 1973, per violazione dell’art. 3 Cost., “proprio a causa della ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento della norma in esame nei confronti dei soggetti a concordato preventivo e/o ad amministrazione controllata rispetto a chi versa in questo stato per il medesimo provvedimento di espropriazione forzata, cioè il fermo amministrativo dei beni mobili registrati”;

che, quanto alla rilevanza delle questioni, il rimettente afferma che ai fini della decisione sui ricorsi “è assolutamente necessario valutare la corretta applicazione da parte del concessionario del potere di disporre il fermo amministrativo di un bene mobile iscritto nei pubblici registri ai sensi dell’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, disposizione della cui legittimità costituzionale questo giudice dubita fortemente”;

che è intervenuto nei giudizi di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare inammissibili o infondate le questioni sollevate;

che, secondo la difesa erariale, le ordinanze di rimessione risultano prive di una idonea descrizione degli elementi essenziali dei giudizi pendenti, nonché della dovuta motivazione in ordine alla rilevanza delle questioni ed ai parametri costituzionali che sono solo apoditticamente invocati;

che, secondo quanto osserva ancora l’Avvocatura, nelle ordinanze vengono citate alla rinfusa norme non pertinenti o abrogate (come l’art. 91-bis del d.P.R. n. 602 del 1973), e vengono richiamati istituti del tutto estranei alla fattispecie, come il concordato preventivo e l’amministrazione controllata;

che nel merito la difesa della Presidenza del Consiglio osserva che l’importo minimo del debito che consente l’attivazione del fermo amministrativo del veicolo, di cui all’art. 79 del d.P.R. n. 43 del 1988, era previsto solo per la trasmissione alla amministrazione finanziaria del verbale di pignoramento negativo, per consentire alla stessa di indicare i beni (compresi i veicoli iscritti al PRA) sui quali effettuare ulteriori tentativi di esecuzione, atteso che all’epoca i concessionari non potevano accedere direttamente all’anagrafe tributaria;

che ad avviso della difesa erariale tale limite non incideva quindi sulla possibilità di procedere alla esecuzione su detti beni, il cui presupposto è sempre stato la morosità del debitore, e che in ogni caso a seguito della entrata in vigore del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112, l’intero d.P.R. n. 43 del 1988 è stato abrogato;

che, quanto alla proporzionalità tra il debito vantato dagli enti creditori e l’iscrizione del fermo amministrativo, l’Avvocatura osserva che la stessa era prevista in una disposizione abrogata (art. 64 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo antecedente al d.lgs. n. 46 del 1999), e che, quanto alla scelta delle cose da pignorare di cui all’art. 517 cod. proc. civ., si tratta di disposizione che presuppone una collaborazione del debitore che generalmente non viene prestata;

che l’Avvocatura osserva infine che nessun raffronto può essere fatto, ai fini del giudizio di eguaglianza, tra il fermo previsto dalla disposizione impugnata e l’iscrizione di ipoteca di cui all’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973, sia perché si tratta di istituti fra loro diversi, sia perché, come ha più volte osservato la Corte, il legislatore gode di ampia discrezionalità in ordine alle misure da adottare a garanzia dei diversi crediti.

Considerato che il Giudice di pace di Bianco dubita della legittimità costituzionale degli artt. 86, commi 1 e 2, e 91-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nella parte in cui non prevedono che, in caso di applicazione della sanzione del fermo amministrativo del veicolo, sia stabilito che questo possa avvenire sui beni di proprietà del debitore fino alla concorrenza del doppio dell’importo del credito complessivo per cui si procede, così come previsto dall’art. 77 dello stesso d.P.R. per l’iscrizione di ipoteca sui beni immobili del debitore, e nella parte in cui non prevedono che, anche nel caso di applicazione della sanzione del fermo amministrativo del mezzo, venga previsto, quale presupposto necessario, l’esperimento di un tentativo di pignoramento con esito negativo;

che secondo il rimettente le disposizioni impugnate violano gli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione;

che le due ordinanze sollevano, con identica motivazione, la stessa questione di legittimità costituzionale e i giudizi vanno quindi riuniti per essere decisi con unico provvedimento;

che l’art. 91-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, già introdotto dall’art. 5, comma 4, lettera e), del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, non è stato riprodotto dall’art. 16 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), che ha sostituito l’intero Titolo II del d.P.R. n. 602 del 1973, e deve ritenersi perciò abrogato;

 che le ordinanze di rimessione contengono una descrizione del tutto carente delle fattispecie sottoposte al giudice a quo, non essendo dato sapere quale sia la natura dei crediti per la riscossione dei quali sta procedendo l’esattoria nei confronti dei debitori i cui veicoli sono stati assoggettati a fermo amministrativo;

che le ordinanze non contengono alcuna specifica motivazione in ordine all’asserita violazione degli artt. 53 e 97 della Costituzione; 

che gli atti che hanno promosso il giudizio della Corte risultano motivati in modo contraddittorio, dal momento che il giudice a quo, se da un lato solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, dall’altro afferma che, in mancanza del decreto ministeriale previsto dall’ultimo comma della disposizione, i provvedimenti di fermo amministrativo appaiono “ingiusti, illegittimi, iniqui” e che “l’attività posta in essere dal concessionario risulta essere emanata in assoluta carenza di potere, oltre che lesiva dei diritti soggettivi” dei ricorrenti, ciò che renderebbe irrilevante, nella stessa prospettazione del rimettente, la decisione della Corte;

che nessuna attinenza ai giudizi in corso hanno gli istituti del concordato preventivo e dell’amministrazione controllata; 

che, come questa Corte ha più volte affermato, le ordinanze contenenti una insufficiente descrizione della fattispecie concreta, tale da non consentire un'adeguata valutazione della rilevanza, così come quelle motivate in modo contraddittorio, sono manifestamente inammissibili (cfr., fra le ultime, ordinanze n. 61 e n. 119 del 2002).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 86, commi 1 e 2, e 91-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, dal Giudice di pace di Bianco con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2004.

 

Valerio ONIDA, Presidente

 

Fernanda CONTRI, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2004.