Ordinanza n. 149 del 2004

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ORDINANZA N.149

 

ANNO 2004

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

 

- Valerlo ONIDA

 

- Carlo MEZZANOTTE

 

- Fernanda CONTRI                           

 

- Guido NEPPI MODONA

 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

 

- Annibale MARINI

 

- Franco BILE 

 

- Giovanni Maria FLICK

 

- Francesco AMIRANTE

 

- Ugo DE SIERVO

 

- Romano VACCARELLA

 

- Paolo MADDALENA

 

- Alfonso QUARANTA

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo modificato dall’art. 18 del decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80), promosso con ordinanza del 16 gennaio 2001 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Tito Sanò contro il Ministero dell’ambiente ed altri, iscritta al n. 480 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2001.

 

Visti l’atto di costituzione di Tito Sanò nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 24 marzo 2004 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

 

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza emessa in data 16 gennaio 2001, nel corso del giudizio di impugnazione della delibera del Consiglio di amministrazione dell’ANPA – Associazione nazionale per la protezione dell’ambiente – n. 430 del 18 dicembre 1998, con la quale era stato conferito a soggetto esterno all’amministrazione l’incarico di dirigente responsabile del Dipartimento rischio tecnologico e naturale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo modificato dall’art. 18 del decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80), nella parte in cui devolve al giudice ordinario le controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali a tempo determinato;

 

che, ad avviso del giudice a quo, detta disciplina si porrebbe in contrasto con gli artt. 76 e 77 della Costituzione, per esorbitanza dai limiti contenuti nella delega, nonché con gli artt. 97, 103 e 113 della Costituzione, per violazione dei parametri preposti ad un ragionevole riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo;

 

che, sotto il primo profilo, osserva il collegio rimettente che la legge delega non avrebbe inteso attribuire al giudice ordinario la cognizione della fase relativa alla scelta discrezionale del dirigente, prodromica all’assegnazione dell’incarico: l’art. 11, comma 4, lettera g), della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), attribuendo al giudice ordinario tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorché concernenti in via incidentale atti amministrativi presupposti, ai fini della disapplicazione, avrebbe infatti inteso mantenersi nel solco della tradizionale ripartizione di competenze tra giudice ordinario e giudice amministrativo; sembrerebbe pertanto ragionevole ritenere che l’oggetto della delega sia delimitato ai profili organizzatori “conseguenti allo specifico rapporto di lavoro in atto del dirigente”, con la conseguenza che il legislatore delegato, attribuendo al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla predetta fase, con consequenziale possibilità di una conoscenza diretta del provvedimento amministrativo di conferimento dell’incarico, avrebbe violato i limiti contenuti nella legge delega;

 

che, sotto il profilo relativo alla assunta violazione degli artt. 97, 103 e 113 della Costituzione, il giudice rimettente osserva che dall’insieme di queste norme si dovrebbe ricavare la regola di ragionevolezza secondo cui, salve espresse deroghe legislative, al giudice amministrativo debba essere attribuita la cognizione degli interessi legittimi e al giudice ordinario la cognizione dei diritti soggettivi: al primo dovrebbe, pertanto, essere demandata la cognizione delle situazioni di interesse legittimo connesse al provvedimento amministrativo di conferimento dell’incarico dirigenziale, essendo il giudice amministrativo dotato di strumenti più adatti a sindacare i vizi funzionali dell’atto, attraverso il ricorso alle figure sintomatiche dell’eccesso di potere, necessario per garantire il buon andamento dell’azione amministrativa e il perseguimento dell’interesse pubblico sotteso alla scelte discrezionali e alla selezione comparativa dei dirigenti più capaci;

 

che risulterebbe, inoltre, non conforme a principi di ragionevolezza e coerenza legislativa mantenere la dicotomia tra pubblico concorso per esami, ritenuta inerente al profilo organizzativo e in quanto tale assegnata alla cognizione del giudice amministrativo, e conferimento degli incarichi dirigenziali, attribuiti alla cognizione del giudice ordinario, nonostante la maggiore delicatezza della scelta amministrativa;

 

che si è costituito il ricorrente nel giudizio a quo chiedendo l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale;

 

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo in via preliminare l’inammissibilità della questione per carenza di motivazione sulla rilevanza, in quanto il giudice a quo non avrebbe considerato la specificità del caso concreto relativo al conferimento – esclusivamente a mezzo di contratto – dell’incarico a soggetto esterno all’amministrazione; ed inoltre perché egli sosterrebbe la mera opportunità, e non l’esigenza costituzionale, che delle controversie in materia di incarichi dirigenziali conosca il giudice amministrativo anziché il giudice ordinario;

 

che nel merito la difesa erariale ha dedotto l’infondatezza della questione, rilevando, quanto al denunciato eccesso di delega, come la norma di delega abbia devoluto all’autorità giurisdizionale ordinaria tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, superando il riparto di giurisdizione fondato sulla distinzione tra materia contrattualizzata e materia rimessa alla fonte pubblicistico-unilaterale, mentre la giurisdizione del giudice amministrativo è limitata esclusivamente alla materia delle procedure concorsuali propriamente dette imposte dalla legge per l’assunzione in ruolo;

 

che, in ordine alle censure di incoerenza e non ragionevolezza delle norme impugnate, la difesa erariale ha sottolineato “l’assenza di vincoli costituzionali al riparto della giurisdizione ed alla strutturazione della tutela avanti a giudici diversi”, affermando inoltre che la scelta legislativa di attribuzione della materia in esame al giudice ordinario non realizzerebbe un deficit di tutela degli interessi che faccia risultare irragionevoli le disposizioni impugnate, in quanto il giudice ordinario potrebbe adottare tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi e di condanna richiesti dalla natura dei diritti tutelati;

 

che la parte privata costituita nel giudizio ha depositato una memoria con la quale ha insistito nelle proprie conclusioni.

 

Considerato che la questione sottoposta all’esame della Corte concerne l’art. 68, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo modificato dall’art. 18 del decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80), nella parte in cui ha devoluto al giudice ordinario le controversie concernenti il conferimento (e la revoca) degli incarichi dirigenziali;

 

che, ad avviso del giudice a quo, tale disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 76 e 77 della Costituzione, per violazione dei limiti contenuti nella legge delega, nonché con gli artt. 97, 103 e 113 della Costituzione per violazione dei parametri che presiedono ad un ragionevole riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo;

 

che la norma censurata dal collegio rimettente è stata riprodotta nella disposizione dell’art. 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni), cosicché, come già ritenuto da questa Corte – a partire dalla sentenza n. 84 del 1996, e, successivamente, tra le altre, dalle sentenze n. 454 del 1998 e n. 376 del 2000, e dalla ordinanza n. 11 del 2002 – la questione di legittimità costituzionale deve intendersi trasferita sulla citata disposizione del testo unico;

 

che deve preliminarmente rilevarsi che la peculiarità della fattispecie caratterizzata dal conferimento dell’incarico dirigenziale a tempo determinato a soggetto esterno all’amministrazione – ipotesi nella quale mancava pertanto un pregresso rapporto di lavoro dipendente con l’ente pubblico – avrebbe dovuto indurre il giudice a quo a fornire una compiuta motivazione in ordine alla ritenuta applicabilità della norma in questione;

 

che tale motivazione era tanto più necessaria alla luce della opportunità, che lo stesso rimettente afferma, di una lettura estensiva del comma 4 dell’art. 68 del d.lgs. n. 29 del 1993 – il quale prevede, quali ipotesi residuali di giurisdizione del giudice amministrativo nella materia del pubblico impiego, le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni – in relazione alla necessità di considerare rimesse al giudice amministrativo le controversie che attengono all’assunzione di funzioni pubbliche per le quali siano prescritte modalità concorsuali di accesso, nonché le questioni riconducibili alla violazione della predetta procedura;

 

che, al riguardo, il collegio rimettente non ha fornito alcuna descrizione delle modalità della procedura selettiva adottata, nel caso di specie, ai fini della scelta del soggetto cui conferire l’incarico, neppure in ordine all’eventuale formazione di una graduatoria di merito tra i candidati, vincolante per l’amministrazione, così da consentire l’individuazione di elementi idonei a ricondurre la disciplina per il conferimento dell’incarico nell’ambito di una procedura concorsuale, ancorché atipica, ovvero nell’ambito di una mera valutazione di idoneità;

 

che la carenza di indagine al riguardo e la conseguente omessa valutazione della incidenza degli elementi prospettati sull’applicabilità nella fattispecie della norma di cui si tratta si traducono in una carenza motivazionale in ordine alla rilevanza della questione, e, quindi, in un assorbente profilo di manifesta inammissibilità della stessa.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo modificato dall’art. 18 del decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80), ora sostituito dall’art. 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni), sollevata, in riferimento agli artt. 76, 77, 97, 103 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 2004.

 

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

 

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 25 maggio 2004.