Ordinanza n. 298 del 2003

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ORDINANZA N. 298

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-Riccardo CHIEPPA, Presidente

-Gustavo ZAGREBELSKY

-Valerio ONIDA

-Carlo MEZZANOTTE

-Fernanda CONTRI

-Guido NEPPI MODONA

-Piero Alberto CAPOTOSTI                                   

-Annibale MARINI

-Franco BILE

-Giovanni Maria FLICK

-Francesco AMIRANTE

-Romano VACCARELLA

-Paolo MADDALENA

-Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 79, primo e secondo comma,  della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), promosso con ordinanza dell’11 ottobre 2002 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Hilole Ahmed Moallim e Filippini Marco, iscritta al n. 546 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, edizione straordinaria, prima serie speciale, del 27 dicembre 2002.

Udito nella camera di consiglio del 18 giugno 2003 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Tribunale di Genova, con ordinanza emessa in data 11 ottobre 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 42 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 79, secondo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani) e, conseguentemente, degli artt. 79, primo comma, e 12, primo comma, della medesima legge, “là dove il citato art. 79, II comma, non limiti il diritto del locatario di ripetere la differenza tra canone equo e canone pattizio (regolarmente corrisposto) ai soli casi in cui il locatario stesso dimostri che il contratto di locazione si sia risolto per morosità, conseguente a impotenza finanziaria dovuta al pregresso pagamento di tali differenze”;

che il Tribunale ha inoltre sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 79, primo e secondo comma, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24 e 25 della legge n. 392 del 1978, “là dove i citati articoli della legge 392/1978 non prevedano che la differenza tra il canone equo e quello pattizio sia a carico dell’erario”;

che il rimettente, dopo aver premesso che la stessa questione, già sollevata nel medesimo giudizio, è stata dichiarata inammissibile dalla Corte con ordinanza n. 287 del 2002, per difetto di motivazione sulla rilevanza, afferma di dover nuovamente prospettare il dubbio di legittimità costituzionale ai fini della prosecuzione del giudizio e, a tal fine, provvede ad indicare gli elementi di fatto omessi nella precedente ordinanza di rimessione;

che, ad avviso del rimettente, l’imposizione della misura del canone, pur contrastando con i diritti inviolabili dell’uomo, con il principio di eguaglianza e con la tutela della proprietà, può tuttavia trovare giustificazione se finalizzata alla tutela di diritti aventi pari dignità costituzionale, come è quello all’abitazione, ed in quanto sia volta a creare e mantenere un mercato delle locazioni calmierato;

che, come sostiene il rimettente, già al momento dell’entrata in vigore del decreto legge n. 333 del 1992 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito nella legge n. 359 del 1992 - che ha previsto la possibilità di stipulare patti in deroga all’equo canone - potrebbe essere cessata l’esigenza di calmierare il mercato delle locazioni ed essere quindi venuta meno la ragione giustificatrice delle norme di tutela contenute nella legge sull’equo canone;

che tale situazione darebbe luogo al dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 79 della legge n. 392 del 1978, poiché sarebbero superate le ragioni dell’antigiuridicità del pagamento di somme in eccedenza rispetto all’equo canone;

che, a parere del giudice a quo, le norme che impongono l’equo canone sarebbero inoltre contrarie agli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione, in quanto farebbero gravare solo su alcune categorie il dovere di solidarietà che invece è da porre a carico dell’intera collettività;

che non solo l’art. 79 ma anche gli artt. da 12 a 25 della legge n. 352 del 1978 sarebbero illegittimi, poiché non prevedono che la differenza tra equo canone e canone di mercato sia posta a carico dell’erario.

Considerato che il giudice a quo lamenta la illegittimità costituzionale delle indicate norme della legge n. 392 del 1978 le quali, predeterminando la misura del canone degli immobili ad uso abitativo, non limitano il diritto del conduttore alla ripetizione delle somme versate in eccedenza nei soli casi di incapacità economica e al tempo stesso non pongono a carico dell’erario la differenza tra canone equo e canone contrattuale;

che le questioni prospettate appaiono manifestamente infondate sotto i seguenti diversi profili;

che con la disciplina dell’equo canone il legislatore ha voluto perseguire lo scopo sociale di favorire il godimento di un bene primario in una situazione di mercato immobiliare gravemente carente nell’offerta di alloggi e a tal fine ha stabilito un complesso di controlli sui canoni delle locazioni attraverso molteplici e coordinate scelte (ordinanza n. 17 del 1989);

che in particolare le scelte di predeterminare il canone di locazione sulla base di parametri oggettivi, di sanzionare con la nullità qualunque patto diretto a corrispondere al locatore un canone maggiore e di prevedere per il conduttore l’azione di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte, senza attribuire alcun rilievo alla capacità economica di quest’ultimo, costituiscono espressione di un ponderato e non irragionevole bilanciamento di interessi, che si sottrae alle dedotte censure di incostituzionalità;

che il progressivo mutamento della realtà economico-sociale del paese ha consentito il passaggio dalla determinazione legislativa del canone di locazione degli immobili ad uso abitativo alla libera determinazione negoziale di esso;

che la modifica della disciplina delle locazioni è stata attuata in modo necessariamente graduale, con la previsione di un periodo transitorio, durante il quale le norme sull’equo canone, pur abrogate dalla legge n. 431 del 1998, continuano ovviamente ad applicarsi fino all’esaurimento o alla trasformazione dei vecchi rapporti di locazione;

che il definitivo superamento della ratio legis della disciplina dell’equo canone non può comportare, come vorrebbe il rimettente, la soppressione delle disposizioni poste in precedenza a tutela del conduttore, per non incidere retroattivamente proprio sul regime inderogabile del contratto;

che non spetta a questa Corte introdurre distinzioni, come vorrebbe il rimettente, tra categorie di conduttori in relazione al medesimo bene primario, subordinando al reddito la nullità dei patti contrari alla legge e il diritto di ripetere le somme indebitamente versate;

che piuttosto la modifica auspicata dal rimettente, consistente nel porre  a carico della collettività il pagamento della differenza tra canone equo e canone contrattuale, non solo non è costituzionalmente obbligata, ma potrebbe essa sì presentare profili di irragionevolezza;

che pertanto le questioni sollevate devono dichiararsi manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 79, primo e secondo comma, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24 e 25 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 42 e 53 della Costituzione, dal Tribunale di Genova, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,

il 22 settembre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2003.