Sentenza n. 530/2002

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.530

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA                     

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 145, comma 62, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), promosso con ricorso della Regione Veneto notificato il 26 gennaio 2001, depositato in Cancelleria il 2 febbraio successivo ed iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2001.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 19 novembre 2002 il Giudice relatore Annibale Marini;

uditi gli avvocati Romano Morra ed Andrea Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 26 gennaio 2001, depositato in Cancelleria il 2 febbraio successivo, la Regione Veneto ha impugnato l’art. 145, comma 62, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), in quanto ritenuto contrastante con gli artt. 3, 5, 81, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione nonché con il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

La norma impugnata dispone che "ai fini dell’applicazione dell’art. 29 della legge 13 maggio 1999, n. 133, il tasso effettivo globale medio per le medesime operazioni di cui al comma 1 del citato articolo 29 è da intendersi come il tasso effettivo globale medio dei mutui all’edilizia in corso di ammortamento".

Ad avviso della Regione ricorrente, detta norma, solo apparentemente interpretativa, avrebbe in realtà surrettiziamente innalzato il tasso di riferimento, costituente il limite oltre il quale - ai sensi del citato art. 29 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale) - è attivabile la procedura di rinegoziazione dei mutui agevolati.

Le Regioni ne risulterebbero danneggiate sotto un duplice profilo: perché verrebbe in tal modo ridotto il numero dei mutui suscettibili di rinegoziazione e perché, comunque, il tasso rinegoziato sarebbe, in base alla norma impugnata, considerevolmente più alto di quello derivante dall’applicazione del testo originario del citato art. 29. Norma, quest’ultima, che - ricorda la Regione ricorrente - sarebbe stata introdotta nell’ordinamento al fine di ricondurre ad equità, a seguito della repentina discesa dei tassi di interesse, i contratti di mutuo agevolato stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996 in tema di usura, in considerazione del fatto che, per il pagamento degli interessi su tali mutui, vengono impiegate ingenti risorse pubbliche, oggi a carico delle Regioni.

Ne risulterebbe, in definitiva, lesa l’autonomia, anche finanziaria, delle Regioni, costituzionalmente garantita dagli artt. 3, 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

Sotto un diverso aspetto la stessa norma si porrebbe poi in contrasto anche con il principio di ragionevolezza, incidendo su situazioni giuridiche già cristallizzate per effetto delle domande di rinegoziazione presentate prima della sua entrata in vigore.

In una memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica la Regione Veneto rileva che, successivamente alla proposizione del ricorso, il TAR Lazio, con numero 18 sentenze dell’8 luglio 2002, ha respinto i ricorsi proposti da numerosi istituti di credito per l’annullamento del d.m. n. 110 del 2000, attuativo dell’art. 29 della legge n. 133 del 1999. In tali sentenze si afferma espressamente che il suddetto art. 29 avrebbe attribuito agli enti concedenti i contributi ed ai beneficiari di tali contributi un diritto potestativo in grado di determinare, unilateralmente, la sostituzione del tasso di interesse contrattuale con quello indicato dalla norma stessa.

Risulterebbe pertanto confermata la tesi della stessa ricorrente, secondo la quale la norma impugnata avrebbe retroattivamente modificato, in senso sfavorevole alle Regioni, i contratti di mutuo agevolato già unilateralmente modificati, quanto al tasso di interesse, per effetto delle richieste di rinegoziazione tempestivamente presentate dalle Regioni stesse.

L’irragionevolezza della norma emergerebbe del resto con tutta evidenza - ad avviso sempre della Regione Veneto - nel confronto con la disciplina introdotta dal coevo decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394 (Interpretazione autentica della L. 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura), convertito nella legge 28 febbraio 2001, n. 24, emanato al fine di ricondurre ad equità i contratti di mutuo (ordinari) divenuti eccessivamente onerosi per effetto della eccezionale caduta dei tassi di interesse verificatasi nel biennio 1998-1999. Tale normativa - emendata dalla Corte costituzionale in senso più favorevole ai mutuatari, con la sentenza n. 29 del 2002 - ha infatti ridotto il tasso dei mutui in essere per l’acquisto o la costruzione della prima casa all’8%, escludendo però espressamente i mutui agevolati, che risulterebbero quindi irrazionalmente soggetti ad una disciplina meno favorevole rispetto ai mutui non agevolati, in quanto il tasso derivante dall’applicazione della norma impugnata, in riferimento allo stesso periodo, si aggirerebbe intorno al 12%.

2.- Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso.

Ricorda innanzitutto l’Avvocatura come la ratio dell’art. 29 della legge n. 133 del 1999 fosse quella di ricondurre ad un equilibrio sostanziale rapporti di mutuo di lunga durata, a tasso fisso, ormai al di fuori dei parametri di mercato in ragione dell’eccezionale caduta dei tassi di interesse avvenuta in Europa ed in Italia nel biennio 1998-1999. Il decreto ministeriale di attuazione previsto dalla stessa norma, emanato in data 24 marzo 2000, trovò tuttavia una ferma opposizione da parte del sistema bancario, da cui ebbe origine un esteso contenzioso, di fatto impeditivo di qualsiasi ridefinizione dei tassi.

Al fine di superare le reazioni del sistema bancario e tenere conto di alcune delle esigenze prospettate, il legislatore avrebbe dunque proceduto, con la norma impugnata, a definire il tasso effettivo globale medio per le operazioni di cui si tratta in modo diverso rispetto a quanto inizialmente previsto, assumendo a base non già i nuovi rapporti di mutuo accesi nel periodo di riferimento, bensì tutti quelli in corso di ammortamento.

Ciò premesso l’Avvocatura osserva che la norma impugnata è diretta a disciplinare in via generale rapporti privatistici, in deroga ai principi di cui agli artt. 1322 e 1372 del codice civile, e che solo indirettamente tale normativa si riflette (in senso comunque positivo rispetto alla disciplina codicistica) sul debito accessorio degli enti pubblici erogatori di un contributo sugli interessi dei mutui agevolati.

Essa dunque non interferisce - ad avviso dell’Avvocatura - con la competenza regionale in materia di edilizia residenziale pubblica, essendo pacifico che, pur nelle materie in cui è riconosciuta alle Regioni competenza legislativa, la disciplina dei diritti soggettivi per quanto riguarda i profili civilistici dei rapporti da cui derivano appartiene alla competenza istituzionale dello Stato.

Non vi sarebbe dunque alcuna lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni né alcuna violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, non essendo configurabile in materia nessun obbligo di concertazione o consultazione. La norma impugnata si porrebbe in definitiva sullo stesso piano di discrezionalità proprio della norma da essa modificata (e cioè l’art. 29 della legge n. 133 del 1999).

Non sussisterebbe nemmeno violazione del principio di ragionevolezza in quanto la disposizione censurata mirerebbe a rendere concretamente applicabile un intervento riequilibratore tutt’altro che consolidato, "calibrandone la misura in modo di superarne le concrete difficoltà di realizzazione pratica". Essa sarebbe anzi specificamente ispirata ad un criterio di ragionevolezza "in quanto volta a salvaguardare, sul piano dell’effettività, rendendolo concretamente perseguibile, l’obiettivo primario della riconduzione ad equilibrio dei rapporti in questione, senza trascurare le esigenze dell’ordinamento creditizio ad evitare contraccolpi negativi per il sistema bancario anche in sede comunitaria ed internazionale".

In una memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, l’Avvocatura sottolinea, in via preliminare, la genericità delle doglianze formulate dalla Regione riguardo alla lesione della propria autonomia finanziaria, ribadendo, sotto tale profilo, la richiesta di declaratoria di inammissibilità del ricorso stesso.

Nel merito, riguardo all’assunto secondo il quale la disposizione censurata porrebbe un nuovo ed indebito onere a carico del bilancio regionale, l’Avvocatura - premesso che sulle regioni gravano i soli oneri relativi ai programmi di edilizia agevolata da esse stesse attivati - osserva che "le risorse impegnate per la concessione delle agevolazioni creditizie non gravano sul bilancio regionale, ma costituiscono quota parte dei contributi ex Gescal ripartiti tra le regioni per finalità proprie dell’edilizia residenziale (nello specifico per l’edilizia agevolata), che hanno una gestione contabile separata di bilancio". Deduce poi la medesima difesa che, per effetto dell’art. 29 della legge n. 133 del 1999, come integrato dalla norma censurata, i tassi di interesse dei mutui agevolati - e, conseguentemente, la quota-parte a carico dell’ente pubblico - vengono comunque a diminuire e dunque non si sarebbe verificato, come sostiene la Regione, un aumento di spesa ma solo una minore economia rispetto a quella inizialmente prospettata con la norma originaria, rimasta inattuata a causa della opposizione del sistema bancario.

Considerato in diritto

1.- Il ricorso proposto dalla Regione Veneto ha ad oggetto l’art. 145, comma 62, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), ritenuto in contrasto con gli artt. 3, 5, 81, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione nonché con il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

La norma impugnata dispone che, "ai fini dell’applicazione dell’art. 29 della legge 13 maggio 1999, n. 133, il tasso effettivo globale medio per le medesime operazioni di cui al comma 1 del citato articolo 29 è da intendersi come il tasso effettivo globale medio dei mutui all’edilizia in corso di ammortamento".

Secondo la Regione ricorrente mediante tale disposizione sarebbe stato surrettiziamente innalzato il tasso di riferimento, costituente il limite oltre il quale, ai sensi del citato art. 29 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), può essere attivata la procedura di rinegoziazione dei mutui a tasso agevolato. Le Regioni - sul cui bilancio gravano i relativi contributi - ne risulterebbero economicamente danneggiate sia perché verrebbe in tal modo ridotto il numero dei mutui suscettibili di rinegoziazione sia perché, comunque, il tasso rinegoziato sarebbe, in base alla norma impugnata, considerevolmente più alto di quello derivante dall’applicazione del testo originario del citato art. 29.

In ciò, appunto, la Regione Veneto ravvisa una violazione dell’autonomia, anche finanziaria, delle Regioni, costituzionalmente garantita, nonché del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

2.- La questione è inammissibile.

2.1.- L’art. 29 della legge 13 maggio 1999, n. 133, allo scopo di ricondurre ad equità i contratti di mutuo agevolato in corso, divenuti eccessivamente onerosi a seguito della repentina discesa dei tassi di interesse, prevede che "gli enti concedenti contributi agevolati [...] nonché le persone fisiche e giuridiche destinatarie di tali contributi, possono, in via disgiunta, chiedere all’istituto mutuante la rinegoziazione del mutuo nel caso in cui il tasso di interesse applicato ai contratti di finanziamento stipulati risulti superiore al tasso effettivo globale medio per le medesime operazioni, determinato ai sensi dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, alla data della richiesta, al fine di ricondurre il tasso di interesse ad un valore non superiore al citato tasso effettivo globale medio alla predetta data ".

La norma impugnata, successivamente intervenuta, sostituendo al "tasso effettivo globale medio per le medesime operazioni, determinato ai sensi dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108", il "tasso effettivo globale medio dei mutui all’edilizia in corso di ammortamento", ha indubbiamente modificato la originaria previsione normativa in senso meno favorevole ai mutuatari ed agli enti concedenti i contributi, in quanto la media dei tassi di tutti i mutui all’edilizia in corso di ammortamento - ivi compresi quelli stipulati in epoca in cui il costo del denaro era ben più alto dell’attuale - risulterà evidentemente superiore, ed anche in maniera sensibile, rispetto alla media dei tassi dei soli mutui stipulati nel trimestre precedente la rilevazione.

Premesso che l’effetto finale del duplice intervento del legislatore statale risulta, comunque, vantaggioso per i mutuatari e per gli enti obbligati alla erogazione dei contributi, comportando, in ogni caso, la possibilità di una riduzione (pur se in misura minore rispetto a quella prevista dall’originario art. 29) del tasso di interesse convenuto, ciò che importa sottolineare è che la norma impugnata opera sul piano dei rapporti interprivati e non incide, pertanto, sull’autonomia finanziaria dell’ente, oggetto della garanzia costituzionale.

Diversamente opinando, si perverrebbe alla paradossale conclusione che ogni rapporto nel quale la Regione possa configurarsi come debitore rileverebbe sul piano costituzionale (sentenza n. 208 del 2001).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 145, comma 62, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3, 5, 81, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2002.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2002.