Ordinanza n. 428/2001

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ORDINANZA N.428

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettere a) e b), e 210, comma 4, del codice di procedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze emesse il 6 luglio 2000 dalla Corte di appello di Torino, il 25 gennaio 2001 dal Tribunale di Milano e il 31 ottobre 2000 dal Tribunale di Imperia, iscritte rispettivamente ai nn. 144, 271 e 294 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 10, 16 e 17, prima serie speciale, dell'anno 2001.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con ordinanza del 6 luglio 2000 (r.o. n. 144 del 2001) la Corte di appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettere a) e b), e 210, comma 4, del codice di procedura penale, "nella parte in cui escludono la possibilità di assumere come testimoni, riconoscendo agli stessi la facoltà di astenersi dal rispondere, i coimputati e gli imputati di reati connessi o collegati su fatti concernenti la responsabilità di altri sui quali essi abbiano in precedenza liberamente risposto";

che la Corte di appello - che procede quale giudice di rinvio ex art. 627 cod. proc. pen., a seguito di annullamento parziale da parte della Corte di cassazione della sentenza emessa da altra sezione in data 20 febbraio 1997 - premette che, dopo la decisione della Cassazione, "l'introduzione nella Costituzione, ad opera della legge modificatrice dell'art. 111, del principio del contraddittorio nella formazione della prova, ha reso impossibile, nel giudizio di rinvio in corso di svolgimento, l'acquisizione o il "recupero", quali prove suscettibili di essere valutate ai fini della decisione", delle dichiarazioni rese al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari dalle persone, imputate in procedimenti connessi o collegati, che hanno confermato la propria volontà di avvalersi della facoltà di non rispondere;

che la Corte rimettente ritiene che la disciplina censurata violi:

- l'art. 3 Cost., in quanto é intrinsecamente irragionevole e comporta una ingiustificata disparità di trattamento fra le parti impedire all'accusa l'utilizzazione di indagini svolte legittimamente, tali da rendere possibile l'applicazione di provvedimenti cautelari e l'esercizio dell'azione penale, e consentirne invece l'uso quando le dichiarazioni precedentemente rese al di fuori del contraddittorio siano favorevoli all'imputato;

- l'art. 112 Cost., in quanto vengono così elusi il principio di obbligatorietà dell'azione penale e il "conseguente principio di conservazione della prova, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale";

- gli artt. 3, 24 e 111 Cost., in quanto é irragionevole e viola il diritto di difesa e il principio del contraddittorio nella formazione della prova la scelta di sottrarre totalmente al contraddittorio le dichiarazioni precedentemente rese da soggetti poi sottoposti ad esame ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen. e che si avvalgano della facoltà di non rispondere, senza che tale scelta sia imposta dal rispetto di valide ragioni giustificatrici;

che con ordinanza del 25 gennaio 2001 (r.o. n. 271 del 2001) il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, secondo comma, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 197, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., "nella parte in cui stabilisce la incompatibilità con l'ufficio di testimone delle persone coimputate del medesimo reato o imputate in un procedimento connesso nei cui confronti sia stata pronunziata sentenza di condanna irrevocabile";

che il Tribunale premette che in dibattimento numerosi imputati in procedimento connesso, la cui posizione era stata stralciata e definita con sentenza di applicazione della pena su richiesta oramai divenuta irrevocabile, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, rendendo così impossibile la utilizzazione delle precedenti dichiarazioni rese sui fatti di causa;

che, venendo in gioco sul piano costituzionale (sentenza n. 361 del 1998) "la funzione del processo penale, che é strumento, non disponibile dalle parti, destinato all'accertamento giudiziale dei fatti di reato e delle relative responsabilità", sono "censurabili, sotto il profilo della ragionevolezza, soluzioni normative che, non necessarie per realizzare le garanzie della difesa, pregiudichino la funzione del processo";

che, di conseguenza l'art. 197 cod. proc. pen. violerebbe:

- gli artt. 3, 24, 101, secondo comma, 111 e 112 Cost., in quanto contempla categorie di soggetti (quali quelli nei cui confronti sia stata definitivamente pronunziata sentenza di condanna) la cui posizione é insuscettibile di essere aggravata o comunque mutata, perchè coperta dal giudicato, e nei confronti dei quali non può dunque riconoscersi il diritto al silenzio - quale tutela dalla autoincriminazione - se non con grave pregiudizio dei principi costituzionali della conservazione della prova e del contradditorio;

- l'art. 3 Cost., in quanto irragionevolmente parifica, quanto alla garanzia del diritto al silenzio, soggetti tuttora imputati e condannati con sentenza irrevocabile, mentre la posizione di questi ultimi é giuridicamente insuscettibile di qualsivoglia modificazione in loro danno;

che con ordinanza del 31 ottobre 2000 (r.o. n. 294 del 2001) il Tribunale di Imperia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 210, comma 4, cod. proc. pen., "limitatamente alla previsione circa la facoltà di non rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri";

che il Tribunale premette che in dibattimento gli imputati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, così impedendo "l'uso incrociato" delle dichiarazioni precedentemente rese su punti salienti delle responsabilità di ciascuno;

che ad avviso del Tribunale la norma censurata violerebbe:

- l'art. 111, secondo e quarto comma, Cost., che impone una revisione dei confini tra il diritto di una parte alla formazione in contraddittorio della prova e il diritto al silenzio di colui che nella fase delle indagini preliminari abbia reso dichiarazioni erga alios, in quanto alla maggiore espansione e alla più intensa tutela del contraddittorio deve inevitabilmente corrispondere la riduzione dell'area della facoltà di non rispondere;

- gli artt. 3 e 112 Cost., in quanto é irragionevole consentire a un imputato che ha già reso dichiarazioni erga alios, sulla cui base é stato disposto il rinvio a giudizio degli accusati, di avvalersi a dibattimento della facoltà di non rispondere, impedendo ai coimputati di difendersi e ponendo nel nulla la pregressa attività processuale;

che é intervenuto nei giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con riferimento alla questione sollevata con ordinanza n. 271 del 2001, la restituzione degli atti ai giudici rimettenti alla luce delle modifiche recate alle norme censurate dalla legge n. 63 del 2001, e una declaratoria di inammissibilità o di infondatezza per le altre questioni.

Considerato che identica é la sostanza delle questioni, che concernono tutte il diritto al silenzio riconosciuto alle persone imputate o giudicate in un procedimento connesso che abbiano in precedenza reso dichiarazioni eteroaccusatorie, per cui deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che successivamente alle ordinanze di rimessione é intervenuta la legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e di valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione), che ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, in particolare modificando gli artt. 64, 197 e 210 cod. proc. pen. e inserendo l'art. 197-bis cod. proc. pen., che individua le ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l’ufficio di testimone;

che di conseguenza, essendo mutati le norme censurate e il contesto complessivo della disciplina di riferimento, gli atti devono essere restituiti ai giudici rimettenti, perchè verifichino se le questioni siano tuttora rilevanti.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti alla Corte di appello di Torino, al Tribunale di Milano e al Tribunale di Imperia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2001.