Ordinanza n. 424/2001

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.424

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 390, comma 3-bis, e 391 del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina con ordinanza emessa il 16 settembre 2000, iscritta al n. 795 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 390, comma 3-bis, e 391 del codice di procedura penale, <<nella parte in cui prevedono che il giudice possa acquisire e utilizzare per il giudizio di convalida soltanto gli elementi sui quali si fonda la richiesta del pubblico ministero e quelli derivanti dall'interrogatorio dell'arrestato o del fermato>>, e dell'art. 391, commi 1 e 3, dello stesso codice, <<nella parte in cui prevede la facoltà per il pubblico ministero di non comparire all'udienza di convalida dell'arresto o del fermo>>;

  che il rimettente premette di essere investito della richiesta di convalida dell'arresto di due persone indagate per furto aggravato, e poi poste in libertà dal pubblico ministero che aveva ritenuto non necessaria l'applicazione di misure cautelari coercitive;

  che nel corso dell'udienza di convalida il difensore aveva chiesto di produrre documenti sulle condizioni familiari e personali delle due persone arrestate e di assumere informazioni testimoniali dall'addetta alla sorveglianza dell'esercizio commerciale dove era stato eseguito l'arresto, eccependo in caso di rigetto l'illegittimità costituzionale dell'art. 391 cod. proc. pen. per violazione dell'art. 111 Cost.;

  che il giudice a quo, rilevato che a norma dell'art. 390, comma 3-bis, cod. proc. pen. non é consentito assumere elementi di giudizio diversi dagli atti trasmessi dal pubblico ministero con la richiesta di convalida e dall'interrogatorio dell'arrestato o del fermato, ha fatto propria l'eccezione proposta dalla difesa e contestualmente ha sollevato d'ufficio altra questione di legittimità costituzionale dell'art. 391 cod. proc. pen., nella parte in cui consente al pubblico ministero di non comparire all'udienza di convalida;

  che, quanto alla prima questione, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost., traducendosi in un’irragionevole compromissione della garanzia del <<giusto processo>> e, in particolare, dei principi della parità delle parti, della terzietà del giudice e del contraddittorio, sotto il profilo del sacrificio del diritto di <<difendersi provando>>, principi che, ad avviso del giudice a quo, si estendono all’udienza di convalida, stante la sua natura processuale;

  che a giudizio del rimettente la scelta legislativa di consentire l'acquisizione ai fini della convalida solo di alcuni <<elementi di valutazione>> appare tanto più irragionevole ove, come nella specie, non vi siano più esigenze di celerità da soddisfare, essendo stata disposta la liberazione degli arrestati;

  che alla luce della giurisprudenza di legittimità, che esclude la possibilità da parte del giudice di acquisire in sede di convalida i documenti presentati dalla difesa qualora il pubblico ministero sia assente, anche la norma che consente al pubblico ministero di non comparire in udienza si porrebbe in contrasto con l'art. 111 Cost.;

  che, in particolare, sarebbero lesi i principi: della parità tra le parti, poichè <<entrambe devono essere presenti o entrambe devono avere la facoltà di essere presenti>>; del contraddittorio, in quanto il difensore sarebbe <<privo di sostanziale controparte>>; della terzietà e imparzialità del giudice, che sarebbe <<costretto a far da "portavoce" del pubblico ministero almeno ai fini della contestazione dell'accusa>>;

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.

  Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 390, comma 3-bis, e 391 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevedono che il giudice possa acquisire e utilizzare ai fini della convalida dell'arresto soltanto gli elementi su cui si fonda la richiesta del pubblico ministero e quelli derivanti dall’interrogatorio dell’arrestato, e dell’art. 391, commi 1 e 3, dello stesso codice, nella parte in cui prevede la facoltà del pubblico ministero di non comparire nell’udienza di convalida;

  che, quanto alla prima questione, questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’udienza di convalida, costruita come <<momento di necessaria garanzia dello status libertatis>>, é volta esclusivamente a verificare le condizioni di legittimità dell’arresto, così che, tenuto conto della struttura e della funzione di tale udienza, non contrasta con il principio di ragionevolezza che al giudice non sia consentito procedere all’assunzione di ulteriori elementi ai fini della decisione, quali l’esame di testimoni (ordinanza n. 412 del 1999);

che la circostanza che l’udienza di convalida si svolga, come nel caso di specie, nei confronti di persone in stato di libertà non inficia tali conclusioni, posto che la funzione dell’udienza e i relativi criteri di giudizio non mutano a seconda che la stessa riguardi soggetti in stato di arresto o liberi;

che, in riferimento alla dedotta violazione delle garanzie del giusto processo, questa Corte ha affermato che non é scelta costituzionalmente imposta quella di modellare ogni procedimento incidentale de libertate sullo schema del processo di merito (v. ordinanza n. 321 del 2001);

che, quanto alla seconda questione, il carattere facoltativo della partecipazione del pubblico ministero trova una non irragionevole giustificazione nelle esigenze - poste in rilievo dalla Relazione che accompagna il decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12, che ha appunto introdotto il comma 3-bis nell’art. 390 cod. proc. pen. - di semplificazione e di snellimento dell’udienza di convalida, fermo restando che é comunque prevista una forma di "contraddittorio "cartolare" caratterizzato da una tempestiva formulazione delle richieste [del pubblico ministero] e dal deposito degli elementi su cui le stesse si fondano";

che é peraltro errato il presupposto, da cui muove il rimettente, in base al quale, ove il pubblico ministero sia assente, il giudice non potrebbe acquisire i documenti prodotti dalla difesa, posto che la giurisprudenza di legittimità ammette la produzione di contributi difensivi, anche documentali, a prescindere dalla partecipazione del pubblico ministero all’udienza di convalida (v. anche art. 38, comma 2-bis, disp. att. cod. proc. pen. in vigore al tempo dell’ordinanza di rimessione, e ora art. 391-octies cod. proc. pen., successivamente introdotto dalla legge 7 dicembre 2000, n. 397);

che, infine, le considerazioni dalle quali il giudice fa discendere la violazione dei principi di parità delle parti e di terzietà e imparzialità del giudice in conseguenza della facoltatività della presenza del pubblico ministero appaiono non solo del tutto inconferenti rispetto alla portata che l’art. 111 Cost. assegna a tali principi, ma anche estranee al ruolo e alla funzione del giudice della convalida delineati dalle norme processuali;

che entrambe le questioni vanno pertanto dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 390, comma 3-bis, e 391 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2001.