Ordinanza n. 398/2001

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ORDINANZA N.398

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 38, comma 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), promosso con ordinanza emessa il 25 ottobre 2000 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sui ricorsi riuniti proposti da Diamare Carbone Giacometta contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, iscritta al n. 244 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2001.

Visti l'atto di costituzione di Diamare Carbone Giacometta nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2001 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima, con ordinanza n. 640/2001 del 25 ottobre 2000 ¾ emessa nel corso del giudizio promosso da Diamare Carbone Giacometta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri ¾ ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), il quale dà facoltà al personale delle qualifiche funzionali e di quelle ad esaurimento, comunque in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei ministri alla data di entrata in vigore della legge n. 400 del 1988, in posizione di comando o fuori ruolo, di chiedere l'inquadramento, anche in soprannumero e previo superamento di esame-colloquio, nella qualifica funzionale della carriera immediatamente superiore, con il profilo professionale corrispondente alle mansioni superiori lodevolmente esercitate per almeno due anni;

che, come espone in fatto il giudice a quo, la ricorrente ¾ dipendente di ruolo della Presidenza del Consiglio dei ministri dal 14 marzo 1986 ed inquadrata, nella vigenza delle leggi n. 312 del 1980, n. 432 del 1981 e n. 455 del 1985, nella VII qualifica funzionale ¾ ha impugnato il provvedimento di esclusione dalla procedura prevista dal citato art. 38, comma 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

che, ad avviso del rimettente, la norma denunciata, nell’escludere "implicitamente" dalla procedura di inquadramento verticale il personale già appartenente ai ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri, contrasterebbe con i principi di ragionevolezza e parità di trattamento di cui all’art. 3 della Costituzione, trattandosi, infatti, di una scelta " ingiustificatamente discriminatoria nei confronti di quel limitato contingente di personale di ruolo" ¾ cui appartiene la ricorrente ¾ "che, essendo stato assunto poco dopo l’entrata in vigore della legge n. 455 del 1985, aveva maturato (al pari del personale comandato o fuori ruolo) un biennio di mansioni superiori presso la Presidenza del Consiglio dei ministri";

che sarebbe, al tempo stesso, violato l’art. 97 della Costituzione, in quanto la disposizione in parola non consentirebbe di realizzare, in modo completo, la finalità a cui essa sarebbe ispirata e cioé quella di "correlare la posizione del personale alle esigenze organizzative della Presidenza del Consiglio dei ministri e attribuire stabilità ai relativi assetti";

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione venga dichiarata infondata;

che la ricorrente nel giudizio a quo si é costituita oltre il termine indicato negli artt. 25, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte (ordinanza n. 85 del 2000, sentenza n. 178 del 2000).

Considerato che la disciplina "di favore", contenuta nella disposizione oggetto di censura, si configura come normativa transitoria ed eccezionale, emanata dal legislatore, per disciplinare situazioni peculiari e contingenti;

che, in particolare, la ratio della disposizione impugnata - da inquadrare nell’ambito del più ampio contesto di riassetto e razionalizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri voluto dalla legge n. 400 del 1988 - era, chiaramente, quella di definire le posizioni di quel personale comandato o fuori ruolo che, in prevalenza, continuava a prestare servizio presso la Presidenza stessa;

che, quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 della Costituzione, come la Corte ha avuto più volte occasione di affermare, le disposizioni di "favore", a carattere eccezionale o derogatorio, non sono estensibili ad altre ipotesi se non nel caso in cui, accertata la piena omogeneità delle situazioni poste a raffronto, lo esiga la ratio della disciplina invocata quale tertium comparationis (sentenza n. 431 del 1997);

che, nella specie, non é consentita alcuna assimilazione tra la situazione all’esame del giudice rimettente e quella dei soggetti beneficiari della norma censurata, attesa la peculiarità dei casi ai quali il legislatore ha inteso porre rimedio;

che la situazione oggetto del giudizio principale va, invece, chiaramente ricondotta alla regola generale che esclude il diritto all’inquadramento in qualifiche superiori in relazione alle mansioni di fatto svolte, regola oggi codificata nell’art. 9, comma 4, del decreto legislativo n. 303 del 1999 (che richiama le norme del decreto legislativo n. 29 del 1993, ora decreto legislativo n. 165 del 2001, e, in particolare, l’art. 52);

che non sussiste neppure la prospettata violazione dell’art. 97 della Costituzione, sotto il profilo della mancata compiuta realizzazione delle finalità perseguite dalla norma censurata, una volta stabilito, come sopra detto, che la situazione all'esame del giudice a quo rimane estranea alla ratio della norma stessa;

che la questione va, quindi, dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione prima, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2001.