Ordinanza n. 237/2001

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ORDINANZA N. 237

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO  

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo introdotto dall’art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), promosso con ordinanza emessa il 2 luglio 1999 dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, nel procedimento civile proposto da Mari Eleonora contro Fiorini Franco ed altra, iscritta al n. 715 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2001 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio civile promosso per il riconoscimento del diritto a percepire il quaranta per cento dell’indennità di fine rapporto spettante all’ex coniuge, il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo introdotto dall’art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio);

che nella causa in esame una donna ha convenuto l’ex marito e la società datrice di lavoro di quest’ultimo, esponendo che il matrimonio contratto dalle parti era stato sciolto con sentenza del 10 ottobre 1989, e che il proprio ex coniuge era in procinto di andare in pensione;

che pertanto, essendo titolare di assegno di mantenimento ai sensi dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970, la parte attrice ha chiesto di vedersi assegnata la quota del prossimo trattamento di fine rapporto dell’ex coniuge, nella misura fissata dalla norma impugnata;

che il giudice rimettente osserva, in relazione all’esatta interpretazione dell’art. 12-bis, che tale norma attribuisce all’ex coniuge il diritto ad ottenere il quaranta per cento dell’indennità di fine rapporto indipendentemente dalla circostanza che tale indennità sia maturata dopo la sentenza di divorzio, con ciò escludendo che possa essere considerata solo la misura dell’indennità maturata al momento in cui il matrimonio è stato sciolto;

che tale quota, inoltre, può essere richiesta solo se è stata percepita dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio che abbia riconosciuto il diritto ad un assegno di mantenimento;

che, in base a tali premesse, il Tribunale di Roma rileva che la norma impugnata collega in modo certo il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto con l’effettiva percezione dello stesso da parte dell’ex coniuge, con ciò dimostrando che il relativo rapporto obbligatorio sorge e si perfeziona soltanto tra i due ex coniugi, senza che sia possibile alcun coinvolgimento del datore di lavoro;

che, tuttavia, la mancanza di un’azione diretta nei confronti del datore di lavoro appare al rimettente in contrasto con l’invocato parametro, in primo luogo perché l’avente diritto non ha alcuno strumento, neppure cautelare, per realizzare il soddisfacimento del proprio credito senza la collaborazione dell’ex coniuge, il che sembra del tutto irrazionale, essendo il credito certo; ed in secondo luogo perché la predetta mancanza assume un carattere “punitivo”, che è in contrasto con lo spirito della legge n. 74 del 1987, il cui obiettivo è quello di tutelare il coniuge economicamente più debole;

che il giudice rimettente, quindi, chiede la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata «nella parte in cui non consente che il coniuge, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (se non passato a nuove nozze ed in quanto titolare di assegno divorzile), possa ottenere direttamente dal datore di lavoro dell’ex coniuge la quota dell’indennità di fine rapporto prevista nella stessa disposizione»;

che nel presente giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che l’attribuzione del quaranta per cento del trattamento di fine rapporto costituisce uno strumento di tutela del coniuge economicamente più debole (in armonia con le finalità di cui alla legge 6 marzo 1987, n. 74), nel quale confluiscono profili assistenziali e criteri di carattere compensativo (sentenza n. 23 del 1991);

che le concrete modalità con le quali la norma attribuisce detta provvidenza economica non attingono la valenza di garanzia costituzionale, poiché il riconoscimento di un’azione diretta contro il datore di lavoro (o, viceversa, la necessità che il trattamento di fine rapporto venga prima acquisito nel patrimonio dell’avente diritto e poi trasferito, per la quota spettante, all’ex coniuge) si appalesa come frutto di una scelta affidata alla discrezionalità del legislatore ordinario;

che la norma impugnata, comunque, non ha finora ricevuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina un’interpretazione univoca sul punto in contestazione, sicché il giudice rimettente avrebbe anche potuto fornire una lettura diversa, allo stato non sussistendo un diritto vivente in argomento;

che, pertanto, non essendo ravvisabile alcuna violazione del precetto di cui all’art. 3 della Costituzione, la presente questione dev’essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo introdotto dall’art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2001.