Ordinanza n. 222/2001

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.222

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 33, comma 1, lettera a), della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), promosso nell'ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di La Spezia, con ordinanza emessa il 21 dicembre 2000, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2001.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con ordinanza del 21 dicembre 2000 il Tribunale di La Spezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale - nel testo modificato dall’art. 33, comma 1, lettera a), della legge 16 dicembre 1999, n. 479, recante, tra l'altro, "Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale" - nella parte in cui non fa salva nei giudizi in corso, nei quali il rinvio a giudizio é stato disposto prima dell'entrata in vigore della legge n. 479 del 1999 (2 gennaio 2000), la facoltà dell'imputato di chiedere l'applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento;

che il Tribunale rimettente - premesso che l'imputato, al quale il decreto che dispone il giudizio era stato notificato nel settembre 1999, ha avanzato richiesta di applicazione della pena nella fase degli atti introduttivi al dibattimento - rileva che la richiesta é inammissibile in quanto l'art. 446 cod. proc. pen., come modificato dall'art. 33 della legge n. 479 del 1999, non consente più, in assenza di una normativa transitoria che ne regoli l'applicabilità ai processi pendenti e alla stregua del principio tempus regit actum, di presentare richiesta di patteggiamento sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento;

che, a parere del giudice a quo, la preclusione alla proponibilità in dibattimento della richiesta di applicazione della pena, in quanto immediatamente applicabile ai procedimenti in corso, violerebbe l'art. 3 Cost., frustrando irragionevolmente ogni affidamento sulla certezza del diritto, e determinerebbe una ingiustificata diversità di trattamento tra imputati a seconda che la prima udienza dibattimentale sia stata fissata per una data antecedente o successiva rispetto al 2 gennaio 2000;

che tale disciplina, rappresentando un ingiustificato mutamento delle regole nel corso del processo, violerebbe quindi l'art. 24 Cost., in quanto l'imputato é privato della facoltà di presentare richiesta di applicazione della pena senza essere stato in condizione di conoscere il termine entro il quale avrebbe dovuto formularla;

che, infine, l'immediata operatività della preclusione violerebbe l'art. 25 Cost., in quanto l'anticipazione della scadenza del termine per la presentazione della richiesta di applicazione della pena al momento in cui sono formulate le conclusioni nell'udienza preliminare comporterebbe, nei procedimenti già pendenti nella fase del giudizio, l'introduzione con efficacia retroattiva di un termine di decadenza che incide su aspetti sostanziali del trattamento penale, quali il contenuto e gli effetti della sentenza di condanna e la quantificazione della pena;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che oggetto della questione di legittimità costituzionale é la immediata operatività della disciplina dei termini di decadenza per la presentazione della richiesta di applicazione della pena, introdotta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, con riferimento alla ipotesi di rinvio a giudizio a seguito di udienza preliminare;

che il rimettente lamenta che i nuovi termini di decadenza, in assenza di un'apposita disciplina transitoria, si applicano, in base al principio tempus regit actum, indiscriminatamente ad ogni situazione processuale in corso, e hanno, quindi, efficacia retroattiva;

che alla stregua del testo originario dell'art. 446, comma 1, cod. proc. pen. le parti potevano formulare la richiesta di applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, mentre, dopo le modifiche introdotte alla disposizione in esame dall'art. 33, comma 1, lettera a), della legge n. 479 del 1999, la richiesta deve essere formulata sino alla presentazione delle conclusioni del pubblico ministero e dei difensori nell'udienza preliminare, a norma degli artt. 421, comma 3, e 422, comma 3, cod. proc. pen.;

che la questione é stata sollevata con riferimento a una situazione processuale in cui la nuova disciplina é entrata in vigore (il 2 gennaio 2000) in un momento compreso tra la data della citazione a giudizio e la data della celebrazione del dibattimento;

che l'interpretazione del principio tempus regit actum da cui muove il rimettente comporterebbe che, in tale situazione, i nuovi termini di decadenza per la formulazione della richiesta di applicazione della pena dovrebbero ritenersi già consumati, con la conseguenza paradossale che l'imputato, rinviato a giudizio in presenza di un quadro normativo che gli consentiva di formulare richiesta di applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, nel momento della celebrazione del dibattimento stesso si troverebbe, in base alla nuova disciplina applicata con effetti retroattivi, nell'impossibilità di formulare la richiesta, essendo i relativi termini già scaduti;

che identiche questioni di costituzionalità, sollevate dal medesimo rimettente, sono state dichiarate manifestamente infondate con le ordinanze nn. 127 del 2001 e 560 del 2000, in base al rilievo che "le innovazioni apportate dalla legge n. 479 del 1999 alla disciplina delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare e del giudizio, ed ai rapporti tra tali fasi processuali - in particolare, per quanto qui interessa, alle modalità introduttive e alla sede di celebrazione dei procedimenti speciali - hanno anche determinato la trasformazione del sistema dei termini di decadenza per la formulazione della richiesta di applicazione della pena e la loro anticipazione a momenti precedenti il dibattimento, nell'ottica di un diverso bilanciamento tra incentivazione dei riti alternativi ed esigenze di più economica e razionale utilizzazione delle risorse processuali";

che, quindi, "anche in mancanza di qualsiasi norma transitoria, il nuovo equilibrio delineato dal legislatore tra le fasi delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare e del giudizio dibattimentale, cui é strettamente collegata la mutata disciplina dei procedimenti speciali, conduce necessariamente ad escludere che i nuovi termini di decadenza possano riguardare procedimenti nei quali tali termini sarebbero oramai scaduti, essendo già stato disposto il rinvio a giudizio al momento dell'entrata in vigore della legge n. 479 del 1999";

che pertanto la questione va dichiarata manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di La Spezia con l'ordinanza in epigrafe;

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2001.