Ordinanza n. 221/2001

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ORDINANZA N.221

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI                     

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 464, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 37 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Genova con ordinanza emessa il 10 gennaio 2000 e dal Tribunale di La Spezia con ordinanza emessa il 20 ottobre 2000, rispettivamente iscritte ai nn. 837 e 858 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2001.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Genova, con ordinanza emessa il 10 gennaio 2000, e il Tribunale di La Spezia, con ordinanza emessa il 29 giugno 2000, in riferimento, rispettivamente, all'art. 3 e agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 464, comma 3, del codice di procedura penale (erroneamente indicato come art. 461 nell'ordinanza del Tribunale di Genova), come modificato dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, recante, tra l'altro, "Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale", nella parte in cui non fa salva la facoltà dell’imputato di chiedere l’applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento nei giudizi in corso, instaurati a seguito di opposizione a decreto penale di condanna precedente alla data di entrata in vigore della legge n. 479 del 1999;

che entrambi i rimettenti premettono che in dibattimento, immediatamente dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti, gli imputati - tratti a giudizio con decreti emessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 479 del 1999 - hanno avanzato richiesta di applicazione della pena e che il pubblico ministero ha prestato il consenso;

che i giudici a quibus ritengono che la richiesta di patteggiamento non sia ammissibile in quanto l’art. 464 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 37 della legge n. 479 del 1999, non consentirebbe più, in assenza di disposizioni transitorie e in virtù del principio tempus regit actum, di chiedere l'applicazione della pena in dibattimento;

che, a parere dei rimettenti, per i procedimenti instaurati a seguito di opposizione a decreto penale di condanna precedente alla data di entrata in vigore della legge n. 479 del 1999, e pendenti a tale data in fase dibattimentale, la preclusione sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto determina una irragionevole "disparità di trattamento" dell'imputato che ha formulato opposizione a decreto penale durante la vigenza della precedente normativa rispetto all'imputato che presenta invece opposizione sotto il vigore della nuova normativa, "poichè ad ambedue non é concesso proporre istanza di applicazione pena dinanzi al giudice del dibattimento, benchè il primo potesse prima farlo ed ora soltanto tale facoltà gli é preclusa";

che il Tribunale di La Spezia ritiene che tale disciplina violi l'art. 3 Cost. anche perchè, incidendo sulla situazione sostanziale dell'imputato, frustra senza ragione ogni affidamento sulla certezza del diritto e, inoltre, l'art. 24 Cost., perchè determina un ingiustificato mutamento delle regole del processo in corso, tale che l'imputato, il quale a tutto il 31 dicembre 1999 poteva fare affidamento sulla facoltà di avanzare richiesta di applicazione della pena sino all'apertura del dibattimento di primo grado, si trova ad essere decaduto da tale facoltà senza essere stato posto in condizione di conoscere il termine entro il quale avrebbe dovuto formulare la richiesta;

che l'immediata applicabilità ai procedimenti in corso di "una decadenza con effetto retroattivo" violerebbe infine, secondo il Tribunale di La Spezia, l'art. 25 Cost., incidendo sull'"esercizio di un diritto dell'imputato avente riflessi [...] non solo processuali, ma anche sostanziali in relazione alla quantificazione della pena, al contenuto del provvedimento sanzionatorio e agli altri effetti penali";

che nei giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate.

Considerato che oggetto delle questioni di legittimità costituzionale é la immediata operatività della disciplina dei termini di decadenza per la presentazione della richiesta di applicazione della pena, introdotta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, con riferimento alle ipotesi di citazione a giudizio a seguito di opposizione a decreto penale di condanna;

che le due ordinanze sollevano questioni sostanzialmente identiche per cui deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che i rimettenti lamentano che i nuovi termini di decadenza, in assenza di un'apposita disciplina transitoria, si applichino, in base al principio tempus regit actum, indiscriminatamente ad ogni situazione processuale in corso, e abbiano, quindi, efficacia retroattiva;

che, secondo l'originaria formulazione dell’art. 464 cod. proc. pen., se entro il termine di quindici giorni l'imputato si fosse limitato a proporre opposizione, senza presentare alcuna specifica richiesta, il giudice avrebbe dovuto emettere decreto di giudizio immediato e l'opponente avrebbe quindi potuto formulare richiesta di applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento (v. sentenza n. 114 del 1997), mentre il nuovo testo dell’art. 464 cod. proc. pen. esclude che tale richiesta, ove non sia stata formulata con l'atto di opposizione, possa essere presentata nel giudizio conseguente all'opposizione;

che dalle ordinanze di rimessione emerge che nei procedimenti nell'ambito dei quali le questioni sono state sollevate la nuova disciplina é entrata in vigore (il 2 gennaio 2000) in un momento compreso tra la data della citazione a giudizio e la data della celebrazione del dibattimento;

che, in base all'interpretazione del principio tempus regit actum da cui muovono i rimettenti, tale circostanza comporterebbe che i nuovi termini di decadenza per la formulazione della richiesta di applicazione della pena, anticipati a momenti precedenti la dichiarazione di apertura del dibattimento, dovrebbero ritenersi già consumati, così da precludere l'accesso al procedimento speciale;

che il presupposto interpretativo dei rimettenti determinerebbe la conseguenza paradossale che imputati, rinviati a giudizio in presenza di un quadro normativo che consentiva loro di formulare richiesta di applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, si troverebbero, nel momento della celebrazione del dibattimento stesso, nell'impossibilità di formulare la richiesta, in quanto in base alla nuova disciplina, applicata con effetti retroattivi, i relativi termini finali sarebbero già scaduti;

che, al riguardo, questa Corte ha già avuto modo di affermare (ordinanze nn. 127 del 2001 e 560 del 2000) che "le innovazioni apportate dalla legge n. 479 del 1999 alla disciplina delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare e del giudizio, ed ai rapporti tra tali fasi processuali - in particolare, per quanto qui interessa, alle modalità introduttive e alla sede di celebrazione dei procedimenti speciali - hanno anche determinato la trasformazione del sistema dei termini di decadenza per la formulazione della richiesta di applicazione della pena e la loro anticipazione a momenti precedenti il dibattimento, nell'ottica di un diverso bilanciamento tra incentivazione dei riti alternativi ed esigenze di più economica e razionale utilizzazione delle risorse processuali";

che quindi, "anche in mancanza di qualsiasi norma transitoria, il nuovo equilibrio delineato dal legislatore tra le fasi delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare e del giudizio dibattimentale, cui é strettamente collegata la mutata disciplina dei procedimenti speciali, conduce necessariamente ad escludere che i nuovi termini di decadenza possano riguardare procedimenti nei quali tali termini sarebbero oramai scaduti, essendo già stato disposto il rinvio a giudizio al momento dell'entrata in vigore della legge n. 479 del 1999";

che pertanto le questioni vanno dichiarate manifestamente infondate.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464, comma 3, del codice di procedura penale, sollevate dal Tribunale di Genova in riferimento all'art. 3 della Costituzione e dal Tribunale di La Spezia in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2001.