Sentenza n. 155/2001

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SENTENZA N.155

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI                     

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente                  

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 211, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) come sostituito dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140, e dell'art. 3, comma 213, della legge n. 662 del 1996, come sostituito dal citato art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 79 del 1997, promossi con ordinanze emesse il 28 ottobre 1998 dalla Commissione tributaria di Forlì, il 3 novembre 1999 (n. 2 ordinanze) dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti, il 15 novembre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Torino e il 30 novembre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento, rispettivamente iscritte al n. 136 del registro ordinanze 1999 e ai nn. 84, 85, 158 e 434 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1999 e nn. 10, 16 e 30, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visti l'atto di costituzione della Silcea s.r.l. nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 novembre 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi l'Avvocato Ignazio Manzoni per la Silcea s.r.l. e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio, avente ad oggetto il silenzio-rifiuto in ordine alla richiesta di rimborso del versamento di ritenute effettuato quale sostituto d'imposta sugli accantonamenti per il trattamento di fine rapporto (TFR) dei propri dipendenti promosso dalla Società Silcea s.r.l., la Commissione tributaria provinciale di Forlì, con ordinanza emessa in data 28 ottobre 1999 (r.o. n. 136 del 1999), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 211, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come sostituito dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140.

Le predette norme impongono ai sostituti d'imposta per redditi di lavoro dipendente l'obbligo di versare al fisco un acconto (variabile a seconda della base occupazionale) delle imposte dovute dai dipendenti sui trattamenti di fine rapporto maturati a fine 1996 ed a fine 1997.

Il giudice a quo, riconosciuta la legittimazione del sostituto a sollevare l'eccezione di incostituzionalità, atteso che la norma denunciata impone a quest'ultimo un comportamento suscettibile di recargli danno, rileva che la disposizione denunciata, sostanzialmente, imporrebbe al datore di lavoro la corresponsione anticipata di una quota del trattamento che sarebbe dovuta al lavoratore soltanto al termine del rapporto di lavoro, con la conseguenza che l'imposta inciderebbe sul patrimonio del datore di lavoro e non su quello del contribuente, rappresentato dal lavoratore.

Infine, l'imposta non sarebbe commisurata alla reale capacità contributiva del lavoratore, il quale non avrebbe ancora percepito il reddito tassato.

Per quanto sopra verrebbero violati l'art. 3 della Costituzione, che impone l'uguaglianza tributaria dei cittadini, tenuto anche conto che l'obbligo non é a carico di tutti, ma soltanto di coloro che si trovano in determinate condizioni (aziende che occupano più di cinque o di quindici dipendenti alla data del 30 ottobre 1996), nonchè l'art. 53 della Costituzione, in quanto l'imposta non sarebbe correlata ad alcuna concreta capacità contributiva, la quale dovrebbe presupporre un reddito reale e non virtuale.

2.- Avanti a questa Corte si é costituita la parte privata del giudizio a quo, la quale ha richiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, svolgendo argomentazioni adesive a quelle riferite, sottolineando, in particolare, come caratteristica comune a tutte le ipotesi di sostituzione, previste dall'attuale normativa in materia di imposte dirette, quella secondo cui la ritenuta dovrebbe essere effettuata dal sostituto all'atto del pagamento dei corrispettivi, quando, cioé, sia sorto l'obbligo di corrispondere i compensi, e il conseguente versamento dell’imposta dovrebbe avvenire in un momento successivo.

Da tale sistema non conseguirebbe, quindi, alcun fenomeno impositivo di carattere formale o sostanziale.

Di contro, l'obbligo di versare le ritenute sulle somme accantonate per il TFR opera - in base alla normativa impugnata - prima che si sia perfezionato l'obbligo del pagamento delle somme su cui le ritenute stesse dovrebbero operare.

Tanto meno, il prelievo in discussione potrebbe essere considerato alla stregua di una imposta patrimoniale, atteso che gli accantonamenti su cui dovrebbe incidere costituiscono un debito e non un'attività o un prestito forzoso, come tale rientrante nelle prestazioni patrimoniali di cui all'art. 23 della Costituzione, in quanto mancherebbe la previsione di un interesse sulle pretese somme incassate a prestito.

Aggiunge, infine, che in realtà l'anticipazione di versamento di ritenute si tradurrebbe in una ingiustificata forma occulta di prelievo fiscale, ricadente solo su una categoria di soggetti (imprenditori), al di fuori delle garanzie di cui all'art. 53 della Costituzione.

3.- E' altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione, osservando che la norma impugnata rientrerebbe nel più generale istituto del sostituto d'imposta, che risponderebbe a meri criteri di tecnica tributaria, finalizzati alla agevolazione dell'accertamento e della riscossione dei tributi.

Tale disciplina, peraltro, non violerebbe il principio della commisurazione del tributo alla capacità contributiva, giacchè é sufficiente che un reddito presenti una concreta possibilità di essere prodotto, come, peraltro, l'acconto d'imposta é commisurato al trattamento già maturato.

4.- La Commissione tributaria provinciale di Chieti, con ordinanze emesse il 3 novembre 1999 (r.o. nn. 84 e 85 del 2000), ha sollevato la medesima questione, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle sopra riferite.

Anche nel giudizio introdotto con l'ordinanza sopra citata ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione.

5.- La Commissione tributaria provinciale di Torino, con ordinanza emessa il 15 novembre 1999 (r.o. n. 158 del 2000), ha sollevato la medesima questione, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle già riferite.

L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta anche in tale giudizio in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per la infondatezza della questione.

6.- La Commissione tributaria provinciale di Benevento, con ordinanza emessa il 30 novembre 1999 (r.o. n. 434 del 2000), ha denunciato, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, oltre alla norma già indicata, anche il comma 213 dell'art. 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, come sostituito dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 79 del 1997, aggiungendo ai rilievi già riferiti che la onerosità dell'acconto in questione verrebbe riconosciuta dallo stesso legislatore, avendo questi previsto l'accesso al fondo di garanzia di cui all'art. 2 della legge n. 297 del 1982, al fine di consentire al datore di lavoro di procurarsi le risorse finanziarie necessarie per far fronte agli obblighi di legge.

Anche in tale giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione.

7.- Nell'imminenza della data fissata per l'udienza pubblica relativa al giudizio introdotto con l'ordinanza r.o. n. 136 del 1999, la Società Silcea, parte privata nel giudizio a quo, ha depositato una memoria, con la quale ribadisce le proprie conclusioni in ordine alla illegittimità costituzionale della norma impugnata.

In particolare, ha sottolineato, confutando le argomentazioni addotte dalla difesa erariale, che il diritto al trattamento di fine rapporto ed il diritto al pagamento della relativa indennità sono momenti diversi. Infatti, il diritto a percepire il TFR e, quindi, il diritto al pagamento della relativa indennità, sorge unicamente al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Prima di tale momento, il lavoratore vanta un diritto di credito non ancora esigibile.

Ne consegue che l'obbligo imposto dalla norma impugnata, essendo destinato ad operare anche molti anni prima della cessazione del rapporto di lavoro, comporta, a carico del datore di lavoro, una anticipazione a tempi lunghi, con effetti finanziari certamente non comparabili con quelli che si verificano nella normale ipotesi di sostituzione.

8.- Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha presentato una memoria, con la quale ha ribadito le conclusioni già rassegnate.

In particolare, la difesa erariale ha sottolineato come il fenomeno impositivo previsto dalle disposizioni censurate debba essere ricostruito in termini diversi, tenendo conto: a) della parametrazione dell'obbligo di versamento all'ammontare complessivo dei trattamenti di fine rapporto maturati al 31 dicembre, rispettivamente, dell'anno 1996 e 1997, del quale i datori di lavoro hanno la disponibilità finanziaria, fruendo della relativa liquidità; b) della determinazione della misura dei versamenti in percentuale fissa, inferiore all'aliquota minima individuale dei singoli lavoratori; c) del riferimento alle caratteristiche del datore di lavoro per stabilire le agevolazioni ed esenzioni soggettive dall'obbligo del versamento; d) dell'utilizzabilità del "credito d'imposta" per il versamento delle ritenute applicate sui trattamenti di fine rapporto corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2000; la misura di detta utilizzabilità varia, inoltre, in relazione al rapporto tra ammontare del credito d'imposta ed ammontare del monte dei trattamenti di fine rapporto al 1° gennaio 2000.

Nella memoria si segnala, altresì, che nella specie trattasi di una imposizione straordinaria "una tantum", con un meccanismo consono alla qualità del contribuente, finalizzata all'adeguamento dei conti pubblici ai parametri previsti dal Trattato di Maastricht al pari dell'istituzione del c.d. contributo straordinario per l'Europa.

Anche relativamente ai giudizi introdotti con le ordinanze nn. 84, 85, 158 e 434 del 2000 sono state depositate memorie nell'interesse dell'Autorità interveniente, con cui sono state svolte argomentazioni analoghe a quelle da ultimo riferite.

Considerato in diritto

1.- Le questioni sottoposte all'esame della Corte in via incidentale, con le cinque ordinanze di rimessione indicate in epigrafe, riguardano la legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), limitatamente all’art. 3, comma 211, sostituito dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140, cui la Commissione tributaria provinciale di Benevento ha aggiunto la impugnazione del comma 213 dello stesso articolo 3, anch'esso sostituito dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 79 del 1997.

2.- In via preliminare, va disposta la riunione dei giudizi, promossi con le indicate ordinanze, che sollevano la medesima questione, in riferimento agli stessi parametri costituzionali.

3.- Le norme impugnate, nel testo risultante dalle modifiche indicate, prevedono a carico dei sostituti di imposta per redditi di lavoro dipendente un obbligo tributario di versamento di un importo pari - a seconda della base occupazionale dell’azienda - al 2, 5,89 e 3,89 per cento (nel testo originario unico versamento al 2 per cento per il 1996), ragguagliato all’ammontare complessivo dei trattamenti di fine rapporto (in seguito TFR), di cui all’art. 2120 del codice civile, maturati al 31 dicembre rispettivamente, dell’anno 1996 e 1997, a titolo di acconto delle imposte dovute su tali trattamenti dai dipendenti. Viene previsto a favore del datore di lavoro un meccanismo, a cominciare dal 1° gennaio 2000, di utilizzazione a percentuale dell’acconto come "credito di imposta" per i versamenti delle ritenute sui TFR corrisposti e con possibilità di utilizzazione anticipata in relazione al rapporto tra credito di imposta e trattamenti residui.

I giudici rimettenti denunciano la violazione degli artt. 3, sotto il profilo del principio di uguaglianza tributaria, e 53 della Costituzione, in quanto il prelievo non sarebbe correlato ad alcuna capacità contributiva.

4.- La questione é priva di fondamento.

Preliminarmente deve essere chiarito che trattasi di previsione di imposizione tributaria, con aliquote (in ogni caso di gran lunga inferiori alla tassazione dei TFR) differenziate a seconda della base occupazionale (numero dei dipendenti) limitata a due annualità (con versamenti in due rate per ciascuna annualità), riferite all’ammontare complessivo del TFR maturato rispettivamente al 31 dicembre del 1996 e del 1997, con determinazione dei soggetti tenuti attraverso il richiamo all’art. 23 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (sostituti di imposta per i redditi di lavoro dipendente).

I versamenti posti a carico dei predetti soggetti sono indicati dal legislatore come effettuati "a titolo di acconto delle imposte dovute su tali trattamenti", con un sistema di recupero attraverso il metodo di "crediti di imposta" a percentuale. E' previsto che tale sistema venga utilizzato, in via ordinaria, a partire dal 1° gennaio 2000: ciò fino a concorrenza del 9,78 per cento di detti trattamenti, ovvero, se superiore, fino alla percentuale corrispondente al rapporto tra crediti di imposta residui a tale data e TFR residui risultanti alla stessa data. E' altresì previsto il recupero tramite il credito di imposta anche prima di tale ultima data - fin dal 1° gennaio 1997 per l’anticipo calcolato sul TFR maturato al 31 dicembre 1996 e dal 1° gennaio 1998 per l’anticipo successivo - purchè il credito di imposta superi il 12 per cento dei trattamenti residui.

5.- La verifica della legittimità costituzionale della normativa denunciata sotto il profilo della violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione deve partire dalla considerazione che il "contribuente" nella fase dell’anticipazione (ciò che interessa in questa sede, trattandosi di controversia originata dalla richiesta di rimborso da parte di datore di lavoro) deve essere considerato il datore di lavoro. Il riferimento al sostituto di imposta e all’ammontare dei TFR "maturati" ad una certa data serve solo per individuare i soggetti tenuti al pagamento dell’imposta straordinaria ed a determinarne l’importo in relazione agli stessi TFR maturati, nonchè a garantire il sistema del recupero dell’imposta con un meccanismo che entra a regime attraverso i crediti di imposta da utilizzarsi all’atto della effettiva corresponsione dei TFR a cominciare dal 1° gennaio 2000 (salvo talune eccezioni con anticipo, rispetto a tale data).

In realtà si tratta di una previsione di contribuzione tributaria straordinaria, con esclusione di ogni carattere periodico o continuativo (per una volta soltanto: ripartita negli anni 1996 e 1997), che, dal punto di vista giuridico ed economico, grava esclusivamente sul datore di lavoro, essendo denaro dello stesso imprenditore accantonato a fronte di futuri oneri.

Infatti, la capacità contributiva non presuppone l’esistenza necessariamente di un reddito o di un reddito nuovo, ma é sufficiente che vi sia un collegamento tra prestazione imposta e presupposti economici presi in considerazione, in termini di forza e consistenza economica dei contribuenti o di loro disponibilità monetarie attuali, quali indici concreti di situazione economica degli stessi contribuenti. Le quote di accantonamento del TFR (sia meramente contabili, come passivo iscritto in bilancio, o reali) rappresentano, comunque, una disponibilità per il datore di lavoro, come forma di autofinanziamento, indicativo di capacità contributiva.

E' irrilevante - ai fini della presente questione - se l’accantonamento del TFR sia stato investito o meno e se, a sua volta, produca autonomo reddito per l’imprenditore; allo stesso modo resta ugualmente fuori campo, in questa fase di anticipazione, la posizione del lavoratore, in quanto l’anticipo di imposta da parte del datore di lavoro non comporta una corresponsione anticipata del TFR; il lavoratore, infatti, rimane completamente estraneo ed indifferente rispetto alla suddetta operazione tributaria.

Del resto deve essere sottolineata l’essenzialità della disponibilità delle somme costituenti accantonamento TFR, in quanto vengono escluse dalla imposizione le somme già erogate ai lavoratori a titolo di anticipazione e quelle destinate alle forme pensionistiche complementari, che determinano di fatto una riduzione dell’autofinanziamento per i datori di lavoro, con eventuali costi aggiuntivi.

In realtà, per capacità contributiva, deve intendersi l’idoneità soggettiva alla obbligazione di imposta, deducibile dal presupposto economico, al quale la prestazione é collegata (sentenze n. 62 del 1977; n. 92 del 1972), ossia l'esistenza di causa giustificativa del prelievo sulla base di indici concretamente rivelatori (sentenza n. 201 del 1975).

Pertanto non appare manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di considerare come indice di capacità contributiva, legata alla struttura della imposta - ciò in relazione anche alla entità delle aliquote - la disponibilità da parte del datore di lavoro delle somme corrispondenti ai TFR maturati ad una certa data: il collegamento tra imposizione e disponibilità del TFR non é palesemente arbitrario.

Ciò - si noti - ai fini di un'imposizione tributaria straordinaria, con aliquote fisse in ogni caso notevolmente inferiori alla tassazione definitiva dei TFR, con contenuto economico di mero anticipo forzoso a carico dei datori di lavoro, destinato ad essere, in un periodo relativamente breve, recuperato con rivalutazione annuale (identica a quella del TFR). Infatti, é previsto un minore versamento da parte dei datori di lavoro (questa volta con piena corrispondenza alla figura tributaria di sostituti di imposta) per ritenute dovute sui TFR corrisposte ai lavoratori. Il recupero delle somme anticipate dai datori di lavoro avviene in base a previsione regolata fin dall’inizio dalla legge, attraverso un meccanismo di credito di imposta calcolato, per ogni anno al 31 dicembre, fino a concorrenza del 9,78 per cento degli importi dei detti trattamenti ovvero, se superiore, alla percentuale del rapporto tra credito di imposta residuo e TFR "risultanti alla stessa data".

Deve, inoltre, essere sottolineato, anche ai fini della ragionevolezza della scelta del legislatore, che trattasi di imposizione (v. premesse e artt. 1 e 14 del d.l. n. 79 del 1997) esclusivamente "finalizzata all’adeguamento dei conti pubblici ai parametri previsti dal Trattato di Maastricht" (v. ordinanza n. 341 del 2000 a proposito del coevo contributo per l’Europa).

6.- Quanto alla pretesa violazione del principio di eguaglianza, in quanto non tutti i datori di lavoro sarebbero tenuti ai versamenti é sufficiente, ai fini della infondatezza, rilevare che tutti i soggetti (aventi una determinata dimensione occupazionale: oltre cinque dipendenti) che svolgono attività di impresa, compresi gli enti pubblici economici, nonchè coloro che esercitano arti e professioni, sono tenuti al versamento tributario.

Sono invece escluse, con una scelta non irragionevole, le amministrazioni pubbliche (individuate dall’art. 1 del d.l. 3 febbraio 1993, n. 29) in relazione alle diversità di configurazione (ancorchè sempre con natura di retribuzione differita con funzione previdenziale) e di finanziamento della indennità di buonuscita o di fine rapporto per i dipendenti delle anzidette amministrazioni ed alla finalità di riequilibrare i bilanci pubblici e contenere il disavanzo pubblico, rispetto alla quale sarebbe stata contraddittoria ed illogica una inclusione degli enti pubblici non economici.

Restano da considerare le differenze circa l'ambito della imposizione e circa la percentuale impositiva. In particolare, é rispettivamente prevista una fascia di esenzione (fino a cinque dipendenti) ed una variabilità della percentuale impositiva in funzione del numero di dipendenti: secondo che essi siano più di cinque, o di numero da 16 a 50, con riduzione per gli ultimi dieci assunti e con l'effetto di stabilire l'imposta in misura piena per i datori di lavoro con oltre cinquanta dipendenti. E' evidente che la scelta legislativa tiene conto della diversa influenza e rilevanza dell’autofinanziamento, in relazione al numero dei dipendenti ed alla dimensione dell’impresa stessa. Elementi, questi, considerati rilevanti ai fini del fondamento e della coerenza interna della imposizione, in un quadro complessivo di sistema, in cui la capacità contributiva deve inserirsi: sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione: ordinanza n. 341 del 2000).

Pertanto deve essere esclusa, anche per questo profilo dell’art. 3 della Costituzione, una manifesta irragionevolezza o palese arbitrarietà della scelta legislativa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 211, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come sostituito dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalle Commissioni tributarie provinciali di Forlì, di Chieti e Torino, con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, commi 211 e 213, della legge n. 662 del 1996, come sostituito dall'art. 2, comma 1, del citato decreto-legge n. 79 del 1997, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 21 maggio 2001.