Ordinanza n- 86/2001

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ORDINANZA N. 86

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI         

- Cesare RUPERTO    

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 52, commi 1 e 2, e 56, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), promosso con ordinanza emessa il 3 luglio 1997 dal Pretore di Roma, iscritta al n. 616 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 2000 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 3 luglio 1997, pervenuta a questa Corte il 18 settembre 2000, il Pretore di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, 77 e 9, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 52, commi 1 e 2, e 56, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio);

che il remittente osserva che le norme che prevedevano i reati contravvenzionali per i quali si procede – concernenti l’omessa comunicazione nei termini della quantità e qualità dei rifiuti prodotti e smaltiti nel 1993, e la omessa tenuta dei registri di carico e scarico relativi alla produzione di rifiuti speciali e tossico-nocivi –, vale a dire gli artt. 3, commi 3 e 5, e 9-octies del decreto legge 9 settembre 1988, n. 397 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 1988, n. 475), sono state abrogate dall'art. 56 del d.lgs. n. 22 del 1997, mentre l'art. 52 dello stesso d.lgs. n. 22 del 1997 punisce oggi quei comportamenti omissivi con una sanzione amministrativa pecuniaria;

che tale sopravvenuta depenalizzazione appare al remittente in contrasto, in primo luogo, con i principi e criteri direttivi dettati dalla legge di delega 22 febbraio 1994, n. 146 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1993), sulla cui base (a seguito della sostituzione del termine originario della delega, disposta dall’art. 6, comma 1, della legge n. 52 del 1996) é stato emanato il d.lgs. n. 22 del 1997, e dunque in contrasto con l'art. 76 della Costituzione, sia perchè la norma di delega, prevedendo che fosse fatta "salva l'applicazione delle norme penali vigenti", e stabilendo che solo "ove sia necessario", cioé in situazione di vuoto normativo, fossero previste nuove sanzioni amministrative e penali, avrebbe vietato di degradare ad illeciti amministrativi comportamenti già penalmente sanzionati; sia perchè l'interesse alla tutela dell'ambiente, a presidio del quale sono dettate le norme in questione, rientrando nell'ambito degli interessi generali dell'ordinamento interno "del tipo di quelli tutelati dagli artt. 34 e 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689", per i quali la citata norma di delega prevede l'impiego di sanzioni penali, a sua volta precluderebbe la depenalizzazione delle fattispecie considerate, impedendo modifiche del quadro sanzionatorio per condotte riconducibili alla medesima ratio di altre relative a materie "vicine", non interessate dalla delega;

che la disposta depenalizzazione contrasterebbe inoltre con l’art. 9, secondo comma, della Costituzione, giacchè sarebbe leso il bene della protezione dell’ambiente;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.

Considerato che questa Corte, con sentenza n. 456 del 1998 e con ordinanze n. 193 e n. 267 del 1999, successive all’ordinanza di rimessione introduttiva del presente giudizio, ha già esaminato identiche questioni, sollevate in riferimento agli stessi parametri e sotto i medesimi profili, dichiarandole non fondate e manifestamente infondate;

che, in particolare, la Corte ha ritenuto che l’art. 2, lettera d, della legge di delega non precludeva al legislatore delegato di rivedere anche l’impianto sanzionatorio nella materia, oggetto, sulla base della stessa delega, di una nuova compiuta disciplina, restando entro i limiti stabiliti dall’art. 2, comma 1, lettera d, terza proposizione, della medesima legge n. 146 del 1994; e che il riferimento agli interessi "del tipo di quelli tutelati dagli articoli 34 e 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689" si configura come un limite alla facoltà del legislatore delegato di stabilire nuove sanzioni penali, più che come una direttiva che lo vincolasse a prevedere comunque siffatte sanzioni, sicchè il legislatore delegato poteva scegliere, in base ad un apprezzamento largamente discrezionale, se ricorrere alle sanzioni penali – che non costituiscono l’unico strumento di tutela degli interessi ambientali – o a quelle amministrative in relazione alle violazioni in esame, non potendosi d’altra parte meccanicamente ricavare dal tipo di sanzione l’esistenza di un diverso livello di protezione dell’ambiente, anche tenuto conto che la scelta delle sanzioni é legata essenzialmente ad una valutazione, ampiamente discrezionale, di efficacia e di proporzionalità delle medesime;

che, quanto alla denunciata violazione dell’art. 9, secondo comma, della Costituzione, la Corte ha affermato che non é possibile invocare la protezione costituzionale dell’interesse alla tutela dell’ambiente, in assenza di obblighi di penalizzazione ricavabili dalla Costituzione, come fondamento per l’estensione della sanzione penale a condotte che il legislatore, unico abilitato a individuare i reati e le pene, non abbia ritenuto di sottoporre a tale sanzione (ordinanza n. 267 del 1999);

che l’odierna ordinanza di rimessione non prospetta argomenti nuovi rispetto a quelli già scrutinati dalla Corte, sicchè la questione appare manifestamente infondata sotto ogni profilo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 52, commi 1 e 2, e 56, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), sollevata, in riferimento agli artt. 76, 77 e 9, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Roma con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 21 marzo 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 30 marzo 2001.