Ordinanza n. 79/2001

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ORDINANZA N. 79

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), promosso con ordinanza emessa il 4 maggio 2000 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Gregoratti Sonia, iscritta al n. 665 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 2001 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto che la Corte di cassazione – dovendo decidere sul ricorso proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza de L’Aquila che aveva rigettato l’istanza di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, presentata da un'imputata, a causa della nomina da parte di quest’ultima di un avvocato difensore iscritto extra districtum – con ordinanza del 4 maggio 2000 ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 9 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui impone agli imputati non abbienti di scegliere il proprio difensore fra i professionisti iscritti agli albi del distretto di corte d’appello in cui ha sede l’ufficio giudiziario procedente;

che, secondo la Corte di cassazione, la questione sarebbe rilevante, in quanto la norma impugnata troverebbe diretta applicazione nel giudizio a quo, e sarebbe non manifestamente infondata;

che l’art. 9 citato sarebbe, infatti, eccentrico rispetto ai fondamentali valori che esso coinvolge, dato che il limite fissato si atteggerebbe alla stregua di fattore preclusivo alla fruizione del beneficio, con riflessi automatici che comprometterebbero sia l’art. 3 che l’art. 24 della Costituzione;

che la norma impugnata sarebbe, dunque, irragionevole in quanto del tutto carente di “causa normativa” e giustificata solo da motivi contingenti, di natura finanziaria, strutturalmente estranei al contesto normativo; infatti, l’obbligo di scelta del difensore all’interno del distretto – dove l’imputato potrebbe non avere rapporti di fiducia con alcuno degli avvocati ivi esercitanti – non troverebbe alcuna causa in esigenze processuali o in valori sottesi, gli unici a poter giustificare un bilanciamento di valori che possa circoscrivere le modalità di esercizio dell’inviolabile diritto di difesa;

che, inoltre, l’eliminazione di qualsiasi limite territoriale all’esercizio dell’ormai unificata professione forense – a seguito della soppressione dell’albo dei procuratori legali – renderebbe incoerente qualunque riferimento “localistico” nello svolgimento dell’attività difensiva;

che nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, in quanto la Corte costituzionale ha già respinto un’analoga questione, con sentenza n. 394 del 2000.

Considerato che identica questione di legittimità costituzionale è già stata rimessa a questa Corte e dichiarata infondata, con sentenza n. 394 del 2000, in quanto la norma impugnata stabilisce restrizioni che non oltrepassano il limite della ragionevolezza e garantiscono sufficientemente il diritto di difesa;

che, infatti, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, il legislatore, nella sua discrezionalità, può stabilire criteri relativi all’ambito territoriale di esercizio della difesa tecnica, «a tutela non solo della funzionalità dell’organizzazione giudiziaria, ma anche di altri interessi meritevoli di protezione», tra cui non possono trascurarsi le esigenze di bilancio dello Stato (sentenze n. 394 del 2000, n. 61 del 1996 e n. 54 del 1977);

che, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, il diritto di difesa è sufficientemente garantito, considerando che, all’interno di ognuno dei distretti di corte d’appello, vi è un’ampia possibilità di scelta del difensore tra i numerosi avvocati ivi esercenti, e che la garanzia costituzionale della difesa non esclude, quanto alle sue modalità, la competenza del legislatore di darvi attuazione sulla base di scelte discrezionali non irragionevoli (cfr. le sentenze n. 394 del 2000, n. 165 del 1993 e n. 194 del 1992);

che, infine, nella presente questione non rileva la sopravvenuta legge 24 febbraio 1997, n. 27, che, nel perseguimento di finalità diverse rispetto a quelle cui è ispirata la legge n. 217 del 1990, ha abolito l’albo dei procuratori legali, senza far venir meno le ragioni che giustificano i criteri territoriali stabiliti dalla norma impugnata;

che non sono stati addotti motivi nuovi e diversi, che possano indurre questa Corte a modificare il proprio orientamento.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2001.