Sentenza n. 374/2000

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SENTENZA N. 374

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 41, comma 5, terzo periodo, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 15 ottobre 1999 dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione III, nel ricorso proposto da A.S. ed altro contro il Ministero della Giustizia, iscritta al n. 60 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima parte speciale, dell'anno 2000.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto in fatto

1. — Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione III, con ordinanza emessa il 15 ottobre 1999, in un giudizio avente ad oggetto l'ottemperanza ad una sentenza con cui è stato accertato il diritto di alcuni dipendenti dell'Amministrazione penitenziaria all'attribuzione del trattamento economico spettante al primo dirigente, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 41, comma 5, terzo periodo, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui vieta di attribuire il trattamento economico riconosciuto con sentenza passata in giudicato, in riferimento agli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione.

1.1. — Premesso che il rifiuto dell'Amministrazione di dare esecuzione al giudicato trova fondamento nella norma censurata, la quale, dopo aver disposto al comma 4 che nell'art. 4-bis del decreto-legge 28 agosto 1987, n. 356, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 1987, n. 436, le parole «impiegati della carriera direttiva» si interpretano come riferite esclusivamente al personale del ruolo ad esaurimento e delle qualifiche funzionali dalla VII alla IX, alle quali ha avuto accesso a seguito di concorso, al comma 5 dispone che per il personale cui non si applica la predetta disposizione, al quale, con sentenza passata in giudicato, sia stato attribuito il trattamento economico previsto dall'art. 4-bis, non si fa luogo alla corresponsione del relativo trattamento, il giudice rimettente sostiene che tale disciplina sarebbe lesiva della garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi, nonché del principio della separazione dei poteri, in quanto non si limiterebbe a dettare una regola astratta alla quale dovrebbe attenersi l'esercizio della potestà giurisdizionale, ma costituirebbe espressione di una funzione provvedimentale concreta, volta ad incidere sugli effetti già prodotti dall'esercizio della funzione giurisdizionale, non già al fine di evitare sperequazioni tra i dipendenti, bensì di escludere qualsiasi effetto del giudicato.

2. — Nel giudizio dinanzi alla Corte, ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, ed ha eccepito l'inammissibilità e l'infondatezza della questione, sostenendo che al legislatore non è interdetta l'emanazione di disposizioni volte a modificare in senso sfavorevole ai destinatari la disciplina dei rapporti di durata, anche qualora incidano su diritti soggettivi perfetti, in quanto la Costituzione non pone limiti alla potestà di emanare norme retroattive, con la sola eccezione della materia penale, ed il rispetto del giudicato si pone su di un piano di mera opportunità politica.

Considerato in diritto

1. ¾ La questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe ha ad oggetto l'art. 41, comma 5, terzo periodo, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che prevede che, per il personale civile dell'Amministrazione penitenziaria non rientrante nelle disposizioni di cui al comma 4 del medesimo articolo, al quale, a seguito di sentenza passata in giudicato, sia stato attribuito il trattamento economico di cui all'art. 4-bis del decreto-legge 28 agosto 1987, n. 356, non si fa luogo alla corresponsione del relativo trattamento.

Secondo il giudice rimettente la disposizione in esame contrasterebbe, nella parte in cui esclude l'attribuzione del trattamento economico riconosciuto con sentenza passata in giudicato, con gli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, in quanto "non si limita a dettare una regola astratta cui debba attenersi anche l'esercizio della potestà giurisdizionale, ma esercita una funzione provvedimentale concreta, volta ad incidere sugli effetti già prodotti dall'esercizio della funzione giurisdizionale", impedendo l'esecuzione del giudicato già formatosi.

2. ¾ La questione è fondata nei limiti di seguito precisati.

La disposizione in esame, relativa al rapporto di impiego del personale dipendente dall'Amministrazione penitenziaria, diverso da quello appartenente al Corpo degli agenti di custodia - ora Corpo di polizia penitenziaria -, va esaminata nel contesto di una vicenda normativa che rientra nell'ambito del consolidato indirizzo legislativo di abrogazione degli automatismi stipendiali e di riconduzione della progressione economica dei trattamenti del personale contrattualizzato al principio della contrattazione, come risulta chiaramente, nella specie, dalla disposta cessazione dell'efficacia dell'art. 4-bis del decreto-legge n. 356 del 1987 e di altre disposizioni che estendevano al personale dipendente dell'Amministrazione penitenziaria il trattamento economico previsto per il personale dirigente e direttivo delle corrispondenti qualifiche della Polizia di Stato (art. 40 della legge 15 dicembre 1990, n. 395; art. 3, comma 4, della legge 28 marzo 1997, n. 85).

La norma impugnata dell'art. 41, comma 5, della legge n. 449 del 1997, è appunto mirata a limitare l'ambito applicativo dell'art. 4-bis del decreto-legge n. 356 del 1987, quale risulta dall'interpretazione che ne ha fornito la giurisprudenza amministrativa. Ed invero, il predetto art. 4-bis, originariamente diretto -come si ricava dai lavori preparatori- ad offrire, attraverso la previsione di un nuovo livello stipendiale, una gratificazione economica alla categoria dei direttori degli istituti di pena, priva di sviluppi di carriera, è stato interpretato nel senso che l'espressione "impiegati della carriera direttiva" si riferisse non soltanto al personale dell'Amministrazione penitenziaria che, nell'ordinamento del pubblico impiego anteriore alla legge 11 luglio 1980, n. 312, apparteneva alla carriera direttiva, ma anche al personale proveniente dalla carriera di concetto che, a seguito dell'introduzione del sistema di qualifiche funzionali operata dalla stessa legge n. 312 del 1980, era transitato, ai sensi dell'art. 4 di quest'ultima, nella VII qualifica funzionale e in quelle superiori.

Il comma 4 dell'art. 41 della legge in esame n. 449 interpreta la predetta espressione nel senso del riferimento esclusivo al personale del ruolo ad esaurimento ed a quello inquadrato nelle qualifiche funzionali dalla VII alla IX a seguito di concorso, escludendo così tutti gli altri dipendenti, eccettuato il personale dell'Amministrazione penitenziaria, transitato nella VII qualifica, appartenente a specifici profili professionali e con determinati requisiti di servizio, al quale viene corrisposto il trattamento economico, di cui all'art. 4-bis, "a decorrere dal 1° gennaio 1998 e sino al primo rinnovo contrattuale".

In conformità a quanto appunto stabilito dal comma 4, il denunziato comma 5 dello stesso art. 41, dopo aver disposto la cessazione dell'efficacia "dalla data di entrata in vigore del primo rinnovo contrattuale" del citato art. 4-bis, prevede, per il personale escluso dal predetto trattamento economico ai sensi del comma 4, sostanzialmente due ipotesi. Qualora il predetto trattamento stipendiale sia stato riconosciuto con sentenza passata in giudicato e sia stato già corrisposto, esso è destinato ad essere riassorbito dai successivi incrementi retributivi. Qualora invece -e proprio su questa ipotesi si incentra la censura del giudice rimettente- lo stesso trattamento stipendiale, pur riconosciuto con sentenza passata in giudicato, non sia stato ancora corrisposto (al momento dell'entrata in vigore della legge) non si fa più luogo alla relativa corresponsione.

3. ¾ Così ricostruito il quadro normativo sottostante alla proposta questione di legittimità costituzionale, non appare necessario accertare se l'art. 41, comma 5, della legge n. 449 del 1997 abbia carattere interpretativo o innovativo della disciplina dettata dall'art. 4-bis del decreto-legge n. 356 del 1987, poiché, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, il carattere retroattivo della legge, purché non violi il disposto dell'art. 25 della Costituzione in materia penale e non si ponga in contrasto con il principio di ragionevolezza o con altri valori ed interessi costituzionali specificamente protetti (da ultimo, sentenza n. 229 del 1999), non costituisce, di per sé solo, un profilo di illegittimità della legge stessa, neppure quando, come nella fattispecie in esame, vada ad incidere su diritti di natura economica connessi al rapporto di pubblico impiego (sentenze n. 432 del 1997, n. 153 e n. 6 del 1994).

Ciò posto, in linea generale è da escludere, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, che possa integrare una violazione delle attribuzioni spettanti al potere giudiziario una disposizione di legge che appaia finalizzata ad imporre all'interprete un determinato significato normativo, in quanto la stessa, operando sul piano delle fonti, non tocca la potestà di giudicare, ma precisa solo la regola astratta ed il modello di decisione cui l'esercizio della potestà di giudicare deve attenersi (sentenze n. 321 del 1998, n. 432 del 1997, n. 386 del 1996).

In questo quadro giurisprudenziale si può dire quindi che la norma del denunciato art. 41, comma 5, non lede la funzione giurisdizionale, solo ove risulti che l'intento legislativo non è la "correzione" concreta dell'attività giurisdizionale, ma piuttosto la creazione di una regola astratta. Il legislatore però, nella specie, oltre a creare una regola astratta, prende espressamente in considerazione anche le sentenze passate in giudicato che attribuiscono un determinato trattamento economico al personale, il quale, a seguito della disposta interpretazione autentica, non rientra più nell'ambito delle disposizioni indicate nel comma 4 dell'articolo censurato, precludendo sostanzialmente la esecuzione delle sentenze stesse. Proprio questa incidenza, diretta ed esplicita, sul giudicato esclude che la disposizione in questione operi soltanto sul piano normativo, poiché rivela in modo incontestabile il preciso intento legislativo di interferire -senza che vi sia un rapporto di conseguenzialità necessaria tra creazione della norma e incidenza sui giudicati- su questioni coperte da giudicato, non rispettando, in modo arbitrario, la differente condizione di chi abbia avuto il riconoscimento giudiziale definitivo di un certo trattamento economico riguardo a chi non lo abbia ottenuto (sentenza n. 15 del 1995). Sotto questo profilo sussiste quindi la prospettata lesione dei principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, nonché delle disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi.

Va peraltro precisato che, incentrandosi la censura del giudice rimettente su quella parte della disposizione denunciata, che pone il divieto di attribuire al personale in questione il trattamento economico riconosciuto con sentenza passata in giudicato, la relativa dichiarazione di illegittimità della norma censurata produce effetti temporalmente limitati. E' infatti evidente che alle somme che debbono essere corrisposte proprio in forza della presente decisione, sarà comunque applicata, (successivamente alla data di entrata in vigore della legge in esame), la stessa disciplina del "riassorbimento" nei futuri incrementi retributivi prevista dal medesimo comma 5 in riferimento all'ipotesi di somme già versate allo stesso titolo, anteriormente all'entrata in vigore della stessa legge. Non è infatti precluso al legislatore, eventualmente anche in sede di interpretazione autentica, di modificare sfavorevolmente per i beneficiari, purché non in modo irrazionale o arbitrario, la disciplina di determinati trattamenti economici in precedenza garantiti, anche a causa, come si è verificato nella specie, di inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica (sentenze n. 417 del 1996, n. 390 del 1995).

                                                                                      PER QUESTI MOTIVI                                                    

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 41, comma 5, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) nella parte in cui fa divieto di corrispondere al personale non rientrante nelle disposizioni di cui al comma 4, al quale, a seguito di sentenza passata in giudicato sia stato attribuito il trattamento economico di cui all'art. 4-bis del decreto-legge 28 agosto 1987, n. 356, convertito con modificazioni dalla legge 27 ottobre 1987, n. 436, le relative somme.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 luglio 2000.