Sentenza n. 224/2000

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SENTENZA N. 224

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente

- Cesare MIRABELLI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 154, primo comma, numero 1), del codice penale militare di pace, in relazione agli artt. 148 e 151 dello stesso codice, promossi con ordinanze emesse il 21 luglio 1999 (n. 4 ordinanze) dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 540, 541, 545 e 594 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 41 e 43, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto in fatto

1. – Con quattro ordinanze di identico contenuto, emesse il 21 luglio 1999 nell’ambito di distinti procedimenti penali per i reati militari di mancanza alla chiamata (art. 151 cod. pen. mil. pace; r.o. 540/99) e di diserzione (art. 148 cod. pen. mil. pace; r.o. 541, 545 e 594/99), il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 154, primo comma, numero 1), cod. pen. mil. pace (in relazione all’art. 151 o all’art. 148 dello stesso codice, secondo i casi di specie), in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

La norma impugnata prevede, per i reati militari di mancanza alla chiamata e di diserzione in ordine ai quali si procede nei processi principali, una circostanza aggravante ad effetto speciale, consistente nella durata dell’assenza dal servizio superiore a sei mesi, stabilendo che in tale caso la pena per i predetti reati è aumentata da un terzo alla metà.

Secondo il giudice rimettente, di questa previsione è fondato proporre il dubbio di costituzionalità nel raffronto con la disciplina dell’obiezione di coscienza al servizio militare, che non prevede attualmente (come non prevedeva in precedenza, vigente la legge 15 dicembre 1972, n. 772) alcuna circostanza connessa alla durata dell’ “assenza” dal servizio, in relazione al reato di rifiuto totale del servizio militare originato, appunto, da obiezione di coscienza (art. 14, comma 2, della legge 8 luglio 1998, n. 230).

Ma - prosegue il rimettente - tra il reato di rifiuto cosiddetto totale del servizio militare per obiezione di coscienza e i reati di mancanza alla chiamata o di diserzione sussisterebbe una “perfetta analogia”, alla luce anche delle sentenze della Corte costituzionale nn. 409 del 1989, 343 e 422 del 1993: l’interesse leso è il medesimo, e consiste nell’interesse alla regolare incorporazione degli obbligati alla leva; le modalità oggettive dei fatti sono analoghe, trattandosi di fattispecie di reati “a forma libera” che possono realizzarsi con comportamenti commissivi od omissivi; uguale, infine, la misura della pena prevista in tutti i casi (reclusione, comune o militare, da sei mesi a due anni).

Unico elemento di distinzione, pertanto, è l’adduzione o meno dei motivi del rifiuto e la riconducibilità degli stessi a uno dei motivi previsti dalla legge come meritevoli di tutela, integrandosi in concreto l’uno o l’altro reato soltanto in dipendenza di tale manifestazione delle ragioni interiori dell’inosservanza dell’obbligo.

Questa disciplina appare irragionevole al rimettente, che ritiene priva di giustificazione la diversità con la quale, sia pure soltanto per un elemento circostanziale del reato, i due casi sono trattati: diversità che si traduce nella possibilità di applicare nei confronti del mancante alla chiamata che si assenti per poco più di sei mesi la pena più grave, mentre chi rifiuti il servizio adducendo i motivi di cui all’art. 1 della legge n. 230 del 1998 (motivi oltretutto non verificabili nella loro serietà e consistenza) risponderà penalmente secondo quanto previsto dall’art. 14 di tale legge, senza alcun aggravamento. Con ciò risultando favorito - conclude il giudice rimettente - colui che, magari solo perché “più informato e smaliziato”, opti per la forma più “vantaggiosa” di rifiuto del servizio militare.

La questione, osserva altresì il giudice del merito, è rilevante perché se accolta determinerebbe l’emissione del decreto di rinvio a giudizio, richiesto dal pubblico ministero in relazione al titolo aggravato del reato, solo nella forma semplice dello stesso.

2. – E’ intervenuto nei giudizi così promossi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Nel giudizio di cui al r.o. 540/99, l’interveniente ha chiesto una pronuncia di infondatezza della questione, facendo richiamo per relationem a un altro atto di intervento, depositato in altro e diverso giudizio (r.o. 539/99), concernente la mancata attribuzione al giudice ordinario anche della cognizione del reato di mancanza alla chiamata, una volta che è stata affidata allo stesso giudice la cognizione del reato di rifiuto del servizio per motivi di coscienza.

Nei tre restanti giudizi (r.o. 541, 545 e 594/99), l’Avvocatura ha concluso per l’infondatezza sulla base del rilievo della consolidata affermazione, da parte della Corte costituzionale, della legittimità, alla stregua del principio di uguaglianza, di differenziazioni che, senza essere irragionevolmente discriminatorie, esprimano ambiti di discrezionalità legislativa in rapporto a casi differenti tra loro.

Nella specie, l’analogia tra i due ambiti, prospettata dal rimettente, potrebbe dirsi esistente solo per l’aspetto pratico, del non presentarsi all’adempimento del prescritto obbligo di leva; ma, per il resto, la posizione dell’obiettore di coscienza è sempre stata, anche nella precedente disciplina contenuta nella legge n. 772 del 1972, differenziata, giacché la diversità delle situazioni giustifica la diversità della loro regolamentazione legislativa.

Considerato in diritto

1. – Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Torino, con quattro ordinanze di identico contenuto, pronunciate in altrettanti procedimenti penali per i reati di «mancanza alla chiamata» (art. 151 cod. pen. mil. pace) e di «diserzione» (art. 148 cod. pen. mil. pace), con l'aggravante della durata ultrasemestrale dell'assenza, prevista dall’art. 154, primo comma, numero 1), cod. pen. mil. pace, solleva questione incidentale di legittimità costituzionale sull’articolo da ultimo menzionato, ritenendo che la previsione di tale circostanza aggravante violi l'art. 3 della Costituzione.

Analoga circostanza non è prevista per il reato di rifiuto totale del servizio militare di cui all'art. 14, comma 2, della legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), il reato cioè di colui il quale, non avendo chiesto o non avendo ottenuto l'ammissione al servizio civile, rifiuta di prestare il servizio militare, prima o dopo averlo assunto, adducendo motivi di coscienza che ostano alla prestazione del servizio militare. Data questa diversità di disciplina, il giudice rimettente ritiene violato il principio costituzionale di uguaglianza, sotto il profilo dell’irrazionalità della disparità di trattamento: assumendo che tra le ipotesi delittuose anzidette sussista «perfetta analogia» quanto a interesse tutelato e modalità oggettive dei comportamenti rilevanti, analogia che troverebbe la sua sanzione nell'uguale entità della pena prevista, sarebbe in contrasto col principio di uguaglianza la previsione della circostanza aggravante in questione in tali casi (mancanza alla chiamata e diserzione) quando manca in un altro (rifiuto totale del servizio militare). Da qui, la presente questione di costituzionalità, che il giudice rimettente solleva per ristabilire la parità di trattamento che assume essere violata.

2. – Stante l'identità delle questioni proposte con le quattro ordinanze di rinvio, i relativi giudizi possono riunirsi per essere decisi con un'unica sentenza.

3. – La questione non è fondata.

Il problema di costituzionalità da risolvere è prospettato dal giudice rimettente in riferimento esclusivo all’art. 3 della Costituzione sotto il profilo del divieto di scelte legislative irrazionalmente differenziate rispetto a situazioni analoghe. La sua soluzione sta quindi nello stabilire se le fattispecie di reato messe a confronto presentino aspetti differenziali, alla stregua dei quali la diversa rilevanza attribuita dal legislatore alla permanenza nel tempo del mancato adempimento degli obblighi militari sia da considerare palesemente arbitraria.

Il giudice rimettente, ricordando affermazioni di questa Corte contenute nelle sentenze nn. 409 del 1989, 343 e 422 del 1993, insiste sull’identità di tutte le fattispecie in questione rispetto all’interesse tutelato – la regolare «incorporazione» dei soggetti obbligati al servizio di leva – e mette in luce anche la possibile coincidenza dei comportamenti oggettivi, non descritti dalla legge, che possono dar luogo alla violazione dell’obbligo di «incorporazione» medesimo. Trascura però l’elemento, ai fini della presente questione decisivo, dal quale le diverse fattispecie sono distinte: il fattore della coscienza quale ragione determinante la violazione degli obblighi di legge. La presenza o l’assenza di tale fattore rendono tutt’altro che manifestamente arbitraria la determinazione del legislatore, nel primo caso, di escludere e, nel secondo, di riconoscere rilievo al tempo nel quale perdura la mancata «incorporazione». Ove sia in gioco l’obiezione di coscienza al servizio militare – si deve aggiungere: al servizio militare come tale – si comprende perché il legislatore abbia strutturato l’illecito senza dare rilievo al protrarsi nel tempo delle sue conseguenze, prendendo in considerazione per l’appunto – secondo la stessa lettera dell’art. 14, comma 2, della legge n. 230 del 1998 – il fatto istantaneo del «rifiuto di prestare il servizio militare», coerentemente del resto con il significato della disposizione del comma 4 che, facendo conseguire alla sentenza di condanna l’esonero dagli obblighi di leva, esclude la possibilità di violazioni plurime della disposizione del comma 2. Diversa è la sottrazione a determinati doveri conseguenti all’obbligo di prestazione del servizio militare, come nei casi di «mancanza alla chiamata» (art. 151 cod. pen. mil. pace) e di «diserzione» (art. 148 cod. pen. mil. pace). Qui si tratta di un obbligo permanente da cui derivano singoli doveri la cui violazione può dare luogo a plurime sentenze di condanna, l’esonero conseguendo solo all’espiazione della pena della reclusione per un periodo complessivamente non inferiore alla durata del servizio di leva (art. 14, comma 5, della legge n. 230 e, in precedenza, sentenze nn. 422 e 343 del 1993 citate).

Se ne ricava allora che il legislatore, non certo incoerentemente rispetto ai caratteri delle fattispecie in esame, ha valutato come elemento aggravante il perdurare nel tempo della violazione della legge e tale valutazione ha tradotto nella censurata disposizione dell’art. 154, primo comma, numero 1), cod. pen. mil. pace solo nei casi di violazione di singoli doveri derivanti dall’obbligo di prestazione del servizio militare, e che tale valutazione non contraddice quella opposta operata in riferimento al rifiuto per ragioni di coscienza del servizio militare come tale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 154, primo comma, numero 1), del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Torino, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 giugno 2000.