Sentenza n. 422 del 1993

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SENTENZA N. 422

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo e terzo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza), promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1993 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Parisio Mario, iscritta al n. 172 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 1993 il Giudice relatore Prof.Antonio BALDASSARRE.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Nel sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo e terzo comma, della legge 15 febbraio 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza), il Tribunale militare di Padova ricorda, in linea di fatto, che Mario Parisio, militare di leva in servizio dal 29 aprile 1991, il 25 settembre dello stesso anno, inviato dall'ospedale militare al corpo di appartenenza, non si presentava e rimaneva in assenza arbitraria fino al 20 maggio 1992, giorno in cui si è presentato al Distretto militare di Caserta. Con sentenza del 31 marzo 1992, peraltro, il Parisio veniva condannato in contumacia a quattro mesi di reclusione militare, con il beneficio della sospensione condizionale della pena, per l'arbitraria assenza protrattasi dal 25 settembre 1991 alla data della condanna. Il Tribunale militare di Padova, chiamato a giudicare nuovamente il Parisio per due distinti fatti di diserzione (tanto l'assenza arbitraria dal 31 marzo al 20 maggio 1992, quanto quella protrattasi dal 4 giugno all'11 dicembre dello stesso anno), osserva nell'ordinanza di rimessione che dalle dichiarazioni e dai documenti acquisiti nel dibattimento risulta che l'imputato ha dichiarato di non voler prestare il servizio militare per obbedire all'imperativo morale di far fronte con il suo aiuto e il suo lavoro a una disastrosa situazione della sua famiglia (composta dai genitori e da dieci figli), soprattutto a causa di una malattia della madre, ormai giunta allo stadio terminale, e del fatto che il suo lavoro, in presenza di un padre alcolizzato e disoccupato e di molti fratelli ancora minori di età, è una delle principali fonti per il sostentamento della famiglia stessa.

 

Posti questi elementi di fatto, il giudice a quo rileva come il dovere morale, che ha indotto l'imputato ad assentarsi dal reparto nel quale prestava il servizio militare, non può costituire giustificato motivo di rifiuto del servizio stesso, ai fini dell'esonero a pena espiata, ai sensi dell'art. 8, secondo e terzo comma, della legge n. 772 del 1972, poichè le ragioni addotte dall'imputato non rientrano tra i motivi di coscienza previsti dall'art. 1 della medesima legge. In realtà, l'imputato avrebbe potuto beneficiare dell'esonero dal servizio militare di leva per ragioni di famiglia: ma egli, essendo apparso totalmente ignorante dei suoi diritti, in assenza di adeguati istituti di patronato sociale non ha chiesto di godere di tale beneficio. Di fronte a questa situazione, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, della ricordata legge n. 772, poichè apparirebbe contrario al principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) l'accordare una tutela a motivi di coscienza di un certo tipo (come la contrarietà all'uso delle armi per i motivi indicati nell'art. 1 della stessa legge) e non agli altri motivi di coscienza, pur se non riconducibili all'incondizionata contrarietà all'uso delle armi. Inoltre, in riferimento al medesimo parametro costituzionale, lo stesso giudice a quo ritiene ingiustificata la diversità fra la norma impugnata, che prevede l'adduzione degli specifici motivi di coscienza indicati nell'art. 1 della medesima legge, e la disposizione contenuta nell'art. 8, primo comma, la quale punisce il puro e semplice rifiuto del servizio civile alternativo senza che sia necessaria l'adduzione di particolari motivi di coscienza o di altro genere.

 

Ad avviso del giudice a quo, lo stesso art. 8, secondo comma, appare contrastare anche con altre norme costituzionali, segnatamente quelle che tutelano il rispetto della coscienza come principio creatore di ogni altra libertà (artt. 2, 19 e 21 della Costituzione). Infatti, tali valori, che hanno indotto il legislatore a configurare il reato di cui all'art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972, ricorrono anche in relazione ad una posizione di coscienza non riconducibile all'incondizionata contrarietà all'uso delle armi, sicchè pur in tal caso occorre evitare, se si vuole tutelare il valore della coscienza, la c.d. spirale delle condanne. Per questi stessi motivi, la disposizione impugnata sembra contrastare anche con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione (le "pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato"), poichè tale principio costituzionale preclude al legislatore di porre norme che, misconoscendo la sostanziale unitarietà del fatto da penalizzare, comportino una certa frammentazione e indeterminatezza e, quindi, una disumanità del trattamento sanzionatorio.

 

Sulla base delle argomentazioni svolte, il giudice a quo, in riferimento ai parametri già indicati, chiede a questa Corte di dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art.8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972, nella parte in cui esclude che il reato ivi configurato si realizzi per il solo fatto del rifiuto del servizio militare o con l'adduzione di motivi di coscienza diversi da quelli indicati nell'art. 1 della stessa legge. O, se si preferisce, precisa il giudice rimettente, la Corte potrebbe semplicemente caducare l'inciso "adducendo i motivi di cui all'art. 1" contenuto nell'art. 8, secondo comma.

 

Inoltre, poichè quest'ultimo articolo prevede che il reato si realizzi soltanto quando il rifiuto del servizio militare venga posto in essere "prima di assumerlo", il giudice a quo chiede a questa Corte di dichiarare, in riferimento agli stessi parametri, l'incostituzionalità dell'art. 8, secondo comma, nella parte in cui esclude che il reato ivi configurato si realizzi anche dopo l'assunzione del servizio militare di leva. In proposito il giudice rimettente osserva che la Corte con la sentenza n. 467 del 1991 ha riconosciuto l'ingiustificatezza di simile limitazione, ma ha dichiarato di non poterla annullare in quanto da una tale pronunzia sarebbe potuto derivare un effetto peggiorativo del trattamento sanzionatorio dell'obiettore di coscienza. Ma quest'ultima osservazione è contestata dal giudice a quo tanto perchè nella considerazione della maggiore o minore gravità di un trattamento sanzionatorio andrebbero valutati anche gli effetti conseguenti all'espiazione della pena, quanto soprattutto perchè nel caso di specie l'imputato è incriminato per reati puniti con una sanzione superiore a quella prevista dalla norma impugnata, di modo che all'annullamento di quest'ultima conseguirebbe un trattamento per lui più favorevole.

 

Infine, il giudice a quo solleva questione di costituzionalità, sempre in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, nei confronti dell'art. 8, terzo comma, che, contenendo una fattispecie autonoma da quelle proprie dei commi precedenti (come ha riconosciuto la stessa Corte nella sentenza n. 467 del 1991), appare illegittimo nella parte in cui non prevede l'esonero dalla prestazione del servizio militare a seguito dell'espiazione della pena da parte di chi abbia rifiutato il servizio militare per motivi di coscienza non compresi nell'art. 1 della legge n. 772 del 1972.

 

Considerato in diritto

 

l.- Il Tribunale militare di Padova solleva - in riferimento agli artt. 2, 3, 19, 21 e 27, terzo comma, della Costituzione - distinte questioni di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 8, secondo e terzo comma, della legge 15 febbraio 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza).

 

In particolare, il giudice a quo dubita, innanzitutto, della legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, per violazione del principio di parità di trattamento (art. 3 della Costituzione) sotto un duplice profilo.

 

In primo luogo, la disposizione impugnata, nel configurare il reato di rifiuto del servizio militare in tempo di pace in relazione a coloro che, al di fuori dei casi di ammissione ai benefici previsti per gli obiettori di coscienza, adducono i motivi di cui all'art. 1 (contrarietà all'uso delle armi per motivi di coscienza attinenti a una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto), discriminerebbe ingiustificatamente coloro che compiono lo stesso rifiuto adducendo motivi di coscienza diversi, anche se non riconducibili alla ricordata contrarietà all'uso delle armi.

 

Inoltre, la medesima posizione, ad avviso dello stesso giudice, comporterebbe un'ulteriore disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista nel comma precedente del medesimo art. 8: mentre il primo comma, infatti, non condiziona il rifiuto del servizio sostitutivo ivi configurato all'adduzione di motivi giustificativi, la disposizione impugnata, invece, contiene tale condizionamento richiedendo che per configurare il reato ivi previsto siano addotti i motivi di coscienza indicati nel ricordato art. l. Sulla base delle considerazioni ora enunciate il giudice rimettente formula un petitum complesso, nel senso che chiede a questa Corte la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, nella parte in cui esclude che il reato ivi configurato si realizzi per il solo fatto del rifiuto del servizio militare o con l'adduzione di motivi di coscienza diversi da quelli indicati nell'art. 1 della stessa legge.

 

La seconda questione posta dal giudice a quo concerne ancora l'art. 8, secondo comma, sotto il diverso profilo della presunta violazione del principio di coscienza (artt. 2, 19 e 21 della Costituzione) e di quello per il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (art.27, terzo comma, della Costituzione). Secondo il giudice rimettente, questi due principi costituzionali risulterebbero violati dalla concreta possibilità che una posizione di coscienza, pur se non riconducibile ai motivi indicati nel predetto art. 1, sia soggetta alla c.d. spirale delle condanne, vale a dire al susseguirsi di pene irrogate fino all'età del venir meno dell'obbligo di leva, in conseguenza della reiterazione del medesimo rifiuto del servizio militare.

 

La terza questione posta dal giudice a quo è sorretta da un'identica motivazione diretta alla contestazione della c.d. spirale delle condanne, anche se concerne l'art. 8, terzo comma, della stessa legge, il quale prevede che l'espiazione della pena irrogata per i reati configurati nei due commi precedenti esonera dalla prestazione del servizio militare.

 

Secondo il giudice rimettente, i parametri di costituzionalità invocati per la questione antecedente risulterebbero violati ove non si estendesse il ricordato beneficio anche a coloro che rifiutano il servizio militare per motivi di coscienza diversi da quelli indicati nel citato art. 1 della stessa legge.

 

Infine, lo stesso giudice contesta ancora, in riferimento ai parametri costituzionali invocati nelle due precedenti questioni, la legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, nella parte in cui la norma impugnata, nel circoscrivere la configurazione del reato di rifiuto del servizio militare ivi previsto a coloro che, non godendo dei benefici concessi dalla medesima legge, adducano i motivi di coscienza di cui all'art. 1 prima di assumere il servizio militare, esclude dall'esonero susseguente alla pena espiata per il predetto reato, ai sensi del comma terzo dello stesso art. 8, coloro che adducano i medesimi motivi di coscienza per rifiutare il servizio militare soltanto dopo averlo assunto.

 

2.- L'insieme delle contestazioni mosse dal giudice a quo all'art. 8, secondo e terzo comma, della legge n. 772 del 1972, mira a ottenere da questa Corte interventi additivi o correttivi sulle disposizioni impugnate, diretti al risultato di estendere l'esonero conseguente alla pena espiata per i reati di rifiuto del servizio militare a coloro che manifestino tale volontà anche successiva mente all'assunzione del servizio stesso tanto se giustifichino il rifiuto adducendo motivi di coscienza anche diversi da quelli indicati dal più volte ricordato art. 1 della medesima legge, quanto se esprimano lo stesso rifiuto senza addurre motivo alcuno. Tuttavia, occorre subito osservare che, per effetto di una decisione pronunziata successivamente all'emissione dell'ordinanza introduttiva del presente giudizio, questa Corte è già intervenuta sulla sostanza del complessivo problema sollevato dal Tribunale militare di Padova in un senso non contrario a quello auspicato dal medesimo giudice a quo.

 

Con la sentenza n. 343 del 1993, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, terzo comma, della legge n. 772 del 1972, in relazione al caso di un imputato per il reato di diserzione (art. 148 c.p.m.p.), adottando una pronunzia additiva volta ad estendere l'esonero dalla prestazione del servizio militare di leva a favore di coloro che, avendo rifiutato totalmente in tempo di pace la prestazione del servizio stesso dopo aver addotto motivi diversi da quelli indicati nell'art. 1 della medesima legge o senza aver addotto motivo alcuno, abbiano espiato per quel comportamento la pena della reclusione quantomeno in misura complessivamente non inferiore alla durata del servizio militare di leva.

 

Considerata alla luce dei precedenti giurisprudenziali - e, in particolare, in relazione alla sentenza n. 467 del 1991 - e valutata in base alla motivazione della decisione prima citata, la pronunzia ora ricordata, resa in base agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione (parametri invocati anche nel caso in questione), ha evidentemente una portata generale, nel senso che estende i suoi effetti a tutti i militari imputati di reati comportanti forme di rifiuto del servizio militare che si vengano a trovare assoggettati alla "spirale delle condanne". É chiaro, infatti, che, nel ragionamento svolto da questa Corte nella sentenza n. 343 del 1993, è l'effetto della "spirale delle condanne" a porsi, di per sè, in contrasto con i valori e i fini espressi dal combinato disposto degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.

 

Nel confermare ora la portata generale di quella pronunzia, la Corte, sulla base degli stessi motivi allora espressi, ribadisce la medesima dichiarazione d'illegittimità costituzionale, precisando, in obbedienza a ragioni di certezza giuridica, che l'esonero, nei termini già detti, si estende anche a coloro che abbiano rifiutato il servizio militare soltanto dopo averlo assunto. Infatti, il caso dedotto in questo giudizio riguarda proprio un militare che ha espresso il suo rifiuto successivamente all'assunzione del servizio di leva.

 

In conseguenza di tale pronunzia, sono assorbiti i profili relativi all'art.8, terzo comma, in riferimento ai parametri concernenti gli artt. 2, 19 e 21 della Costituzione e quelli relativi all'art. 8, secondo comma, in riferimento a tutti i parametri invocati, eccetto l'art. 3 della Costituzione per l'aspetto attinente alla disparità di trattamento.

 

3.- Resta da esaminare, pertanto, la prima delle questioni sollevate dal giudice a quo, che è in parte inammissibile e in parte non fondata.

 

Inammissibile per irrilevanza è la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, per la parte in cui si assume un'ingiustificata disparità di trattamento in relazione al fatto che la norma impugnata conferisce rilievo soltanto ai motivi di coscienza, pur se non riconducibili alla contrarietà all'uso delle armi.

 

L'irrilevanza della questione deriva dal fatto che nel caso dedotto nel giudizio a quo l'imputato, stando all'ampia descrizione contenuta nell'ordinanza di rimessione, non rientra fra i soggetti che fanno valere un motivo di coscienza, anche se diverso da quelli indicati nell'art. 1 della legge n. 772 del 1972. I motivi di coscienza, infatti, non coincidono con qualsiasi imperativo morale, ma riguardano, come si deduce anche dall'appena ricordato art. 1, i comandi del foro interno riconducibili a concezioni generali, ai quali, in ragione del pluralismo dei valori di coscienza susseguente alla garanzia costituzionale delle libertà fondamentali della persona, può esser attribuita dal legislatore una determinata e limitata capacità di deroga a specifici doveri costituzionali di solidarietà civile o politica. Il pur lodevole imperativo morale di assistere la propria numerosa e bisognosa famiglia, che il giudice a quo riconosce nel caso di fronte a lui dedotto, è tutelato dall'ordinamento giuridico, come ammette lo stesso giudice, non già quale motivo di coscienza, ma quale causa sociale di dispensa dalla ferma di leva (v. art. 22, n. 5, della legge 31 maggio 1975, n. 191). E il deprecabile fatto che il godimento di tale beneficio, come lamenta il giudice a quo, non sia adeguatamente assicurato presso i ceti sociali maggiormente privi di mezzi materiali e di cultura, porta indubbiamente questa Corte ad auspicare il varo di opportune riforme, ma non può comunque indurla a convertire in motivo di coscienza un imperativo morale che per sua natura non può rientrare in quella categoria.

 

4.- Non fondata è, infine, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, per la parte in cui concerne la pretesa disparità di trattamento rispetto all'ipotesi di reato configurato nel comma precedente dello stesso articolo, disparità in conseguenza della quale il giudice a quo è pervenuto a richiedere a questa Corte una pronunzia diretta a eliminare nella disposizione impugnata qualsiasi rilievo all'adduzione di motivi per il rifiuto del servizio militare.

 

Le ipotesi di reato che il giudice rimettente pone a confronto sono in realtà totalmente eterogenee sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto il profilo delle condotte considerate. Per quel che riguarda il primo aspetto, occorre osservare, infatti, che, mentre l'art. 8, primo comma, concerne coloro che sono ammessi ai benefici previsti nella legge n. 772 del 1972, il capoverso, invece, presuppone proprio la mancata ammissione ai predetti benefici. Sul piano delle condotte, poi, mentre, il primo comma riguarda il rifiuto del servizio militare non armato e di quello sostitutivo, diversamente il secondo comma ha ad oggetto il rifiuto del servizio militare come tale. É, pertanto, evidente che la questione sollevata dal giudice a quo concerne ipotesi che, sulla base della costante giurisprudenza di questa Corte, non possono essere ritenute comparabili ai fini dell'applicazione dell'art. 3 della Costituzione. Per questa parte, dunque, la questione va rigettata.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, terzo comma, della legge 15 febbraio 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza), nella parte in cui non prevede l'esonero dalla prestazione del servizio militare di leva a favore di coloro che, avendo in tempo di pace rifiutato totalmente la prestazione del servizio stesso, anche dopo averlo assunto, sulla base di motivi diversi da quelli indicati nell'art. 1 della legge n. 772 del 1972 o senza aver addotto motivo alcuno, abbiano espiato per quel comportamento la pena della reclusione quantomeno in misura complessivamente non inferiore alla durata del servizio militare di leva;

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale militare di Padova, con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nei confronti dell'art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972, nella parte in cui esclude che il reato ivi configurato si realizzi per il solo fatto del rifiuto del servizio militare di leva;

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale militare di Padova, con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento all'art.3 della Costituzione, nei confronti dell'art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972, nella parte in cui esclude che il reato ivi configurato si realizzi allorchè siano addotti motivi di coscienza diversi da quelli contemplati nell'art. 1 della stessa legge.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/11/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Antonio BALDASSARRE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 03/12/93.