Ordinanza n. 69/2000

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.69

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente

- Cesare MIRABELLI

- Fernando SANTOSUOSSO            

- Massimo VARI                     

- Cesare RUPERTO                

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 309, commi 5 e 10, del codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse il 24 novembre e il 15 dicembre 1998 dal Tribunale di Napoli, sezione per il riesame delle misure cautelari coercitive, rispettivamente iscritte ai nn. 552 e 586 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 41 e 43, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 2000 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 24 novembre 1998, pervenuta a questa Corte il 17 settembre 1999 (R.O. n. 552 del 1999), il Tribunale di Napoli, sezione per il riesame delle misure cautelari coercitive, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 13 e 24, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 309, commi 5 e 10, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede con carattere di perentorietà il termine entro il quale deve essere rivolta la richiesta degli atti ex art. 291 c.p.p. all’autorità giudiziaria procedente e nella parte in cui, all’inosservanza di tale termine, non ricollega esplicitamente alcuna sanzione";

che il remittente dissente dalla soluzione interpretativa adottata da questa Corte con la sentenza n. 232 del 1998, secondo cui il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame decorre dal momento in cui perviene alla cancelleria del medesimo la richiesta di riesame, e che dunque entro tale termine si deve collocare anche l’ "immediato avviso" che deve esserne dato all’autorità procedente affinchè provveda alla tempestiva trasmissione degli atti: interpretazione giudicata in contrasto con il tenore letterale dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen.;

che peraltro il giudice a quo ritiene che il disposto di cui all’art. 309, commi 5 e 10, come dal medesimo interpretato, presenti profili di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 13 e 24 della Costituzione, rispettivamente per la irragionevole disparità di trattamento di situazioni analoghe, per il pregiudizio che ne deriverebbe ad una tutela effettiva della libertà personale, e per il pregiudizio al diritto di difesa, in quanto non sarebbe stabilito un termine perentorio per l'avviso da dare all'autorità procedente dell'avvenuta presentazione della richiesta di riesame, e in quanto all'inosservanza di tale termine non sarebbe, conseguentemente, collegata alcuna sanzione;

che analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 13 e 24 della Costituzione, ha sollevato lo stesso Tribunale di Napoli, sezione per il riesame delle misure cautelari coercitive, con ordinanza emessa il 15 dicembre 1998, pervenuta a questa Corte il 24 settembre 1999 (R.O. n. 586 del 1999);

che anche in tale ordinanza il remittente prende atto della soluzione interpretativa adottata da questa Corte con la sentenza n. 232 del 1998, ma ritiene di doversene discostare, giudicandola in contrasto con il tenore dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen.;

che, sulla base di questa premessa, il giudice a quo ritiene di non avere altra alternativa che quella di sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni denunciate, "non potendo assegnare alla formula normativa un significato ritenuto incompatibile con la Costituzione"; e pertanto promuove l’incidente per le medesime ragioni già disattese da questa Corte, all’uopo richiamando e facendo proprie le motivazioni dell’ordinanza di rimessione della Corte di cassazione del 9 giugno 1997 (R.O. n. 674 del 1997), che diede luogo al giudizio di legittimità costituzionale definito con la sentenza n. 232 del 1998;

che in entrambi i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, e aderendo — nel solo atto di intervento relativo al giudizio introdotto con l’ordinanza R.O. n. 586 del 1999 — alla soluzione interpretativa accolta da questa Corte.

Considerato che le due ordinanze sollevano la stessa questione, sicchè può disporsi la riunione dei giudizi affinchè siano decisi con un’unica pronunzia;

che, come ricorda il giudice a quo, questa Corte ha già deciso in altra occasione identica questione, dichiarandola non fondata sulla base di una ricostruzione del sistema normativo — effettuata alla luce dei principi costituzionali relativi alla garanzia giurisdizionale in materia di libertà personale — in base alla quale il termine di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame, dalla cui inosservanza l’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. fa discendere la decadenza della misura coercitiva, decorre dal momento in cui la richiesta di riesame perviene alla cancelleria del tribunale del riesame (sentenza n. 232 del 1998);

che successivamente questa Corte, con ordinanze n. 269 e n. 445 del 1999, ha dichiarato la medesima questione manifestamente infondata, dando atto che la Corte di cassazione a sezioni unite, con sentenza 18 gennaio 1999, n. 25, ha accolto e a sua volta argomentato la soluzione interpretativa adottata da questa Corte nella predetta sentenza n. 232 del 1998, onde, dopo la detta pronuncia del giudice di legittimità, la controversia interpretativa sul dies a quo da cui decorre il termine per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame può, allo stato, ritenersi risolta nel senso della richiamata interpretazione ancorata ai principi costituzionali;

che la medesima questione viene ora nuovamente sollevata dal Tribunale di Napoli, il quale non condivide tale soluzione interpretativa;

che le due ordinanze di rimessione sono però anteriori alla pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 25 del 1999, sopra ricordata, e dunque non hanno potuto tenerne conto;

che la interpretazione accolta da questa Corte nella sentenza n. 232 del 1998, e condivisa dalle sezioni unite della Corte di cassazione, deve essere qui confermata; onde alla luce di essa la questione ora nuovamente proposta risulta manifestamente infondata (cfr. ordinanze n. 269 e n. 445 del 1999).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, commi 5 e 10, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 13 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli, sezione per il riesame delle misure cautelari coercitive, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 2 marzo 2000.