Sentenza n. 388 del 1999

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SENTENZA N. 388

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Dott.        Renato            GRANATA               Presidente

- Prof.         Francesco        GUIZZI                     Giudice

- Prof.         Cesare             MIRABELLI             "

- Prof.         Fernando        SANTOSUOSSO      "

- Avv.         Massimo         VARI                         "

- Dott.        Cesare             RUPERTO                 "

- Dott.        Riccardo         CHIEPPA                  "

- Prof.         Gustavo          ZAGREBELSKY      "

- Prof.         Valerio            ONIDA                      "

- Prof.         Carlo               MEZZANOTTE        "

- Avv.         Fernanda         CONTRI                    "

- Prof.         Guido             NEPPI MODONA    "

- Prof.         Piero Alberto  CAPOTOSTI             "

- Prof.         Annibale         MARINI                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 696 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 20 maggio 1997 dal Tribunale di Torre Annunziata nel procedimento civile vertente tra Giuseppe Ciliberto e la Ciba Geigy s.p.a. ed altra, iscritta al n. 553 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 1998.

       Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1999 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

       1. Nel corso di un giudizio promosso per ottenere la condanna al risarcimento dei danni subiti da un’autovettura in un incidente stradale, il Tribunale di Torre Annunziata, con ordinanza emessa il 20 maggio 1997 (pervenuta alla Corte costituzionale l’8 luglio 1998), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 696 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che l’accertamento tecnico o l’ispezione giudiziale, chiesti con procedimento di istruzione preventiva, possano avere ad oggetto la quantificazione dei danni.

La disposizione denunciata prevede che chi ha urgenza di far verificare prima del giudizio lo stato di luoghi o la condizione di cose, può chiedere che sia disposto un accertamento tecnico o un’ispezione giudiziale.

 Il Tribunale di Torre Annunziata, pur ricordando l’indirizzo giurisprudenziale che consente di considerare quale elemento di convincimento del giudice per la decisione di merito le valutazioni del consulente d’ufficio raccolte in sede di accertamento tecnico preventivo, purché sia stato rispettato il principio del contraddittorio, ritiene che in quella sede il consulente tecnico si debba limitare alle verifiche sulle cose e non possa effettuare una stima dei danni, che invece, nel caso sottoposto al suo giudizio, erano stati valutati.

Sulla base di questa interpretazione, il giudice rimettente ritiene che la norma denunciata sia in contrasto con il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, garantito dall’art. 24 della Costituzione. Difatti, non ammettere la valutazione del danno nel corso dell’accertamento preventivo, vanificherebbe la piena esplicazione e l’effettività della tutela giurisdizionale, che sono il corollario del diritto di agire in giudizio.

La norma denunciata sarebbe anche in contrasto con l’art. 11 della Costituzione, in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (la cui ratifica ed esecuzione è stata disposta con la legge 4 agosto 1955, n. 848), che garantisce a tutti il diritto ad un giudizio entro un termine ragionevole. Difatti l’art. 696 cod. proc. civ., escludendo la quantificazione dei danni in sede di accertamento tecnico preventivo, renderebbe necessaria una ulteriore consulenza tecnica nel successivo giudizio di merito per effettuare un accertamento che potrebbe essere svolto in contraddittorio fra le parti già nella sede preventiva, così dilatando la durata del processo ed accrescendo le spese di giudizio.

       2. E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata.

       Ad avviso dell’Avvocatura, l’ordinanza di rimessione non avrebbe considerato i limiti propri dei procedimenti sommari, di accertamento tecnico e di ispezione giudiziale preventivi, diretti ad impedire il venir meno dell’oggetto di una prova rilevante nel futuro giudizio di merito, quando il mutare delle situazioni potrebbe non consentire l’accertamento dopo il decorso del tempo. Definire nel procedimento sommario preventivo anche l’ammontare del danno significherebbe anticipare una valutazione che, sulla scorta degli elementi acquisiti in via di urgenza, potrà essere data nel giudizio di merito, in rapporto ad una azione già esercitata e nel pieno rispetto del contraddittorio tra le parti.

La garanzia costituzionale del diritto di agire in giudizio per tutelare i propri diritti non imporrebbe un’anticipazione di questo apprezzamento, mentre è solo necessaria una misura diretta ad acquisire tutti gli elementi di fatto, anche connotativi delle cause del danno, che rischiano di essere dispersi.

       La disciplina dell’accertamento tecnico preventivo, dettata dall’art. 696 cod. proc. civ. per rispondere a questa esigenza, può essere interpretata, secondo quanto la giurisprudenza costituzionale ha già indicato (sentenza n. 46 del 1997), nel senso che l’accertamento comprenda tutti gli elementi conoscitivi considerati necessari per le valutazioni che dovranno essere effettuate nel giudizio di merito ed includa, quindi, ogni acquisizione preordinata alla successiva valutazione, anche tecnica, che in quel giudizio si dovrà esprimere per determinare la causa del danno o l’entità di esso.

L’Avvocatura ritiene, inoltre, che l’art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non possa essere considerato idoneo parametro di valutazione della legittimità costituzionale. Difatti la convenzione, ratificata ed eseguita con legge ordinaria, avrebbe lo stesso valore delle altre norme nazionali. In ogni caso l’accertamento tecnico preventivo risponderebbe proprio alla funzione, indicata dalla stessa convenzione, di accelerare e semplificare il futuro giudizio di merito.

Considerato in diritto

1. La questione di legittimità costituzionale investe la disciplina dell’accertamento tecnico nell’ambito dei procedimenti di istruzione preventiva.

Il Tribunale di Torre Annunziata ritiene che l’art. 696 del codice di procedura civile, nel prevedere che chi ha urgenza di far verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la condizione di cose può chiedere che sia disposto un accertamento tecnico, non consenta di accertare in questa sede l’entità dei danni, in vista di un giudizio di risarcimento. Questa limitazione violerebbe il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti (art. 24 Cost.), giacché protrarrebbe ingiustificatamente nel tempo la effettività della tutela giurisdizionale, richiedendo a tal fine una ulteriore fase di giudizio ed una nuova consulenza tecnica, mentre le ragioni dell’attore potrebbero essere soddisfatte con un unico accertamento, svolto in contraddittorio tra le parti, nel procedimento di istruzione preventiva. Sarebbe anche violato il diritto ad un giudizio la cui durata sia contenuta in tempi ragionevoli: diritto garantito dall’art. 6, paragrafo 1, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848), la cui violazione determinerebbe, ad avviso del giudice rimettente, una lesione dell’art. 11 della Costituzione.

2. La questione non è fondata.

2.1. Il nucleo essenziale della tutela costituzionale che viene richiesta riguarda il diritto al giudizio: l’effettività della tutela dei propri diritti cui è preordinata l’azione, ed in definitiva la stessa efficacia della giurisdizione, si combina con la durata ragionevole del processo. Garanzia, quest’ultima, la cui fonte il giudice rimettente individua nell’art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, alla quale, pur se resa esecutiva in Italia con legge ordinaria, egli attribuisce un valore obbligante per il legislatore nazionale in forza dell’art. 11 della Costituzione.

Indipendentemente dal valore da attribuire alle norme pattizie, che non si collocano di per se stesse a livello costituzionale (tra le molte sentenze n. 188 del 1980 e n. 315 del 1990), mentre spetta al legislatore dare ad esse attuazione (sentenza n. 172 del 1987), è da rilevare che i diritti umani, garantiti anche da convenzioni universali o regionali sottoscritte dall’Italia, trovano espressione, e non meno intensa garanzia, nella Costituzione (cfr. sentenza n. 399 del 1998): non solo per il valore da attribuire al generale riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo fatto dall’art. 2 della Costituzione, sempre più avvertiti dalla coscienza contemporanea come coessenziali alla dignità della persona (cfr. sentenza n. 167 del 1999), ma anche perché, al di là della coincidenza nei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente nella interpretazione. Ciò che, appunto, accade per il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi, garantito dall’art. 24 della Costituzione, che implica una ragionevole durata del processo, perché la decisione giurisdizionale alla quale è preordinata l’azione, promossa a tutela del diritto, assicuri l’efficace protezione di questo e, in definitiva, la realizzazione della giustizia (sentenza n. 345 del 1987).

2.2. Il potere di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti trova la concreta esplicazione nella disciplina del processo, con una molteplicità di istituti destinati a rendere effettiva questa garanzia. Nel processo civile rispondono anche a questa esigenza i procedimenti sommari di istruzione preventiva, diretti a raccogliere, ancor prima che sia instaurato un giudizio, gli elementi necessari per la formazione della prova; ciò al fine di evitare che la modifica delle situazioni o gli eventi che si possono verificare impediscano, poi, la formazione e l’acquisizione della prova nel giudizio di merito. Ma l’accertamento tecnico preventivo, giustificato da questa finalità cautelare, non deve necessariamente trasformarsi, perché si realizzi la garanzia del diritto ad ottenere in tempi ragionevoli una decisione di merito, da atto di istruzione preventiva in sostanziale anticipazione del giudizio, che verrebbe così ricondotto sino ad esaurirsi nella fase del procedimento sommario.

Da questa conclusione non deriva la prospettata lesione del diritto di azione né un irragionevole ritardo della decisione nel successivo giudizio di merito. Difatti, come si è già precisato esaminando la legittimità costituzionale dell’art. 696 cod. proc. civ., questa disposizione può essere interpretata, in coerenza con il sistema ed alla luce dei principi costituzionali che garantiscono la tutela in giudizio del proprio diritto, nel senso che l’accertamento tecnico preventivo «comprenda tutti gli elementi conoscitivi considerati necessari per le valutazioni che dovranno essere effettuate nel giudizio di merito ed includa, quindi, ogni acquisizione preordinata alla successiva valutazione, anche tecnica, che in quel giudizio si dovrà esprimere per determinare la causa del danno o l’entità di esso» (sentenza n. 46 del 1997). Ciò che consente l’anticipata e tempestiva raccolta di ogni elemento di fatto necessario per il giudizio, anche in vista della quantificazione del danno.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 696 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 11 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848), dal Tribunale di Torre Annunziata con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 ottobre 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1999.