Ordinanza n. 313/99

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ORDINANZA N. 313

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 34 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'11 marzo 1998 dalla Corte d'appello di Caltanissetta, iscritta al n. 585 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1998.

Visto l'atto di costituzione della parte privata nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 maggio 1999 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che la Corte d'appello di Caltanissetta, nel corso di un procedimento di ricusazione, con ordinanza in data 11 marzo 1998, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato un giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti dello stesso imputato per un reato diverso, nella quale la decisione abbia comportato valutazioni di merito idonee ad incidere sotto il profilo sostanziale nel successivo giudizio;

che il remittente riferisce che la dichiarazione di ricusazione riguarda il Presidente della Corte d'assise di Caltanissetta, il quale ha concorso a pronunciare una sentenza con la quale il ricusante é stato fra l'altro ritenuto responsabile, quale componente della cosiddetta commissione provinciale di "cosa nostra", di concorso morale nella strage di Capaci e si trova ora a giudicare lo stesso imputato nel processo Borsellino-ter per concorso morale nella strage di via D’Amelio, sempre in quanto componente della cosiddetta commissione provinciale di "cosa nostra", nonchè per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen.;

che il remittente richiama la sentenza n. 371 del 1996 di questa Corte, con la quale é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 34 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata;

che, ad avviso del remittente, non potrebbe farsi luogo alla pura e semplice applicazione dell'anzidetta sentenza, posto che i reati di strage contestati all'imputato nei due giudizi sarebbero diversi, mentre la qualità di componente dell'organismo di vertice dell'associazione mafiosa, attribuita al medesimo imputato in entrambi i processi, rimarrebbe estranea alla condotta, che si sostanzierebbe unicamente nella partecipazione alla deliberazione o nella prestazione dell'assenso all'esecuzione materiale dei delitti;

che, tuttavia, alla luce della sentenza n. 371 del 1996 e del principio del giusto processo in essa affermato, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 34 cod. proc. pen. poichè, nonostante la diversità dei reati (la strage di Capaci nel primo processo e quella di via D'Amelio nel secondo), il successivo giudizio, nel quale il ricusante é imputato anche del reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., sarebbe pregiudicato dalla precedente sentenza pronunciata nei suoi confronti;

che nel presente giudizio ha spiegato atto di intervento, peraltro tardivo, la parte privata, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che la sostanza costituzionalistica del quesito sottoposto a questa Corte dal giudice remittente é se, alla luce del principio del giusto processo, le ipotesi di incompatibilità elencate nell'articolo 34 del codice di procedura penale debbano essere allargate a comprendere il caso del giudice che nei confronti della medesima persona, imputata di un reato di strage in quanto appartenente ad un'associazione criminale, si sia già pronunciato per un diverso reato di strage riferibile alla medesima associazione;

che, nonostante la diversità dei reati, ad avviso del remittente, il secondo giudizio sarebbe pregiudicato per essere stato, con la prima sentenza, l'imputato ritenuto colpevole, a titolo di concorso morale, in quanto componente della cosiddetta commissione provinciale dell'associazione criminosa "cosa nostra";

che in relazione al primo giudizio, riguardante la strage di Capaci, dall'ordinanza di remissione e dal fascicolo ad essa allegato non risulta esservi stata alcuna imputazione nè alcuna condanna per il reato di associazione di tipo mafioso, reato contestato invece nel successivo giudizio unitamente a quello concernente la strage di via D'Amelio, anch'esso ascritto all'imputato a titolo di concorso morale in quanto componente della cosiddetta commissione provinciale di "cosa nostra";

che essendo manifestamente autonomi e distinti i due reati di strage, la contestata partecipazione a titolo di concorso morale nell'uno e nell'altro non può non essersi realizzata attraverso determinazioni suscettibili di valutazioni a loro volta autonome e distinte, qualunque sia stato il contesto nel quale si assuma che esse siano state adottate;

che essendo, quindi, sotto ogni profilo, i fatti per i quali attualmente si procede diversi da quelli in relazione ai quali é stata già pronunciata sentenza nei confronti del medesimo imputato, la loro cognizione in successivi giudizi da parte del medesimo giudice non comporta alcuna violazione del principio del giusto processo;

che non sussistono, pertanto, le condizioni per la sollecitata estensione della fattispecie di incompatibilità delineata dalla sentenza n. 371 del 1996, nè per l'applicazione dei princìpi contenuti nella successiva sentenza n. 241 del 1999, con la quale l'incompatibilità é stata ritenuta sussistere quando il giudice si sia pronunciato con sentenza nei confronti del medesimo imputato per il medesimo fatto;

che la questione deve essere quindi dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 34 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Caltanissetta con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1999.