Ordinanza n. 424/98

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ORDINANZA N.424

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 318, 322-bis e 325 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 9 giugno 1997 dal Tribunale di Milano sull'istanza proposta da F.P., iscritta al n. 699 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1997.

  Udito nella camera di consiglio del 22 aprile 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

  Ritenuto che il Tribunale di Milano, nella qualità di giudice del riesame in tema di misure cautelari reali, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del <<combinato disposto>> degli artt. 318, 322-bis e 325 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede alcun mezzo di impugnazione avverso il provvedimento di diniego del sequestro conservativo, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione;

  che il rimettente - premesso che il difensore della parte civile aveva proposto impugnazione, espressamente qualificata come appello, avverso il provvedimento con il quale era stata respinta la richiesta di sequestro conservativo nei confronti degli imputati e dei responsabili civili, eccependo contestualmente, nel caso in cui l’impugnazione fosse stata dichiarata inammissibile, l’illegittimità costituzionale degli artt. 318, 322-bis e 325 cod. proc. pen. per violazione degli artt. 3, 24 e 76 Cost. – afferma di condividere i dubbi di costituzionalità in riferimento all’art. 24, primo comma, Cost.;

  che, in particolare, il rimettente rileva che, mentre l’art. 322-bis cod. proc. pen. consente l’appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca emesso dal pubblico ministero, in caso di mancato accoglimento della richiesta di sequestro conservativo la parte civile rimarrebbe totalmente priva di tutela;

  che in tale situazione il ricorso alle misure cautelari esperibili nel processo civile non offre – ad avviso del rimettente - adeguata tutela alla posizione della parte civile, che si vedrebbe costretta <<a iniziare un’autonoma azione in sede civile per ottenere quanto ingiustamente negatole dal giudice penale, con evidente compromissione del suo diritto alla tutela giurisdizionale>>, anche in considerazione dei limiti alla prova previsti nel processo civile;

  che il giudice rimettente conclude che sarebbe pertanto più logico e più coerente con l’intero sistema delle impugnazioni dei provvedimenti cautelari consentire alla parte civile di impugnare il rigetto dell’istanza di sequestro conservativo avanti al tribunale del riesame, naturalmente deputato al controllo di tutti i provvedimenti in materia di misure cautelari.

  Considerato che, a norma dell’art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen., il sequestro conservativo dei beni mobili o immobili dell’imputato o delle somme o cose a lui dovute deve essere chiesto dal pubblico ministero in funzione di garanzia per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato, e può essere chiesto, a differenza di quanto previsto dal previgente codice di rito, anche dalla parte civile sui beni dell’imputato o del responsabile civile a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato;

che l’attuale disciplina appresta più articolate forme di tutela al soggetto danneggiato dal reato, che non solo é posto in condizione di scegliere se far valere le proprie ragioni creditorie in sede civile ovvero nel processo penale, ma, in quest’ultimo caso, può anche sollecitare direttamente l’adozione di una misura cautelare a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato, con l’ulteriore conseguenza che, rispetto al sequestro disposto in sede civile, i crediti a garanzia dei quali la parte civile ha chiesto e ottenuto il sequestro conservativo penale si considerano privilegiati (art. 316, comma 4, cod. proc. pen.);

che alla legittimazione a chiedere il sequestro conservativo il legislatore non ha ritenuto di collegare il potere di impugnare il provvedimento di rigetto della misura cautelare, previsto dall’art. 318 cod. proc. pen., nella forma del riesame, solo avverso l'ordinanza che ha disposto il provvedimento;

che tale scelta si inserisce nel quadro del nuovo sistema dei rapporti fra azione civile e azione penale complessivamente ispirato al favor separationis (v., ex plurimis, sentenza n. 433 del 1997), quale corollario del carattere accessorio e subordinato dell’azione civile nel processo penale e della prevalenza in quest’ultimo di interessi pubblicistici rispetto a quelli privatistici della parte civile (v., in particolare, sentenza n. 353 del 1994), nonchè della specificità dell’azione risarcitoria nel processo penale rispetto alle analoghe pretese fatte valere nel processo civile (v. sentenze n. 94 del 1996 e n. 532 del 1995);

  che, in questa prospettiva, é lasciata al danneggiato dal reato la scelta di chiedere la tutela dei propri diritti nella sede propria (cioé nel processo civile) oppure nel processo penale, <<previa valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi insiti nella opzione concessagli>>, ma, <<una volta compiuta la scelta di esercitare l’azione civile nel processo penale, non é dato sfuggire agli effetti che da tale inserimento conseguono, per via della struttura e della funzione del giudizio penale, cui la stessa azione civile deve necessariamente adattarsi, considerate le esigenze di pubblico interesse sottese all’accertamento dei reati>> (sentenza n. 94 del 1996);

  che, comunque, la parte civile, in caso di diniego del sequestro conservativo, non rimane del tutto priva di tutela, potendo far valere le sue ragioni in sede civile: in tale caso, nè la revoca di costituzione di parte civile (art. 82, comma 2, cod. proc. pen.), nè la sospensione del processo civile (art. 75, comma 3, cod. proc. pen.) recherebbero pregiudizio al diritto del danneggiato di agire cautelarmente, avendo questi facoltà di richiedere il sequestro conservativo civile anche durante la sospensione del giudizio di merito (art. 669-quater, secondo comma, cod. proc. civ.);

  che, del resto, l’art. 24, primo comma, Cost., indicato dal rimettente come parametro della questione di legittimità costituzionale sotto il profilo della violazione del diritto alla tutela giurisdizionale, non comporta la garanzia generale del doppio grado di giurisdizione, assicurata dall’art. 111, secondo comma, Cost. solo contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale;

  che, infine, la diversa disciplina dettata dall’art. 322-bis cod. proc. pen., ove é prevista l’appellabilità di tutte le ordinanze in materia di sequestro preventivo, trova giustificazione nella differenza tra le due forme di sequestro e, in particolare, negli interessi pubblicistici che ispirano il sequestro preventivo, volto alla prevenzione dei reati (v. ordinanza n. 334 del 1991) rispetto a quelli di natura patrimoniale e civilistica che connotano invece in maniera esclusiva il sequestro conservativo, sicchè, per le ragioni già espresse, non irragionevolmente il legislatore ha nel primo caso inteso assicurare al pubblico ministero un mezzo di impugnazione avverso il provvedimento negativo, negandolo invece alla parte civile (e allo stesso pubblico ministero) in relazione al sequestro conservativo;

  che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 318, 322-bis e 325 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Milano, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1998.