Sentenza n. 291/98

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SENTENZA N.291

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente

  Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO            

- Avv.    Massimo VARI                    

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, promosso con ordinanza emessa il 25 agosto 1997 dal Pretore di Lucca – sez. distaccata di Viareggio, iscritta al n. 774 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Udito nella camera di consiglio del 20 maggio 1998 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

 

Il Pretore di Lucca – Sezione distaccata di Viareggio, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui esclude che le sanzioni sostitutive si applichino al reato di commercio di sostanze alimentari nocive di cui all’art. 444 del codice penale.

Secondo il giudice a quo il principio di uguaglianza risulterebbe vulnerato per l’irragionevole disparità di trattamento riservata, ai fini dell’applicazione delle sanzioni sostitutive, ai reati di adulterazione o contraffazione di cose in danno della salute pubblica (di cui all’art. 441 del codice penale) e di commercio di medicinali per i quali non sia stata rilasciata o sia stata sospesa o revocata l’autorizzazione del Ministero della sanità (di cui al d.lgs. 29 maggio 1991, n. 178), i quali non sono esclusi dal regime di cui si discute benchè ledano il medesimo bene giuridico (la salute pubblica) e siano assoggettati ad un trattamento sanzionatorio di pari o maggiore rigore, rispetto al reato di cui all’art. 444 del codice penale (si richiamano, al riguardo, le sentenze n. 249 del 1993, n. 254 del 1994 e n. 78 del 1997).

Nel giudizio non si é costituita la parte privata nè ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

 

1. – Il giudice a quo dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità dell’art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui esclude che le sanzioni sostitutive si applichino al reato di commercio di sostanze alimentari nocive previsto dall’art.444 del codice penale.

La violazione del principio di eguaglianza sarebbe conseguente alla previsione preclusiva contenuta nella norma denunciata, cui fa da riscontro la possibilità di accesso al regime delle sanzioni sostitutive relativamente a fattispecie di reato, che non soltanto si inseriscono nella medesima tipologia di beni ed interessi protetti dalla norma penale (la categoria dei delitti di comune pericolo mediante frode) ma che, alla stregua delle pene edittali comminate, presentano un tasso di gravità ancor maggiore.

Più in particolare, mentre per il reato di commercio di sostanze alimentari nocive (contestato nel caso di specie), pur essendo comminata la reclusione da sei mesi e tre anni e la multa non inferiore a lire centomila, la possibilità di sostituzione della pena é esclusa, una identica disposizione ostativa non é prevista per il reato di adulterazione di cose in danno della salute pubblica (punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire seicentomila) e per la contravvenzione contemplata dall’art. 23 del decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178, che punisce, fra l’altro, con l’arresto da due mesi ad un anno e con l’ammenda da lire dieci milioni a lire cento milioni il commercio di medicinali per i quali non sia stata rilasciata l’autorizzazione da parte del ministero della sanità ovvero 1’autorizzazione stessa sia stata sospesa o revocata.

2. – La questione é fondata.

3. – Questa Corte ritiene necessario ribadire "che il regime delle esclusioni oggettive dalle sanzioni sostitutive quale delineato dall’art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, rispondeva, al momento della sua introduzione, ad una precisa ratio di prevenzione generale" (v., da ultimo, sentenza n. 78 del 1997); una ratio che sembra ormai essersi dissolta in conseguenza di novazioni normative nel frattempo intervenute e che hanno profondamente inciso sull’assetto complessivo del microsistema, senza che ad esse abbia corrisposto una operazione di adattamento del regime preclusivo.

La soglia di rottura della disciplina complessiva dei divieti deve ascriversi a due eventi normativi, non accompagnati da alcun riassetto della materia.

In primo luogo, l’entrata in vigore del codice del 1988 che, aumentando il novero dei reati di competenza del pretore, ha determinato, anche attraverso l’utilizzazione della procedura di cui all’art. 444 e seguenti dello stesso codice ed i conseguenti effetti "premiali" di essa, l’applicazione delle sanzioni sostitutive a reati olim di competenza del tribunale e, dunque, non iscrivibili - in forza dell’espresso disposto dell’art. 54, allora vigente, della legge n. 689 del 1981 - nell’elenco delle esclusioni oggettive. Significativa, al riguardo, la situazione quasi paradossale concernente l’esclusione dell’applicazione delle pene sostitutive per il reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro ed, in forza dell’aumento della competenza pretorile, la concedibilità delle dette sanzioni in caso di omicidio colposo provocato da identiche violazioni. Una distonia subito avvertita dalla Corte che, con sentenza n. 249 del 1993, dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 60 della legge n. 689 del l981, appunto "nella parte in cui stabilisce che le pene sostitutive non si applicano al reato previsto dall’art. 590, secondo e terzo comma, del codice penale, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro, che abbiano determinato le conseguenze previste dal primo comma, n. 2, o dal secondo comma dell’art. 583 del codice penale".

In secondo luogo, la "novellazione" della legge 24 novembre 1981, n. 689, ad opera del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto l993, n. 296; e ciò sotto un duplice ordine di profili. Sia attraverso la previsione della estensione quoad poenam della possibilità di applicazione delle sanzioni sostitutive (un anno anzichè sei mesi per la semidetenzione, sei mesi anzichè tre mesi per la libertà controllata, tre mesi anzichè un mese per la pena pecuniaria); sia attraverso l’abrogazione del citato art. 54 della legge n. 689 del 1981, così da sopprimere la disposizione che riservava al solo pretore l’applicabilità delle sanzioni sostitutive. Tanto da consentire l’accesso a tali sanzioni anche a reati di particolare gravità, pure tenendo conto della riduzione "premiale" in caso di accesso alla procedura del "patteggiamento".

4. – D’altro canto, che l’art. 60 non fosse stato conformato in modo da far fronte a novazioni legislative anche di ordine strettamente sostanziale era stato presagito dagli studiosi sin dall’entrata in vigore della legge n. 689 del 1981. Si era, infatti, posto subito in dubbio che il catalogo delle esclusioni, delineato con la previsione di fattispecie di reato indicate nominatim, avrebbe potuto comportare effetti destabilizzanti all’interno del microsistema (v., ancora, al proposito, la sentenza n. 78 del 1997) ove si fosse verificata l’introduzione di nuove fattispecie, finalizzate alla protezione della medesima categoria di interessi e caratterizzate da un grado di gravità pari o maggiore di quello relativo a reati ricompresi nel divieto e, quindi, non assoggettabili al regime preclusivo, se non si fosse intervenuti attraverso i necessari adattamenti legislativi, il più delle volte, peraltro, di non agevole praticabilità.

Un evento che non avrebbe mancato di avverarsi come risulta, fra l’altro, comprovato dalle numerose denunce di illegittimità costituzionale aventi ad oggetto l’art. 60 della legge n. 689 del 1981, sempre additandosi tertia comparationis sopravvenuti.

In tale prospettiva la Corte, con sentenza n. 254 del 1994, ebbe a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 60 della legge n. 689 del 1981 "nella parte in cui esclude che le pene sostitutive si applichino ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento". Il tutto – peraltro in un settore normativo in cui il divieto rispondeva, attesi gli interessi tutelati, a canoni di assoluta razionalità – in forza di ipotesi di reato sopravvenute alla norma coinvolta nella dichiarazione di illegittimità costituzionale proprio per "l’identica obiettività giuridica delle fattispecie".

Analogamente, con la già menzionata sentenza n. 78 del 1997 é stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 60 della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui esclude che le pene sostitutive si applichino ai reati previsti dall’art. 452, secondo comma, del codice penale. E ciò per l’utilizzazione di due termini di comparazione: l’uno costituito dall’art. 23, comma 3, del decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178, l’altro rappresentato dall’art. 441 del codice penale, entrambi rivelatori della irrazionalità di un sistema che consente l’applicazione del regime delle sanzioni sostitutive per reati di maggiore gravità rispetto a quelli per i quali vige l’esclusione.

E’ da notare che questa Corte ha dovuto procedere alle citate declaratorie di illegittimità costituzionale nella specifica materia delle esclusioni oggettive dall’applicabilità di sanzioni sostitutive, in rigorosa osservanza del principio costituzionale di eguaglianza e superando il proprio generale indirizzo volto a non interferire nelle scelte legislative in materia sanzionatoria, che la hanno più volte portata a ritenere riservata al potere legislativo la valutazione di quelle esigenze di prevenzione generale che possono indurre alla esclusione degli autori di determinati reati da taluni beneficii di ordine penale. Ed infatti, nella situazione diacronicamente determinatasi nel campo delle sanzioni sostitutive nei modi sopra ricordati, non é ipotizzabile una scelta razionale del legislatore, trattandosi all’evidenza di ineguaglianze ed irragionevolezze derivanti esclusivamente da interventi non coordinati e da totale assenza di interventi di riassetto della materia, divenuti doverosi a seguito della modificazione di altri aspetti del quadro legale.

5. – L’ordinanza di rimessione si richiama proprio alla sentenza n. 78 del 1997, da ultimo citata, relativa all’art. 452 del codice penale. E rileva che, mentre per il reato di cui all’art. 444 del codice penale (oggetto dell’imputazione nel giudizio a quo) é preclusa l’applicazione delle pene sostitutive, per il reato previsto dall’art. 441 dello stesso codice (oltre che per quello previsto dall’art. 23 del decreto legislativo n. 178 del 1991), appartenente ai delitti di comune pericolo mediante frode ed assoggettato ad una pena di maggiore gravità, la concessione di tali sanzioni é viceversa divenuta possibile.

Ed in effetti "un contributo decisivo", tale da palesare "l’incongruenza della norma denunciata, deriva dalla irragionevolezza" qui scaturente da un tertium comparationis interno al sistema del codice. Ben diverso é infatti il peso del richiamo all’art. 441 del codice penale, che punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire seicentomila chiunque adultera o contraffà, in modo pericoloso per la salute pubblica, cose destinate al commercio diverse dalle sostanze alimentari; "un reato la cui pena é sostituibile", a differenza di quanto previsto dall’art. 444 dello stesso codice, che punisce con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a lire centomila chiunque detiene per commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo alimentare sostanze nocive.

6. – Ancora una volta, dunque, questa Corte si vede costretta a richiamare il legislatore ad una complessiva revisione del regime delle esclusioni oggettive delle sanzioni sostitutive che elimini le distonie più volte rilevate, ribadendo come una parcellizzazione degli interventi demolitori rischi di produrre ulteriori incongruenze nel sistema. Un rischio avvertito soprattutto considerando la funzione di prevenzione generale delle dette esclusioni che, una volta rimosse, potrebbero rivelare, in mancanza degli indifferibili interventi legislativi ai quali questa Corte ha fatto reiteratamente appello, come la funzione perseguita dalla legge n. 689 del 1981 sia ormai, in notevole parte, venuta meno.

In particolare, é da rilevare che lo stato di disordine e di incertezza che ad opera di mancati interventi legislativi si é venuto a creare nel delicato settore dei reati, dolosi come colposi, di comune pericolo rischia di compromettere la linea di tendenza volta ad una particolare protezione dei beni offesi da tali reati anche dal punto di vista della prevenzione generale: effetto, che come nel caso in esame, si produce non per consapevole scelta legislativa, ma per incongruenze derivanti dal sovrapporsi di interventi non coordinati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui esclude che le sanzioni sostitutive si applichino al reato di cui all’art. 444 del codice penale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1998.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Redattore: Giuliano VASSALLI

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1998.