Sentenza n. 254 del 1994

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SENTENZA N. 254

 

ANNO 1994

 



 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Giudici:

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

prof. Antonio BALDASSARRE

 

prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

avv. Mauro FERRI

 

prof. Luigi MENGONI

 

prof. Enzo CHELI

 

dott. Renato GRANATA

 

prof. Giuliano VASSALLI

 

prof. Francesco GUIZZI

 

prof. Cesare MIRABELLI

 

prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

avv. Massimo VARI

 

dott. Cesare RUPERTO;

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 60, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi con ordinanze emesse il 22 novembre 1993 dal Pretore di Genova, il 21 dicembre 1993 dal Pretore di Asti, il 26 novembre 1993 dal Pretore di Milano, ed il 20 dicembre 1993 dal Pretore di Modena, Sezione distaccata di Mirandola (n. 3 ordinanze), iscritte rispettivamente ai nn. 55, 120, 122, 133, 134, 135 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9 e 13, prima serie speciale, dell'anno 1994;

 

Udito nella camera di consiglio dell'11 maggio 1994 il Giudice relatore Giuliano Vassalli;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con tre ordinanze dal contenuto pressoché identico pronunciate in altrettanti procedimenti a carico di persone imputate del reato di cui all'art. 21, primo e terzo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319, il Pretore di Modena, Sezione distaccata di Mirandola, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non consente l'applicazione delle sanzioni sostitutive nei confronti di chi sia imputato dei reati previsti dall'art. 21 della detta legge n. 319 del 1976.

 

Rileva il giudice a quo che in materia di reati a tutela dall'inquinamento la preclusione derivante dalla norma di cui si denuncia la violazione si rivela assolutamente arbitraria se posta a raffronto con altre previsioni aventi identica obiettività giuridica (la tutela dell'ambiente attuata mediante la previsione di reati contravvenzionali, formali e di pericolo) e, oltre tutto, sanzionate talora con pene più gravi, come le fattispecie contemplate dagli artt. 25, 26 e 27 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915. Un'irrazionalità, peraltro, rafforzata dalla comune esclusione dall'amnistia per entrambe le categorie di reati.

 

La considerazione, poi, che per tutti gli altri reati in materia ambientale succeduti alla legge n. 689 del 1981 (ad eccezione di quelli ora ricordati) non sia prevista alcuna preclusione all'applicabilità dell'amnistia, che il decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, abbia notevolmente elevato il limite di applicabilità delle sanzioni sostitutive, e che il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 454, sembra aver depenalizzato talune delle previsioni di cui alla legge n. 319 del 1976, fa univocamente desumere che lo scopo perseguito, sul punto, dall'art. 60 della legge n. 689 del 1981 "sia ormai venuto meno, così da comportare l'illegittimità della disciplina censurata, perché fonte di ingiustificate disparità di trattamento e, quasi, di anacronismo legislativo".

 

2. - Un'analoga questione ha proposto anche il Pretore di Asti con ordinanza del 21 dicembre 1993, denunciando, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, l'art. 60, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, "nella parte in cui non consente l'applicazione delle pene sostitutive relativamente al reato di cui all'art. 21, comma 3 legge 10 maggio 1976, n. 319".

 

Rileva il rimettente che tale esclusione, introdotta per salvaguardare più efficacemente le acque (e gli altri corpi ricettori) dagli scarichi inquinanti provenienti da insediamenti produttivi, ha finito per rivelarsi contraddittoria rispetto alla successiva normazione in materia ambientale relativamente alla quale la norma denunciata risulta, invece, inoperante: più in particolare, la sostituzione delle pene detentive era consentita per i reati previsti dal d.P.R. 24 maggio 1988, n. 217, emanato per "proteggere le acque dall'inquinamento provocato dallo scarico" di sostanze pericolose come cadmio, mercurio, etc. Una tipologia di reato analoga a quella prevista dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319 del 1976 ed, inoltre, con la comminatoria di una pena edittale superiore nel massimo. Tale d.P.R. è stato successivamente abrogato dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133, con il quale è stata data attuazione a numerose direttive CEE "in materia di scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque". Nonostante l'analogia delle previsioni e della relativa tutela nonché la particolare gravità del regime sanzionatorio, neppure per tali reati opera la previsione ostativa all'applicabilità di sanzioni sostitutive. Con eccezione di quelli previsti dall'art. 18, primo comma, del decreto legislativo n. 132 del 1992, concernente la protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose; e ciò per il richiamo, puro e semplice, di tale norma al sistema sanzionatorio stabilito dalla legge n. 319 del 1976 e successive modificazioni.

 

Conseguenziale, dunque, la violazione dell'art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento relativamente alla possibilità di applicazione delle sanzioni sostitutive, fra il reato previsto dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319 del 1976 e quelli previsti dall'art. 18, quarto e quinto comma, del decreto legislativo n. 133 del 1992; una disparità "che non può trovare giustificazione alcuna atteso che le norme poste a confronto tutelano il medesimo bene (il sistema ecologico idrico o, più in generale, l'ambiente)". Al contrario le fattispecie previste dalla seconda delle due disposizioni "riguardano comportamenti inquinanti più pericolosi (in relazione al tipo di sostanze presenti negli scarichi)" rispetto a quelli contemplati dalla norma che deve trovare applicazione nel processo a quo, come risulta dal più grave regime sanzionatorio predisposto nei confronti di essi.

 

Richiamate le sentenze costituzionali nn. 249 del 1993 e 175 del 1971, il Pretore ricorda, ancora, la giurisprudenza di questa Corte in punto di applicazione del principio di eguaglianza in materia penale informata ad una sorta di self-restraint, per subito osservare che il petitum perseguito nel processo a quo non è volto alla estensione del divieto di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981 ai reati previsti dal decreto legislativo n. 133 del 1992, ma solo a sopprimere l'irrazionale preclusione operante per il reato contestato nel caso di specie. Il controllo di costituzionalità può estendersi, infatti, alle "disposizioni fondate su criteri diversi da quelli specificamente indicati o a quelle caratterizzate dalla totale assenza di motivi che valgono a giustificare la disparità di trattamento". Una disparità, appunto, agevolmente rilevabile nella comparazione tra le predette ipotesi di reato.

 

3. - Una analoga questione ha sollevato anche il Pretore di Genova, con ordinanza del 20 novembre 1993, denunciando, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, l'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, "nella parte in cui stabilisce che le pene sostitutive non si applicano al reato previsto dall'art. 21 della legge 10 maggio 1976, n. 316" (recte, n. 319).

 

Il profilo di novità di tale ordinanza sta nell'indicazione, quale parametro di raffronto, anche dell'art. 24 della Costituzione per "violazione del diritto di difesa nello svolgimento del processo", vulnerato dalla detta esclusione, "su di un aspetto che ha conseguenze sul piano sostanziale".

 

4. - Pressoché identica pure la questione sollevata dal Pretore di Milano con ordinanza del 26 novembre 1993, denunciando, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione (per la verità, senza alcuna motivazione relativamente agli ultimi due parametri), l'illegittimità dell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, "nella parte in cui esclude l'applicabilità delle pene sostitutive al reato previsto dall'art. 21 della legge 10 maggio 1976, n. 319".

 

5. - In nessuno dei sei giudizi si è costituita la parte privata né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze di rimessione sollevano questioni in parte analoghe ed in parte identiche. I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

 

2. - I giudici a quibus dubitano, tutti con riferimento all'art. 3, alcuni di essi anche all'art. 24, altri ancora, all'art. 27 della Costituzione, pure congiuntamente chiamati in causa, della legittimità dell'art. 60, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non consente l'applicazione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi relativamente ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (norme per la tutela delle acque dall'inquinamento).

 

Più in particolare, in relazione agli addebiti di volta in volta contestati - ed alle cui relative previsioni questa Corte deve circoscrivere il suo esame per evidenti ragioni attinenti alla rilevanza - ci si duole della sottrazione dal regime generale di cui agli artt. 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, di una consistente parte del sistema sanzionatorio della legge n. 319 del 1976, e, precisamente, delle ipotesi di reato previste per chi, senza avere richiesto la prescritta autorizzazione, apra o comunque effettui nuovi scarichi in tutte le acque superficiali o sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonché in fognature, nel suolo e nel sottosuolo, per chi continui ad effettuare o mantenere gli scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata negata o revocata, ovvero per chi, effettuando al momento di entrata in vigore della legge scarichi nei corpi ricettori, non presenti domanda di autorizzazione o di rinnovo, non ottemperi alle disposizioni dell'art. 25 della detta legge, o, avendo presentato la domanda mantenga lo scarico dopo che la domanda stessa è stata respinta o l'autorizzazione revocata; comportamenti sanzionati con la pena dell'arresto da due mesi a due anni, alternativa alla pena pecuniaria e con applicazione, in ogni caso, della pena dell'arresto se lo scarico superi i limiti di accettabilità di cui alle tabelle allegate alla legge n. 319 del 1976, nei rispettivi limiti e modi di applicazione (art. 21); nonché per chiunque effettui o mantenga uno scarico senza osservare tutte le prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione, condotte relativamente alle quali la legge in esame prevede la pena dell'arresto fino a due anni, alternativa alla pena pecuniaria (art. 22), anche in tal caso senza possibilità di applicazione delle sanzioni sostitutive.

 

3. - Il comune richiamo all'art. 3 della Costituzione risulta formulato attraverso la concomitante evocazione di tertia comparationis da cui scaturirebbe l'arbitrarietà della esclusione stabilita dalla norma censurata; in primo luogo, le previsioni degli artt. 25, 26 e 27 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, nonché dell'art. 15 d.P.R. 24 maggio 1988, n. 217, successivamente abrogato dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133, aperte al regime delle sanzioni sostitutive, nonostante che, tanto sul piano della tutela penale quanto sul piano del regime sanzionatorio, si tratti di fattispecie ancor più gravi di quelle per cui opera l'ostacolo derivante dall'art. 60 della legge n. 689 del 1981.

 

4. - La questione è fondata.

 

Occorre premettere che la legge 24 novembre 1981, n. 689, nell'introdurre il sistema dei divieti oggettivi all'applicazione delle sanzioni sostitutive, ha, in via generale, e salvo le eccezioni stabilite dall'art. 60, ultimo comma (reati previsti dalle leggi relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e all'igiene sul lavoro, nonché dalle leggi in materia edilizia e urbanistica e in materia di armi da sparo, munizioni ed esplosivi, quando per detti reati la pena detentiva non è alternativa a quella pecuniaria), costruito un sistema preclusivo conformato in modo tale da richiamare precetti sia del codice penale sia di leggi speciali (relative, queste ultime, peraltro, alla sola tutela dall'inquinamento atmosferico e delle acque) mediante un'indicazione nominatim di singole fattispecie di reato. Un assetto che, in quanto ricalcato sulle tradizionali esclusioni dal beneficio dell'amnistia, mostra già di per sé una qualche incongruenza, se non altro considerando che, mentre la detta causa estintiva del reato opera solo de praeterito, le sanzioni sostitutive sono destinate ad operare soprattutto de futuro.

 

Proprio relativamente al precetto ora censurato, la dottrina ebbe subito occasione di segnalare come l'assenza di un richiamo, generale o specifico, ma comunque ratione materiae, avrebbe precluso al legislatore, attesa la natura tassativa dell'elenco risultante dall'art. 60, di estendere il divieto oltre i testi di legge indicati nel secondo comma, ferma restando, ovviamente, la facoltà di coinvolgere, nella esclusione, mediante i necessari richiami contenuti in testi di legge successivi, altre fattispecie di reato.

 

Un segnale della illegittimità latente della norma denunciata risulta, del resto, dal ricorso al giudizio di questa Corte per la sopravvenienza di norme disciplinanti materie identiche od analoghe, a partire dal d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, attuativo delle direttive CEE relative ai rifiuti, allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili, nonché dei rifiuti tossici e nocivi, una questione dichiarata manifestamente inammissibile (ordinanza n. 261 del 1986) perché sollecitante una pronuncia additiva in materia penale.

 

5. - L'articolarsi della disciplina a tutela dall'inquinamento perviene ad una prima sistemazione, dovuta in parte anche al sovrapporsi alla normativa vigente, con il d.P.R. 24 maggio 1988, n. 217, attuativo delle direttive CEE concernenti i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di talune sostanze pericolose. Il regime sanzionatorio dettato da tale normativa che, pure, prevedeva pene più elevate nel massimo per chi effettuasse nuovi scarichi nelle acque o in fognature senza autorizzazione, ovvero con autorizzazione sospesa, rifiutata o revocata (art. 15, secondo comma) ovvero per chi, nell'effettuare uno scarico, avesse superato i valori limite stabiliti dal detto d.P.R. o non avesse osservato i provvedimenti integrativi adottati dalle autorità competenti, nonostante rendesse applicabile, per quanto da esso non espressamente previsto, le disposizioni di cui alla legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni ed integrazioni, non istituendo un diretto legame rispetto al regime sanzionatorio derivante dall'applicazione della legge n. 319 del 1976, consentiva, ancora, l'applicazione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi.

 

6. - Si andava predisponendo, dunque, un vero e proprio sistema repressivo "antinquinamento" - talora con dirette interferenze nell'area della legge n. 319 del 1976 - dal quale rimaneva estraneo il regime dei divieti di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981, con l'unica eccezione derivante dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 132, attuativo della direttiva CEE, concernente la protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose. Tale normativa, rendendo applicabile in materia di sanzioni "agli scarichi diretti e indiretti previsti dal presente" decreto le disposizioni generali contemplate dalla legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni ed integrazioni, finiva per coinvolgere nell'area della esclusione anche le violazioni del detto decreto legislativo.

 

Infine, nel decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133, di attuazione di talune direttive comunitarie in materia di scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque, abrogativo del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 217, ancora, con significative incursioni nel regime della legge 10 maggio 1976, n. 319, alla disciplina maggiormente repressiva rispetto alla legge n. 319 del 1976 (v. art. 18, primo, secondo e terzo comma) fa da riscontro l'applicabilitàdelle sanzioni sostitutive, nessun richiamo né diretto né indiretto all'art. 60 della legge n. 689 del 1981 essendo individuabile. Eppure si tratta di fattispecie aventi identica obiettività giuridica rispetto alle ipotesi di reato di cui agli artt. 21 e 22 della legge n. 319 del 1976 e più gravemente sanzionate, prevedendosi l'arresto sino a tre anni per chiunque effettui nuovi scarichi nelle acque o in fognature senza autorizzazione, ovvero con autorizzazione sospesa, rifiutata o revocata, per chi, effettuando uno scarico esistente nelle acque o in fognature, non presenti la domanda di autorizzazione nel termine previsto, ovvero continui ad effettuarlo con autorizzazione sospesa, rifiutata o revocata.

 

7. - Alla perdurante immobilità nella materia del regime delle sanzioni sostitutive ed ai conseguenti riverberi quanto alla coerenza ed alla ragionevolezza del sistema ha fatto, invece, da significativo riscontro, una sorta di "parcellizzazione" delle fattispecie a tutela dall'inquinamento, ai fini delle esclusioni oggettive dall'amnistia.

 

E ciò a partire dall'art. 2, lettera c, n. 3, del d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, che, nel riprodurre l'art. 60, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, fa salva l'ipotesi che il reato consista nella mancata presentazione della domanda di autorizzazione o di rinnovo di cui all'art. 15, secondo comma, della legge n. 319 del 1976; per seguire con il d.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865, che all'art. 2, oltre a riprodurre nuovamente la disposizione ora ricordata, introduce, fra i divieti oggettivi di concessione dell'amnistia, tra l'altro, i reati previsti dall'art. 9, sesto e settimo comma, della legge 16 aprile 1973, n. 171 (interventi per la salvaguardia di Venezia), così come sostituito dall'art. 1 del decreto-legge 10 agosto 1976, n. 544, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 ottobre 1976, n. 690, salvo che si tratti di inquinamento organico di lieve entità provocato dalla lavorazione non industriale dei prodotti ittici (art. 2, primo comma, lettera c, n. 3), nonché dagli artt. 26, 27, 29 e 32 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 (norme sullo smaltimento dei rifiuti), per terminare, quindi, con l'art. 2, primo comma, lettera e, n. 4, del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, che esclude dal beneficio i reati previsti dagli artt. 21, 22 e 23, secondo comma, e 24- bis della legge 10 maggio 1976, n. 319 (salvo la riserva prima ricordata), nonché dagli artt. 24, 25 e 26 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 208, e dall'art. 15 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 217.

 

Una asimmetria, quella rilevabile tra esclusioni oggettive dall'amnistia ed esclusioni oggettive dalle sanzioni sostitutive, significativa, però, di una certa vischiosità legislativa nell'accomunare nel divieto fattispecie lesive di un identico bene o interesse.

 

8. - Poste tali premesse, non può non essere rimarcato come l'assetto normativo successivo alle previsioni dell'art. 60, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, si è andato arricchendo di fattispecie di reato che, mentre, da un lato, per campo di materia, presentano caratteristiche identiche a quelle attinte dalla norma ora ricordata (la tutela dell'ambiente da attività di inquinamento idrico), dall'altro lato restano designate da un giudizio di valore ancor più negativo rispetto a quello formulato relativamente ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319. Così da dar vita ad un sistema assolutamente squilibrato, restando assoggettate al trattamento preclusivo soltanto le previsioni espressamente indicate dalla norma denunciata. La detta sopravvenienza, se posta a raffronto con il carattere del tutto eccezionale del regime derogatorio all'applicabilità delle sanzioni sostitutive, rende, per ciò solo, arbitrario il trattamento disposto in relazione alle previsioni dell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

 

Cosicché, nei confronti di reati contrassegnati dalla lesione di un identico bene giuridico può qui ripetersi che "finisce per risultare ictu oculi carente di ragionevolezza e si presenta per ciò stesso lesivo del principio di eguaglianza, un complesso normativo che consente di beneficiare delle sanzioni sostitutive a chi ha posto in essere, fra due condotte gradatamente lesive dell'identico bene, quella connotata da maggiore gravità, discriminando, invece, chi ha realizzato il fatto che meno offende lo stesso valore giuridico" (sentenza n. 249 del 1993).

 

9. - È incontestabile che l'introduzione del divieto da parte della norma ora denunciata corrisponde ad una precisa scelta legislativa volta a presidiare, attraverso la riduzione del campo applicativo delle sanzioni sostitutive, interessi contrassegnati da una particolare rilevanza collettiva, in quanto connessi alla tutela della salubrità dell'ambiente; ed in effetti, allorché il divieto venne introdotto, i due testi normativi indicati dall'art. 60, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 rappresentavano la disciplina fondamentale diretta a proteggere tale interesse; coerentemente, non soltanto, con il regime delle esclusioni oggettive dall'amnistia sopra ricordate, ma anche con il sistema di esclusione dalla depenalizzazione (art. 34, lettere g ed h) e della più severa possibilità di accesso all'oblazione (art. 127 della stessa legge).

 

Non viene, però, qui in considerazione l'intrinseca irrazionalità del divieto, come si è visto, sicuramente congruo in relazione all'assetto normativo presente al momento di entrata in vigore della legge n. 689 del 1981, ma soltanto la discrasia scaturente dall'assenza di analoghe norme protettive nella specifica materia della tutela dall'inquinamento e da cui deriva la sopravvenuta irragionevolezza del permanere di un regime preclusivo rispetto a fattispecie di reato conformate in modo tale da provocare una disciplina ingiustificatamente più severa nonostante l'identità dell'interesse protetto ed i giudizi di valore ancor più negativi espressi sotto il profilo sanzionatorio dalle successive previsioni.

 

10. - Tutto ciò renderà necessario al legislatore, al fine di scongiurare il prodursi di ulteriori squilibri e di ulteriori arbitrarie discriminazioni, di pervenire ad una più puntuale opera di coordinamento del regime dei divieti, certo sovrapponendo, ove ciò si renda necessario, un sistema di esclusioni per campo di materia, in ogni caso rifuggenti da mere indicazioni nominative, non una sola volta alla base di giudizi di irragionevolezza (v. sentenza n. 249 del 1993). Tanto più che il decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, mentre, per un verso, ha ampliato l'ambito di operatività delle sanzioni sostitutive, estendendo l'entità della pena concretamente irrogata, per un altro verso, ha soppresso - coerentemente al decisum della ricordata sentenza n. 249 del 1993 - ogni legame con le regole relative alla competenza; con una diretta incidenza di tali disposizioni sul regime dell'applicazione della pena su richiesta delle parti di cui agli artt. 444 e seguenti del codice di procedura penale, una volta affermata la cumulabilità delle due richieste, i cui conseguenti effetti deflattivi possono risultare consistentemente rafforzati.

 

Il tutto senza contare i precetti modificativi dell'art. 23, terzo comma, della legge n. 319 del 1976, derivanti, dall'art. 2 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 454 (non convertito in legge), "reiterato" dal decreto-legge 14 gennaio 1994, n. 31 (non convertito in legge), quindi, dal decreto-legge 17 marzo 1994, n. 177 (anch'esso non convertito in legge), ed, infine, dal decreto-legge 16 maggio 1994, n. 292 (non ancora convertito in legge), il quale prevede, per l'inosservanza dei limiti di accettabilità fissati per gli scarichi dalle regioni, ai sensi dell'art. 14, secondo comma, della detta legge, nei rispettivi limiti e modi di applicazione, non più l'irrogazione di una pena, ma la comminatoria di una sanzione amministrativa.

 

11. - Deve, dunque, essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 60, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui esclude che le pene sostitutive si applichino ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (norme per la tutela delle acque dall'inquinamento). Restano, conseguentemente, assorbiti gli ulteriori profili di illegittimità avanzati da taluni dei giudici a quibus.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 60, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui esclude che le pene sostitutive si applichino ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (norme per la tutela delle acque dall'inquinamento).

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1994.

 

Il Presidente: PESCATORE

 

Il redattore: VASSALLI

 

Depositata in cancelleria il 23 giugno 1994.