Ordinanza n. 145/98

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ORDINANZA N.145

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), promosso con ordinanza emessa il 12 giugno 1997 dal Tribunale di Casale Monferrato, iscritta al n. 645 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 febbraio 1998 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che, nel corso di un procedimento a carico di persona imputata del reato di cui agli artt. 10 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), per avere illegalmente detenuto nella propria abitazione un fucile monocanna calibro 24 ed una carabina ad aria compressa calibro 4, il Tribunale di Casale Monferrato, con ordinanza in data 12 giugno 1997, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dei citati articoli 10 e 14, nella parte in cui non prevedono un trattamento sanzionatorio differenziato, nel minimo e nella specie, per chi illegalmente detiene, nello stesso luogo, armi già denunciate da altri e a lui pervenute iure successionis o ad altro titolo;

che il remittente premette che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'obbligo di denuncia incombe anche su chi erediti un'arma già denunciata dal de cuius, sicchè la fattispecie sottoposta al suo esame (omessa ripetizione di denuncia di armi pervenute iure successionis e già denunciate dal dante causa) ricade nell'ambito di applicazione delle disposizioni censurate;

che, ad avviso del giudice a quo, nel caso di specie "il disvalore sociale della condotta" sarebbe "minimo in relazione alla finalità cui é preordinata la norma incriminatrice, identificata dalla giurisprudenza nella possibilità per l'autorità di polizia di conoscere il luogo in cui le armi si trovano e le persone che ne hanno la disponibilità, in modo da rendere agevoli gli opportuni controlli e facilitare l'esecuzione di ordini di consegna per ragioni di sicurezza", poichè, quando l'arma continua a permanere nel luogo già indicato nella denuncia e nella disponibilità di coabitanti del denunciante, tale esigenza sarebbe comunque soddisfatta;

che, secondo il remittente, l'irragionevolezza della normativa censurata quanto alla specie ed all'entità della pena (reclusione da uno a otto anni e multa da lire quattrocentomila a tremilioni, ridotte di un terzo per le armi comuni da sparo) sarebbe ancor più evidente "ove la si raffronti all'ipotesi della mancata ripetizione della denuncia in caso di trasferimento delle armi, già denunciate ai sensi dell'art. 38 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, da una località all'altra del territorio dello Stato", fattispecie che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, integra la contravvenzione di cui all'art. 58 del regolamento per l'esecuzione del citato testo unico;

che le disposizioni denunciate contrasterebbero, altresì, con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto la sproporzione fra l'entità della sanzione penale e il disvalore dell'illecito commesso vanificherebbe la finalità rieducativa della pena, ingenerando sentimenti di sfiducia nella legislazione e nell'autorità chiamata ad applicarla;

che, infine, ad avviso del giudice a quo, le norme impugnate violerebbero l'art. 97, primo comma, della Costituzione, perchè il minimo e la specie della pena edittale comminata non consentirebbero l'applicazione di sanzioni sostitutive pecuniarie ed ostacolerebbero la definizione del procedimento in sede predibattimentale, imponendo la celebrazione del processo con i conseguenti costi per l'amministrazione della giustizia e per la collettività;

che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

Considerato che, come questa Corte ha già rilevato (sentenza n. 166 del 1982), la ratio della normativa denunciata consiste nell’esigenza che l'autorità locale di pubblica sicurezza sia posta in grado di conoscere quali e quante armi si trovino nel territorio di sua competenza, nonchè i luoghi in cui sono custodite e i nomi dei detentori;

che, in effetti, un reale ed efficace controllo in tema di armi, munizioni e materie esplodenti presuppone adeguati strumenti di conoscenza dei luoghi in cui si trovano le armi e le persone che ne hanno la disponibilità;

che, se questo é il fine della disciplina, deve escludersene l'irrazionalità e si deve riconoscere che la determinazione delle pene, per le ipotesi in cui la possibilità di controllo sia vanificata a causa della omissione in cui sia comunque incorso il detentore delle armi, rientra pienamente nella discrezionalità che spetta al legislatore;

che, d'altra parte, é consentito al legislatore includere in uno stesso modello di genere una pluralità di fattispecie diverse per struttura e disvalore: in questi casi sarà il giudice a fare emergere la differenza tra le varie sottospecie in ragione del loro diverso disvalore oggettivo ed a graduare su questa base, nell'ambito delle pene edittali, quelle da irrogare in concreto (sentenza n. 285 del 1991);

che, sotto questo aspetto, le disposizioni censurate permettono una assai flessibile graduazione delle pene, sia per il rilevante divario tra il massimo e il minimo edittale, sia per la possibilità di diminuirle in misura non eccedente i due terzi, quando per la quantità o per la qualità delle armi, delle munizioni, degli esplosivi o degli aggressivi chimici il fatto debba ritenersi di lieve entità (art. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 "Disposizioni per il controllo delle armi");

che, escluso il vizio di irrazionalità, resta superata anche la denunciata violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost., non risultando alcuna sproporzione tra l'entità della sanzione penale e il disvalore dell'illecito commesso;

che, per quanto riguarda la supposta violazione dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, questa Corte ha più volte affermato che il principio del buon andamento si riferisce anche agli organi dell'amministrazione della giustizia esclusivamente per quanto riguarda l'ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, ma non riguarda l'esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso e i diversi provvedimenti che ne costituiscono espressione (cfr., da ultimo, sentenze nn. 385 e 122 del 1997; ordinanze nn. 189, 168, 103 e 7 del 1997);

che, pertanto, la questione é manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Casale Monferrato con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 1998.

Presidente: Renato Granata

Redattore: Carlo Mezzanotte

Depositata in cancelleria il 23 aprile 1998.