Ordinanza n. 189

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ORDINANZA N. 189

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA    

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE  

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 310 del codice di procedura penale, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 16 settembre 1996 dal Tribunale di Catanzaro nei procedimenti di appello proposti da Giovanni Saporito e da Giuseppe Notarianni, iscritte ai nn. 1312 e 1319 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 50 e 51, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 maggio 1997 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto che il Tribunale di Catanzaro, chiamato a decidere sull'appello proposto da due imputati, in distinti procedimenti penali, avverso i provvedimenti con i quali la corte d'assise d'appello e la corte d'assise avevano respinto le istanze di revoca o di sostituzione di misure coercitive personali, con due ordinanze di analogo contenuto emesse il 16 settembre 1996 (rispettivamente reg. ord. n. 1312 e n. 1319 del 1996) ha sollevato, in riferimento all'art. 97, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 310 cod. proc. pen., nella parte in cui, prevedendo l'appello sulle decisioni in materia di misure cautelari personali, attribuisce la competenza a decidere al tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza (così come prevedeva l'art. 309, comma 7, cod. proc. pen., cui rinvia l'art. 310, comma 2, cod. proc. pen.) anche quando i provvedimenti impugnati siano stati adottati dalla corte d'assise o dalla corte d'assise d'appello;

che il giudice rimettente considera riservata alla discrezionalità del legislatore l'individuazione del giudice competente a deliberare sulla libertà personale dell'imputato sottoposto a giudizio ed a decidere sulle relative impugnazioni di merito, ma ritiene, tuttavia, che il giudice dell'appello debba possedere -- per struttura, composizione e qualificazione dei magistrati -- requisiti non inferiori a quelli del giudice che ha adottato il provvedimento impugnato;

che l'attribuzione della cognizione delle impugnazioni dei provvedimenti di un giudice collegiale ad un giudice equiordinato o, addirittura, sottordinato viene denunciata come contraria ad ogni criterio di "buon andamento", richiesto per i pubblici uffici dall'art. 97 della Costituzione;

che nei due giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate, giacchè la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che il principio di buon andamento della pubblica amministrazione é estraneo ai criteri di ripartizione delle competenze tra organi giudiziari.

Considerato che le due questioni di legittimità costituzionale hanno identico oggetto, investendo la stessa disposizione di legge in riferimento al medesimo parametro costituzionale, e prospettano profili analoghi, sicchè i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

che le questioni riguardano l'appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali (art. 310 cod. proc. pen.), venendo posta in discussione la legittimità costituzionale della competenza del tribunale a decidere sull'appello contro tali provvedimenti, anche se emessi dalla corte d'assise d'appello o dalla corte d'assise;

che é denunciata la violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione), giacchè non sarebbe ragionevole devolvere alla cognizione di giudici inferiori l'impugnazione di provvedimenti emessi da giudici che, per struttura, composizione e qualificazione professionale dei magistrati addetti, sono da considerare superiori;

che l'organizzazione dei pubblici uffici deve assicurare il buon andamento della amministrazione (art. 97 della Costituzione), secondo una regola che può riferirsi anche agli organi dell'amministrazione della giustizia per quanto attiene all'ordinamento degli uffici giudiziari ed al loro funzionamento, ma non riguarda l'esercizio della funzione giurisdizionale (sentenza n. 122 del 1997; ordinanze nn. 103 e 7 del 1997; ordinanze nn. 275, 159 e 99 del 1996) né le regole processuali che disciplinano la ripartizione delle competenze tra diversi giudici (sentenza n. 84 del 1996; ordinanze n. 147 del 1996 e n. 257 del 1995);

che, pertanto, le questioni sono manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 310 cod. proc. pen., sollevate, in riferimento all'art. 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 1997. 

Presidente: dott. Renato GRANATA

Redattore: prof. Cesare MIRABELLI

Depositata in cancelleria il 18 giugno 1997.