Sentenza n. 114/98

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SENTENZA N.114

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 94 e 95 del codice penale promossi con n. 3 ordinanze emesse il 21 marzo 1997 dal Pretore di Ancona – Sezione distaccata di Fabriano, rispettivamente iscritte ai nn. 484, 485 e 486 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 1998 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. – Con tre ordinanze di identico contenuto, rese in tre procedimenti a carico dello stesso imputato, il Pretore di Ancona, Sezione distaccata di Fabriano, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 94 e 95 del codice penale. A premessa della ordinanza il giudice a quo, espone, in relazione ai tre procedimenti, che si era fatto luogo ad una compiuta istruzione dibattimentale, sentendo testi ed ammettendo la produzione di documenti, fra i quali una dichiarazione di un centro di accoglienza, con la quale si dava atto che l’imputato era inserito in un regime residenziale presso tale centro comunitario da circa due anni per un programma psicoterapeutico di recupero; e che nel corso di detta istruzione sia i testi che lo stesso imputato avevano dichiarato che all’epoca dei fatti contestati (sui quali l’imputato asseriva di nulla ricordare) il soggetto in questione era sovente in preda agli effetti sia di alcool che di sostanze stupefacenti; con la conseguenza che, eccepito dalla difesa lo stato di cronica intossicazione sia da alcool che da sostanze stupefacenti, era stata disposta perizia volta ad accertare se l’imputato all’epoca dei fatti versasse nelle condizioni di cui all’art. 95 del codice penale.

Aggiunge il Pretore che il perito, titolare della cattedra di tossicologia forense, aveva fatto conoscere di non poter rispondere al quesito, sia per la mancanza di qualsivoglia referto clinico o di laboratorio, sia perchè gli esami sul periziando, fatti "ora per allora", non avrebbero potuto dar luogo ad alcun risultato di certezza. Tuttavia lo stesso perito "a maggior chiarimento della propria risposta", aveva precisato che uno stato di intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti può essere anche reversibile in rapporto all’età, alle condizioni generali del soggetto, alla gravità dello stato di intossicazione ed al tipo di sostanza assunta, tutti elementi validi tanto per formulare una diagnosi di intossicazione cronica, di cui all’art. 95 del codice penale, quanto per formularne una di abituale assunzione di alcool o di sostanze stupefacenti, di cui all’art. 94 stesso codice.

A questo punto il Pretore osserva che queste ultime considerazioni del perito si pongono in contrasto con il costante orientamento della giurisprudenza, secondo cui, fermo il carattere della permanenza dell’alterazione patologica proprio della fattispecie di cui all’art. 95, il principale criterio di distinzione tra l’intossicazione cronica e lo stato di cui all’art. 94 cod. pen. starebbe nella irreversibilità della prima. Inoltre questo orientamento della giurisprudenza sarebbe contrastato nell’ambito della scienza medica, alcuni autori facendo rilevare che uno stato permanente ed irreversibile di alterazione cerebrale non si ravvisa che nella rara demenza alcoolica e che al contrario psicosi alcooliche che insorgono nel corso dell’intossicazione cronica (delirium tremens, allucinosi, ecc.) sono suscettibili di guarigione anche in breve periodo di tempo; mentre altri autori aggiungono che la definizione stessa di intossicazione cronica da sostanze stupefacenti non ha ragion d’essere, non essendo riscontrabile una patologia di rilievo somatico, psicologico e psichiatrico con caratteristiche di permanenza ed osservabile anche oltre la cessazione dell’abuso.

Il Pretore ricorda anche le critiche emerse nella dottrina penalistica sul sistema vigente in materia e assume l’inutilità della disposizione di cui all’art. 95, che già la "Relazione al Re" sul codice del 1930 avrebbe considerato semplice norma di interpretazione autentica e solo per questa ragione "non superflua".

Tutto ciò premesso, il Pretore ritiene di non poter risolvere il problema insorto nè facendo ricorso al disposto dell’art. 530, comma 3, del codice di procedura penale nè ricorrendo al principio secondo il quale il giudice é pur sempre peritus peritorum. Ed infatti il dubbio su una causa di non punibilità presuppone pur sempre che questa causa "si legittimi, sotto il profilo costituzionale, sia quando viene ad escludere sia quando conferma la punibilità": cosa che non avviene quando, come nel caso in esame, si contesti la sussistenza stessa delle basi scientifiche poste a distinzione tra le due ipotesi di cui agli articoli 94 e 95 del codice penale. Egualmente, per quanto concerne l’asserito potere del giudice di non tener conto della perizia uniformandosi alla tralatizia interpretazione giurisprudenziale, non si vede come un simile ordine d’idee possa essere praticato una volta che si pone in discussione "la validità stessa del concetto sotteso agli articoli 94 e 95", con il rischio di pervenire ad una costruzione inaccettabile sotto il profilo costituzionale.

Conclude il Pretore che gli articoli 94 e 95 del codice penale, dei quali viene in considerazione nel caso di specie una applicazione alternativa, si porrebbero in contrasto con il principio di ragionevolezza, dal momento che introducono una differenziazione insussistente "non potendo trovare alcun tipo di obiettiva specificazione", e con l’art. 111 della Costituzione, giacchè la motivazione "non potrebbe trovare alcuna effettiva esplicazione, risolvendosi in formule stereotipe, incongrue e contraddittorie".

2. – Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Premessa l’autonomia delle categorie giuridiche rispetto alle nozioni scientifiche, specie in tema di colpevolezza, ed evidenziate le ragioni che indussero il legislatore del 1930 a stabilire una particolare disciplina in materia di ubriachezza, l’Avvocatura sottolinea come le cause di esclusione della imputabilità siano esemplificative e costituiscano quindi attuazione del generale principio sancito in materia dall’art. 85 cod. pen. L’esclusione o l’attenuazione della punibilità nel solo caso di intossicazione da alcool riafferma pertanto la regola generale soltanto quando si determini uno stato di alterazione psichica permanente tale da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere o di volere, a nulla rilevando che una simile situazione si determini in un numero estremamente esiguo di casi. Per temperare il rigore della disciplina – peraltro già verificata e risolta in senso negativo dalla Corte in tema di ubriachezza volontaria – si potrebbe prospettare, a parere dell’Avvocatura, una lettura dell’art. 95 cod. pen. che ne consenta l’applicabilità in tutti i casi in cui la intossicazione sia di tale portata da rendere inapplicabile il concetto di actio libera in causa. Negato quindi fondamento alle prospettate censure di irragionevolezza, cadono anche i rilievi formulati in riferimento all’art. 111 Cost., in quanto "ingiustamente il giudice rimettente si sente vincolato al nomen che al disturbo ha attribuito la perizia medica", giacchè é al contenuto sostanziale della diagnosi che occorre fare riferimento per sussumere la situazione nell’una o nell’altra delle figure evocate.

Considerato in diritto

1. – Poichè le ordinanze sollevano l’identica questione, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.

2. – Il Pretore di Ancona, Sezione distaccata di Fabriano, solleva questione di legittimità costituzionale degli articoli 94 e 95 del codice penale sotto il profilo della loro irragionevolezza e sotto quello, collegato, della lesione dell’art. 111 Cost. per la impossibilità di motivazione di un provvedimento giurisdizionale che debba fondarsi sulla impossibile differenziazione delle due fattispecie. Il Pretore contesta infatti la validità scientifica della distinzione tra abitualità nell’ubriachezza e nell’uso di sostanze stupefacenti e cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti sulla base di considerazioni svolte al riguardo nell’ambito della scienza medico-legale, considerazioni condivise dal perito d’ufficio, il quale, chiamato a giudicare se nel caso di un imputato era da considerarsi presente una intossicazione cronica da alcool e stupefacenti al momento dei fatti allo stesso ascritti, ha concluso di non essere in grado di rispondere per la inconsistenza della differenziazione tra le due fattispecie dell’abitualità e della cronicità e per la da lui ritenuta inattendibilità della distinzione operata dalla giurisprudenza, fondata su di una asserita irreversibilità della intossicazione cronica.

Il giudice rimettente condivide questo giudizio del perito e constata pertanto di non poter far capo alla costante interpretazione giurisprudenziale fondata su presupposti non condivisi dalla scienza medico-legale. Nel caso sottopostogli si dovrebbe trovare una linea di demarcazione tra le due alternative contrapposte dell’abitualità e della cronica intossicazione, mentre ciò non é possibile. La normativa in questione, composta degli articoli 94 e 95 del codice penale, é dunque del tutto irragionevole perchè introduce una differenziazione inesistente in astratto in quanto priva di alcun tipo suscettibile di obbiettiva specificazione. Di conseguenza é anche rilevabile nel caso un contrasto con l’art. 111 della Costituzione perchè nelle cennate condizioni é impossibile una motivazione che si risolva in qualcosa di diverso dall’adozione di formule stereotipe, incongrue e contraddittorie. Conclude in sostanza per la illegittimità costituzionale di entrambe le disposizioni denunciate.

3. – La questione non é fondata.

4. – Questa Corte non intende certo escludere che il sindacato sulla costituzionalità delle leggi, vuoi per manifesta irragionevolezza vuoi sulla base di altri parametri desumibili dalla Costituzione, possa e debba essere compiuto anche quando la scelta legislativa si palesi in contrasto con quelli che ne dovrebbero essere i sicuri riferimenti scientifici o la forte rispondenza alla realtà delle situazioni che il legislatore ha inteso definire. Nella materia del diritto penale, anzi, questo specifico riscontro di costituzionalità deve essere compiuto con particolare rigore, per le conseguenze che ne discendono sia per la libertà dei singoli che per la tutela della collettività. E tuttavia, perchè si possa pervenire ad una declaratoria di illegittimità costituzionale occorre che i dati sui quali la legge riposa siano incontrovertibilmente erronei o raggiungano un tale livello di indeterminatezza da non consentire in alcun modo una interpretazione ed una applicazione razionali da parte del giudice.

Non é tuttavia questo il caso per gli articoli 94 e 95 del codice penale del 1930.

5. – Indubbiamente la disciplina legislativa vigente per la materia in esame non trova nella dottrina psichiatrica e medico-legale una base sicura, ancorchè nella Relazione ministeriale sul progetto del codice penale si legga di essa una diffusa motivazione, nella quale ci si riferisce (sia per la netta distinzione tra intossicazione acuta e intossicazione cronica, sia quanto all’esplicito riconoscimento delle difficoltà di distinguere l’ubriachezza abituale dall’etilismo cronico) proprio agli insegnamenti della scienza psichiatrica. Anche nella più recente dottrina penalistica la disciplina stessa é oggetto di dubbi, di controversie e perfino di ferme condanne. Alcuni studiosi trovano tuttavia che la distinzione tra le fattispecie dell’art. 94 e dell’art. 95 é concettualmente chiara, pur non essendo sempre suscettibile di agevole diagnosi. Frequentemente é criticata anche la parificazione, che tale disciplina comporta, tra gli effetti dell’alcoolismo e quelli delle tossicodipendenze; e quanto a queste ultime si rileva (e il rilievo é raccolto nelle ordinanze del giudice a quo) che le regole concernenti l’imputabilità (e più ancora quelle concernenti la pericolosità sociale: vedasi l’art. 221 del codice) non appaiono perfettamente coordinate con i trattamenti che per i soggetti affetti da tossicodipendenza sono stati previsti dalle leggi dell’ultimo quarto di secolo: sì che sono presenti auspicii di una profonda revisione della materia ad opera del legislatore. Controverso é anche, sia nella dottrina medico-legale che in quella giuridica, il rapporto che lega la non imputabilità e la semi-imputabilità per intossicazione cronica da alcool e da sostanze stupefacenti rispettivamente al vizio totale e al vizio parziale di mente, da taluno ravvisandosi una piena identificazione della intossicazione cronica in queste ultime categorie (e in tale senso si esprime anche la giurisprudenza della Corte di cassazione, che esige una autentica affezione cerebrale o una permanente alterazione psichica), da altri invece parlandosi di forme diverse di imputabilità esclusa o diminuita da affiancarsi rispettivamente a quelle del vizio totale e del vizio parziale di mente e per le quali la legge non fa che disporre lo stesso trattamento giuridico.

Certo é pure che sulla imputabilità e semi-imputabilità dell’alcooldipendente e del tossicodipendente la dottrina medico-legale segue diverse opzioni e che effettivamente si é domandata, come le ordinanze ricordano, se lo stato definito dalla legge come intossicazione cronica, a prescindere da un suo confinamento a situazioni marginali o rare, sia realmente identificabile attraverso i requisiti della permanenza e della irreversibilità, su cui si fonda una lunga e costante interpretazione giurisprudenziale. Sempre sotto il profilo medico-legale, le difficoltà sono poi accresciute (come del resto per altri accertamenti) dal divario di tempo, spesso molto grande, tra il momento in cui la perizia viene compiuta e il momento – determinante ai fini di stabilire l’imputabilità, la semi-imputabilità o la non imputabilità del soggetto – nel quale il fatto fu commesso (cfr. art. 85 del codice penale). Infine si può riconoscere che la stessa eliminazione vuoi dell’art. 94 vuoi dell’art. 95, postulata in via di illegittimità costituzionale dalle ordinanze del giudice rimettente, potrebbe forse non produrre vistose lacune nell’ordinamento, sia in considerazione dei limiti molto modesti in cui può essere concretamente ridotto l’aumento di pena, tuttavia obbligatorio, previsto dall’art. 94 (di cui si auspica peraltro da alcuni autori la soppressione per l’eccessiva severità dalla quale é ispirato e la cui previsione non é stata ripetuta in alcuno dei recenti progetti di codice penale), sia in considerazione della riconducibilità dell’intossicazione cronica, ove dia luogo ad un effettivo vizio totale o vizio parziale di mente, alle disposizioni oggi dettate dagli articoli 88 e 89.

Ciononostante il sistema oggi vigente in materia di imputabilità e semiimputabilità dell’alcooldipendente e del tossicodipendente non presenta il carattere di palese irragionevolezza ipotizzato dal giudice rimettente.

6. – Non può infatti negarsi che, ad onta delle incertezze espresse nella dottrina medico-legale e delle richieste di innovazioni legislative fortemente presenti nella dottrina penalistica, la giurisprudenza ordinaria, segnatamente la giurisprudenza di legittimità, si é attestata da alcuni decenni e senza apprezzabili divergenze su una interpretazione che si presenta con caratteri di certezza e di uniformità nella identificazione dei requisiti della cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti. Secondo tale giurisprudenza, per potersi correttamente invocare lo stato di intossicazione cronica occorre una alterazione non transitoria dell’equilibrio biochimico del soggetto tale da determinare un vero e proprio stato patologico psicofisico dell’imputato e, dunque, una corrispondente e non transitoria alterazione dei processi intellettivi e volitivi. Ciò significa che l’accertamento dell’imputabilità vien fatto ruotare in ogni caso attorno ad un concetto di "infermità" necessariamente riconducibile, sul piano gnoseologico, ai mutevoli contributi dell’esperienza clinica, cercando in tal modo di dissolvere proprio quei rischi di aperta contraddizione tra scienza e norma sui quali il giudice a quo ha fondato le proprie censure.

7. – D’altra parte non saprebbe negarsi che gli articoli 94 e 95 del codice penale sono inseriti in modo organico – e indubbiamente coerente nel proprio interno – in un sistema completo, quale é quello che il codice penale del 1930 ritenne di dover istituire per l’affermazione od esclusione dell’imputabilità penale dei soggetti che abbiano commesso il reato in stato di ubriachezza o sotto l’azione di sostanze stupefacenti. Tale sistema é notoriamente ispirato a intenti di prevenzione generale improntati a grande rigore. Il suo nucleo primario, rappresentato dagli articoli 92, primo comma, e 93, che parificano i reati commessi in stato di ubriachezza o sotto l’azione di sostanze stupefacenti ai reati commessi in stato di normalità, eliminando le diminuzioni di pena previste nel codice Zanardelli e sottoponendo ad eguale regime penale tanto l’ubriachezza (o assunzione di sostanze stupefacenti) volontaria quanto quella meramente colposa, é tuttavia passato indenne proprio sotto il vaglio della irragionevolezza sin da quando la sua illegittimità costituzionale fu prospettata a questa Corte da una pluralità di ordinanze di rimessione (sentenza n. 33 del 1970). Le restanti disposizioni, tra cui quelle oggi denunciate, sono un corollario di quel nucleo essenziale e primario. E’ ovvia infatti la libertà del legislatore di segnare con una circostanza aggravante – come nell’art. 94 – il volontario ed abituale riprodursi di quello stato che é già parificato dall’art. 92 al reato commesso in condizioni di normalità mentale; ed é d’altra parte opportuno, proprio in relazione al sistema di rigore instaurato con la sancita irrilevanza penale dello stato tossico acuto, l’avere espressamente escluso che una intossicazione cronica, e cioé non più dominabile dal soggetto, possa dar vita a quella severa parificazione.

Tale é stato del resto uno dei pensieri dominanti nella preparazione di questa parte del codice penale, come é dato anche desumere da un passo della relazione ministeriale sul progetto, dove si legge che "non era possibile, e non sarebbe stato giusto, applicare all’intossicazione cronica le norme dell’intossicazione acuta".

8. – A quest’ultimo riguardo una osservazione sembra ancora necessaria. Le ordinanze del giudice a quo, per sottolineare l’inutilità della disposizione di cui all’art. 95 del codice penale, ricordano il passo della "Relazione al Re" in cui é detto che "la disposizione trova la sua ragion d’essere nell’intento di distinguere l’intossicazione acuta dalla cronica, la quale soltanto é equiparabile all’infermità mentale: comunque l’articolo ha valore di interpretazione autentica e, come tale, non può ritenersi superfluo".

Questa proposizione – che é contenuta anche nella precedente relazione ministeriale sul progetto del codice penale, dove é sostenuta da una diffusa argomentazione – pone in rilievo un problema già più sopra accennato e controverso nella dottrina medico-legale formatasi in relazione alle disposizioni del codice, se cioé lo stato definito come "cronica intossicazione" dall’art. 95 debba essere considerato un vero e proprio vizio di mente (totale o parziale, a seconda del suo grado). La ricordata giurisprudenza di legittimità, con il suo insistito richiamo al concetto di "infermità", sembrerebbe porsi in questa ottica. E tuttavia la formula usata dalla legge, che si limita a stabilire che "si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89", farebbe pensare assai più ad una assimilazione nel trattamento penale (non imputabilità con totale esclusione della punibilità, o imputabilità diminuita con attenuazione della pena fino a un terzo) che non ad una identificazione. Nè, per venire ad epoca più vicina, si può trascurare che nel più importante disegno di nuovo codice penale degli ultimi anni, nell’elencare i casi di esclusione della imputabilità (e corrispondentemente di grande diminuzione della stessa, con conseguente riduzione di pena) é previsto quello in cui il soggetto "era, per infermità o per altra anomalia o per cronica intossicazione da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere". Dove, dunque, alla cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti si fa ancora uno spazio autonomo, non identificandola necessariamente con l’infermità (o semi-infermità) mentale, ma ad esse parificandola sotto il segno dell’assenza o della diminuzione della imputabilità, e dunque della colpevolezza.

Ed é proprio in questa opportunità di riaffermare anche nei casi in esame – a prescindere da ogni legittima discussione scientifica sulla esatta nozione dell’infermità mentale e del ricorso che a questa nozione ritiene di fare la giurisprudenza ordinaria – il superiore valore del principio di colpevolezza che deve individuarsi la non irragionevolezza della disposizione di cui all’art. 95 del codice penale.

E’ infatti, in ultima analisi, il riferimento alla colpevolezza o meno del soggetto quello che deve permettere di distinguere, dal punto di vista della volontà del legislatore e per le conseguenze dalla legge previste, la intossicazione acuta da quella cronica: colpevole quella acuta, sia pure dandosi spazio a tutti i trattamenti di recupero e agli altri provvedimenti ritenuti adeguati sul piano dell’applicazione e dell’esecuzione delle pene; incolpevole, o meno colpevole, quella cronica, sia pure attraverso il passaggio, nell’ipotesi della pena soltanto diminuita, per la discussa e discutibile figura della semi-imputabilità.

9. – Così pure, é facendo riferimento al principio di colpevolezza che il giudice deve porsi in grado di risolvere i problemi che si presentano nella concreta applicazione dell’art. 95 del codice penale, facendo applicazione, nel dubbio, proprio delle regole di giudizio espressamente stabilite nei commi 2 e 3 (quest’ultimo comma ritenuto in astratto dalle ordinanze del giudice rimettente riferibile anche alle cause di non imputabilità) dell’art. 530 del codice di procedura penale.

Sotto questo profilo una motivazione della sentenza é non solo possibile ma doverosa, anche a prescindere dal pur rilevante parere eventualmente espresso, sia sull’imputabilità che sulla pericolosità sociale, dal perito o dai periti.

La motivazione delle sentenze essendo dunque, nei casi come quelli prospettati dalle ordinanze di rimessione, tutt’altro che impossibile, la questione di incostituzionalità sollevata anche in riferimento all’art. 111 Cost. deve ritenersi non fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 94 e 95 del codice penale, sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione, dal Pretore di Ancona – Sezione distaccata di Fabriano, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Giuliano VASSALLI

Depositata in cancelleria il 16 aprile 1998.