Sentenza n. 120

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SENTENZA N. 120

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia del 17 febbraio 1986, n. 5 (Disciplina per l'autorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato che svolgono attività ambulatoriale, nonchè per il trasporto di infermi), promosso con ordinanza emessa il 13 dicembre 1995 dal Pretore di Mantova nel procedimento civile vertente tra Mazzali Alberto ed altri e USLL 47 di Mantova iscritta al n. 472 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento della Regione Lombardia;

udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 1997 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. Il Pretore di Mantova, adito da Mazzali Alberto e altri, medici-chirurghi, avverso ordinanze-ingiunzioni che comminano sanzioni amministrative per l'attivazione di ambulatori medici senza autorizzazione, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 17 febbraio 1986, n. 5 (Disciplina per l'autorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato che svolgono attività ambulatoriale, nonchè per il trasporto di infermi), nella parte in cui assimila situazioni diverse, e cioé gli istituti con organizzazione propria che presentano le stesse caratteristiche delle case e degli istituti di cura, e lo studio privato del singolo medico con targa pubblicitaria e, in ipotesi, con un solo dipendente.

Detta assimilazione sarebbe irragionevole: se scopo della norma é infatti quello di consentire il controllo dell'autorità preposta ai servizi sanitari gestiti dai privati, la definizione di ambulatorio va circoscritta alle strutture organizzate che siano dotate di attrezzature idonee per gli accertamenti diagnostici e gli interventi terapeutici. Di qui, la violazione del principio di eguaglianza.

2. E' intervenuto il Presidente della Regione Lombardia, nel senso dell'inammissibilità e, in subordine, dell'infondatezza. Innanzitutto, perchè il rimettente non descrive le caratteristiche degli studi professionali dei ricorrenti, precludendo in tal modo al giudice costituzionale il controllo della rilevanza, per cui la questione sarebbe inammissibile per insufficiente indicazione dei fatti di causa. Ulteriore ragione di inammissibilità é, poi, nel fatto che l'ordinanza non precisa il "senso" della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale, ed é indeterminato il thema decidendum; nè si individuano ragioni a sostegno dell'introduzione di scelte non costituzionalmente obbligate e, quindi, riservate alla discrezionalità del legislatore.

Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata. Il legislatore regionale ha sottoposto a controllo tutte le strutture aperte al pubblico, movendo da un dato oggettivo, e cioé la possibilità di accesso indifferenziato. Coerentemente, si é dato rilievo all'elemento della pubblicità che mira ad attirare clienti nella struttura sanitaria, favorendo così l'accesso a un pubblico indifferenziato. Altrettanto può dirsi per l'ulteriore elemento della presenza di dipendenti, che si giustifica in nome dell'esigenza di mantenere rapporti con il pubblico.

L'ampiezza della fattispecie descritta dalla disposizione censurata - prosegue la difesa della Regione - é funzionale alla tutela degli utenti della struttura sanitaria, quale che sia la sua importanza. Ma anche aderendo alla prospettazione dell'ordinanza, le conclusioni non sarebbero diverse. Se l'intento del legislatore regionale - invero costituzionalmente apprezzabile - fosse stato quello di esercitare un controllo sui servizi sanitari gestiti dai privati, non si vede per quale motivo vi si dovrebbero sottrarre le strutture carenti di attrezzature idonee per gli accertamenti e gli interventi terapeutici, giacchè si impone il massimo rigore per qualunque attività di assistenza sanitaria.

Argomenti, questi, che la Regione Lombardia ha ribadito in una memoria depositata nell'imminenza della camera di consiglio, ove si richiamano le sentenze di questa Corte nn. 35 e 17 del 1997, con riguardo al valore costituzionale, essenziale, della salute.

Considerato in diritto

1. Il Pretore di Mantova ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 17 febbraio 1986, n. 5 (Disciplina per l'autorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato che svolgono attività ambulatoriale, nonchè per il trasporto di infermi), nella parte in cui assimila indiscriminatamente situazioni diverse, e cioé gli istituti aventi individualità e organizzazione propria che presentano le stesse caratteristiche delle case e degli istituti di cura, e lo studio privato del singolo medico il quale abbia, in ipotesi, un solo dipendente e la targa pubblicitaria. Detta assimilazione sarebbe irragionevole e fonte di disparità; e, infatti, se la norma tende a controllare i servizi sanitari gestiti dai privati, la definizione di ambulatorio va circoscritta alle strutture organizzate, dotate di attrezzature per gli accertamenti diagnostici e le terapie prescritte.

2. Vanno disattese le eccezioni di inammissibilità mosse dalla Regione Lombardia, secondo cui l'ordinanza di rimessione non indica i fatti di causa, é indeterminata nel thema decidendum, e inoltre richiede alla Corte una pronuncia lesiva dell'ambito di discrezionalità riservato al legislatore.

Nella parte iniziale, relativa alle sanzioni amministrative comminate ai ricorrenti per aver attivato ambulatori medici senza l'autorizzazione, prevista dalla legge regionale n. 5 del 1986, l'ordinanza motiva in modo per vero succinto, ma sufficiente, circa la rilevanza della questione. Nè può dirsi incerto il thema decidendum: il dubbio di legittimità, avanzato alla luce dell'art. 3 della Costituzione, concerne l'assimilazione - nell'ultima parte dell'art. 2, comma 1, lettera a) - di fattispecie che si assumono diverse. E non vale altresì, quale ragione di inammissibilità, la garanzia della discrezionalità legislativa, dal momento che dopo un'eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale si renderebbe comunque necessario un successivo intervento del legislatore regionale volto a dare razionale sistemazione alla materia, secondo i principi affermati da questa Corte.

3. Passando dunque al merito, la questione é infondata.

Il giudice a quo si duole dell'assimilazione - a suo avviso ingiustificata - di situazioni diverse: quella degli istituti con individualità e organizzazione propria e autonoma, e quella dello studio privato del singolo medico; onde la violazione del principio di eguaglianza.

Va considerato, innanzitutto, che la Regione é titolare dei poteri di vigilanza e di autorizzazione sulle istituzioni sanitarie di carattere privato, fra i quali rientra, certo, quello di autorizzarne la pubblicità (in particolare, v. la sentenza n. 461 del 1992). La definizione delle istituzioni sanitarie private che svolgono attività ambulatoriali, di cui all'art. 2 della legge regionale n. 5 del 1986, é strumentale al meccanismo autorizzatorio disciplinato dall'art. 3 che vale, infatti, per le strutture individuate dalla legge.

La questione di legittimità costituzionale pone un problema di bilanciamento fra diverse istanze: vi é l'esigenza di tutelare beni pubblici essenziali, riconducibili al diritto fondamentale della salute, con il riconoscimento di poteri di vigilanza e di autorizzazione affidati a soggetti pubblici; ma occorre che tali poteri siano conformati in modo ragionevole, al fine di non limitare - senza che vi sia effettiva necessità - l'iniziativa privata nel settore dell'assistenza sanitaria. Ora, non si può dire che la scelta operata dal legislatore regionale sia fonte di disparità ingiustificate o sia, comunque, irragionevole. La lettera a) dell'art. 2, qui in esame, si fonda essenzialmente sulla sussistenza di una "autonomia organizzativa" della struttura e sulla sua "apertura al pubblico": deve trattarsi, cioé, di "istituzioni sanitarie", secondo quanto precisato nella parte iniziale dell'art. 2, comma 1, e nell'ultima parte della lettera a), che eccettua gli studi privati sprovvisti di organizzazione propria.

Il sistema qui ricostruito si sottrae, dunque, alle censure mosse, e la questione va dichiarata infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 17 febbraio 1986, n. 5 (Disciplina per l'autorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato che svolgono attività ambulatoriale, nonchè per il trasporto di infermi), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Mantova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 1997.

Renato GRANATA, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 6 maggio 1997.