Sentenza n. 45

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SENTENZA N. 45

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-         Dott. Renato GRANATA, Presidente

-         Prof. Giuliano VASSALLI

-         Prof. Francesco GUIZZI

-         Prof. Cesare MIRABELLI  

-         Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

-         Avv. Massimo VARI

-         Dott. Cesare RUPERTO  

-         Dott. Riccardo CHIEPPA

-         Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

-         Prof. Valerio ONIDA

-         Prof. Carlo MEZZANOTTE  

-         Avv. Fernanda CONTRI

-         Prof. Guido NEPPI MODONA  

-         Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 666 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 20 novembre 1995 dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento penale a carico di Cappellotto Josè, iscritta al n. 40 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 novembre 1996 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. -- Nel corso di un procedimento di esecuzione a richiesta dell'imputato, Cappellotto José, che invocava genericamente «l'applicazione di amnistie» e della disciplina della continuazione fra i reati, la Corte d'appello di Venezia ha sollevato d'ufficio, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 666 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la condanna al pagamento delle spese processuali per colui che ha proposto un "incidente di esecuzione" (recte: procedimento di esecuzione) dichiarato inammissibile o rigettato.

Osserva il giudice a quo che il nuovo codice di rito ha creato una situazione ibrida rispetto a quella del codice abrogato, che all'art. 630 statuiva, per l'incidente di esecuzione, l'osservanza delle stesse regole dell'istruzione formale e, dunque, non prevedeva il regolamento delle spese processuali in quanto estranee alla fase istruttoria. L'art. 666, comma 6, del nuovo codice di procedura penale - disponendo che nel procedimento di esecuzione si osservi, in quanto applicabile, la normativa sulle impugnazioni e quella sul procedimento in camera di consiglio davanti alla Corte di cassazione - determinerebbe disparità di trattamento rilevabile sotto tre profili.

Innanzitutto, perché le spese sarebbero a carico dell'istante solo nell'ipotesi in cui il procedimento di esecuzione prosegua davanti alla Corte di cassazione. In secondo luogo, perché vi sarebbe disparità di trattamento fra colui che è condannato in sede di cognizione e colui che rimane soccombente nel procedimento di esecuzione. E, infine, perché vi sarebbe una palese discriminazione fra quest'ultimo e chi è tenuto a corrispondere un contributo economico, per soccombenza, nelle diverse sedi processuali.

Sul presupposto che le norme regolatrici della fattispecie richiamerebbero espressamente l'istituto delle impugnazioni, la Cassazione è orientata - con riguardo al procedimento di riesame - per la condanna al pagamento delle spese di giudizio in caso di rigetto. Tale orientamento - conclude il Collegio rimettente - potrebbe estendersi anche al cosiddetto "incidente di esecuzione", che non ha, certo, natura d'impugnazione, e tuttavia è finalizzato al riesame d'una questione e all'eventuale riforma della statuizione già adottata dallo stesso giudice.

2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità o, in subordine, per l'infondatezza della questione, sostenendo che nella giurisprudenza costituzionale non si rinviene alcun principio che faccia obbligo allo Stato di recuperare le spese del procedimento anticipate (da ultimo, v. sentenza n. 134 del 1993). A ciò si aggiunga, prosegue l'Avvocatura, che i lamentati profili di irragionevolezza e disparità di trattamento non terrebbero nel giusto conto il diverso rilievo e le diverse caratteristiche delle sequenze procedimentali poste in comparazione (procedimento di esecuzione in prima istanza e ricorso per cassazione contro l'ordinanza di inammissibilità o rigetto; procedimento di cognizione e procedimento di esecuzione ex art. 666 del codice di procedura penale).

Considerato in diritto

1. -- Viene all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 666, comma 6, del codice di procedura penale, che richiama, in quanto applicabili, le disposizioni sulle impugnazioni e quelle sul procedimento in camera di consiglio davanti alla Corte di cassazione, assoggettando soltanto tale grado del procedimento di esecuzione alla regola delle spese processuali. Di qui, il contrasto con l'art. 3 della Costituzione ipotizzato dalla Corte d'appello di Venezia per la disparità di trattamento:

· fra colui che coltiva il procedimento soltanto sino al primo grado e chi, invece, ricorre per Cassazione avverso l'ordinanza di inammissibilità o rigetto;

· fra il condannato in sede di cognizione e il soccombente nel procedimento di esecuzione;

· fra chi instaura tale procedimento (a spese dello Stato) e tutti gli utenti del "servizio giustizia" che corrispondono un contributo economico.

2. -- La questione non è fondata.

Questa Corte ha più volte affermato (sentenza n. 134 del 1993 e, fra quelle risalenti, la n. 30 del 1964) la regola generale in materia di spese processuali, secondo cui il costo del processo deve essere «sopportato da chi ha reso necessaria l'attività del giudice»; essa, tuttavia, conosce varie eccezioni. Fra queste, l'esenzione del querelante "soccombente" dal pagamento delle spese nei casi «retti da una ratio unitaria», che è quella di esimere da tale responsabilità «chi ha esercitato il diritto di querela, allorquando l'assoluzione dell'imputato derivi da circostanze non riconducibili al querelante stesso», cui nessuna colpa può dunque essere ascritta (sentenza n. 29 del 1992).

La Corte d'appello di Venezia dubita della corrispondenza di questo principio all'attuale disciplina del procedimento di esecuzione (che non prevede il regolamento delle spese in primo grado), ma non considera, da un lato, le peculiarità dei due procedimenti e, dall'altro, la funzione stessa di quello di prima istanza. Il dubbio non ha, però, ragione di esistere.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 134 del 1993) non si rinviene in Costituzione un principio che faccia obbligo allo Stato di recuperare in ogni caso le spese processuali, sì che di volta in volta si tratta di valutare la ragionevolezza della scelta operata dal legislatore. E nella specie essa è certamente non irragionevole: tale procedimento ha infatti la finalità di stabilire, nell'interesse della giustizia, il concreto contenuto dell'esecuzione, sì che rimane ad esso estranea la regola della soccombenza; mentre con il ricorso per Cassazione si realizza in pieno la fase contenziosa e, quindi, l'applicazione di quel principio non è priva di giustificazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 666 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Venezia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 1997.

Il Presidente: Renato GRANATA

Il Redattore: Francesco GUIZZI

Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1997.