Sentenza n. 24

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SENTENZA N. 24

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-         Dott. Renato GRANATA Presidente

-         Dott. Giuliano VASSALLI

-         Prof. Francesco GUIZZI

-         Prof. Cesare MIRABELLI

-         Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

-         Avv. Massimo VARI

-         Dott. Cesare RUPERTO  

-         Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

-         Prof. Valerio ONIDA

-         Prof. Carlo MEZZANOTTE  

-         Avv. Fernanda CONTRI

-         Prof. Guido NEPPI MODONA

-         Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 4, comma 3, limitatamente alle parole "impartisce direttive per l'esercizio delle funzioni amministrative delegate alle Regioni, che sono tenute ad osservarle, ed" del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 24 luglio 1977 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), iscritto al n. 92 del registro referendum.

Vista l'ordinanza del 26-27 novembre 1996 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;

udito nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi gli avvocati Andrea Comba e Beniamino Caravita di Toritto per i delegati dei Consigli regionali della Lombardia, del Piemonte, della Valle d'Aosta, della Calabria, del Veneto e della Puglia.

Ritenuto in fatto

1.-- Con ordinanza del 26-27 novembre 1996 l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai Consigli regionali delle Regioni Calabria, Piemonte, Veneto, Valle d'Aosta, Lombardia e Puglia, sul seguente quesito: «Volete voi che sia abrogato l'art. 4, comma 3, limitatamente alle parole "impartisce direttive per l'esercizio delle funzioni amministrative delegate alle Regioni, che sono tenute ad osservarle, ed" del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 24 luglio 1977 "Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382"?».

Al quesito è stata attribuita dall'Ufficio centrale la denominazione "Abolizione dei poteri di direttiva dello Stato sulle funzioni amministrative statali delegate alle Regioni".

2.-- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente deliberazione la camera di consiglio dell'8 gennaio 1997, disponendo che ne fosse data comunicazione ai delegati dei Consigli regionali presentatori della richiesta e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

3.-- Si sono avvalsi della facoltà di depositare memorie, di cui all'art. 33, terzo comma, della legge citata, i delegati dei Consigli regionali presentatori della richiesta.

I presentatori premettono che la richiesta si basa "sulla convinzione che le deleghe di funzioni amministrative hanno carattere devolutivo o traslativo, con la conseguenza di comportare un esercizio della funzione da parte del delegato in ampia autonomia, rimanendo salva la possibilità di revoca della delega e di esercizio del potere sostitutivo"; l'abrogazione auspicata consentirebbe dunque una forma di attuazione del principio di sussidiarietà.

Dopo avere negato che la richiesta in esame rientri fra i casi di esclusione del referendum previsti dall'art. 75 della Costituzione, e avere affermato che sussisterebbe "il requisito della chiarezza, univocità ed omogeneità del quesito", i presentatori osservano, in ordine alla completezza del quesito, che il potere dello Stato di emanare direttive in merito alle funzioni amministrative delegate è previsto, in via generale, solo nella disposizione di cui si chiede l'abrogazione parziale, mentre l'art. 2, comma 3, lettera e, della legge n. 400 del 1988, che riserva alla competenza del Consiglio dei ministri la deliberazione delle direttive in questione, sarebbe norma solo riproduttiva di quella di cui si chiede l'abrogazione e, in ogni caso, meramente procedimentale.

La difesa dei presentatori contesta poi che il referendum in esame possa ritenersi relativo a disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato; a sua volta l'esclusione di referendum relativi a leggi costituzionalmente obbligatorie, ma a contenuto non costituzionalmente vincolato, sarebbe stata limitata al caso del tutto particolare e non generalizzabile delle leggi elettorali.

Nella specie in esame, non si potrebbe parlare di norma a contenuto costituzionalmente vincolato, in quanto l'emanazione delle direttive previste dalla norma abroganda non sarebbe necessaria né per il conferimento della delega né per l'esercizio delle funzioni delegate.

In relazione all'art. 121, quarto comma, della Costituzione, secondo cui il Presidente della Regione "dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale", la difesa dei presentatori osserva che il potere di emanare direttive di cui all'art. 4 del d.P.R. n. 616 del 1977 non coinciderebbe con il potere di emanare istruzioni di cui alla citata norma costituzionale: le prime sono infatti rivolte all'ente Regione e lo vincolano nell'esercizio delle funzioni delegate, mentre le seconde sarebbero dirette al Presidente della Regione, che deve seguirle nello svolgimento della sua attività di direzione delle funzioni amministrative delegate. A conforto di ciò si ricorda una decisione del Consiglio di Stato (sez. VI, 16 marzo 1995, n. 264), secondo cui la potestà di direzione di cui è titolare il Presidente regionale non comporta anche la diretta gestione amministrativa da parte dello stesso, ove ciò non sia consentito da una specifica norma. A seguito dell'auspicata abrogazione, il Governo potrebbe continuare a esercitare il proprio potere di rivolgere istruzioni al Presidente della Giunta, il quale dovrebbe conformarvisi nella sua attività di direzione delle attività delegate.

Ma anche se si ritenesse che le istruzioni di cui all'art. 121 della Costituzione coincidano con le direttive di cui alla norma inclusa nel quesito, ci si troverebbe di fronte ad una disposizione legislativa che si limita a realizzare una fra le tante soluzioni possibili per attuare la Costituzione, e anzi un'attuazione addirittura anomala, come risulterebbe dalla disomogeneità della terminologia impiegata (istruzioni, direttive) e dei soggetti destinatari (Presidente della Giunta, Regione nel suo complesso).

Né si potrebbe applicare il criterio più rigido utilizzato nei riguardi della ammissibilità dei referendum su leggi elettorali, poiché nel caso in esame la normativa che risulterebbe dall'abrogazione non realizzerebbe alcun vuoto legislativo, in quanto le direttive sono solo eventuali e non necessarie per lo svolgimento delle funzioni delegate.

Infine i presentatori sottolineano che le direttive non costituiscono l'unico modo attraverso il quale il Governo, in concreto, esercita il controllo sulle attività amministrative delegate, poiché resterebbero l'esercizio del potere sostitutivo e, quale ultima ratio, la revoca della delega.

4.-- Ad integrazione del contraddittorio, sono stati uditi in camera di consiglio gli avvocati dei presentatori, i quali hanno insistito per la dichiarazione di ammissibilità del quesito, precisando in particolare che l'abrogazione richiesta, se approvata, paralizzerebbe l'applicazione anche delle norme particolari che prevedono l'esercizio da parte del Governo del potere di direttiva nei riguardi delle funzioni amministrative delegate alle Regioni.

Considerato in diritto

1.                      -- La richiesta riguarda una parte del terzo comma dell'art. 4 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ove si dispone che il Governo della Repubblica, tramite il commissario del Governo, "impartisce direttive per l'esercizio delle funzioni amministrative delegate alle Regioni, che sono tenute ad osservarle": ed è volta dunque alla eliminazione del citato potere di direttiva del Governo centrale.

2.                      -- La richiesta è inammissibile, in quanto riguarda una norma a contenuto costituzionalmente vincolato.

La norma che si chiede di sottoporre a deliberazione abrogativa si limita, come si è visto, a stabilire che il Governo centrale ha il potere di impartire alle Regioni direttive per l'esercizio delle funzioni a queste delegate, e che le Regioni sono tenute ad osservare tali direttive.

Ora, che sussista, sul piano costituzionale, un potere di direttiva vincolante nei confronti delle Regioni in ordine all'esercizio delle funzioni ad esse delegate ai sensi dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione -- potere insussistente invece, in linea di principio, relativamente alle funzioni amministrative proprie della Regione --, e che tale potere spetti al Governo centrale, è stabilito in modo esplicito dall'art. 121, quarto comma, della Costituzione, là dove si prevede che il Presidente della Giunta regionale dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione "conformandosi alle istruzioni del Governo centrale".

Anche se non vi fosse tale esplicito disposto, non potrebbe probabilmente non riconoscersi al Governo, sempre sul terreno costituzionale, un potere di direttiva nei confronti delle Regioni in ordine all'esercizio delle funzioni delegate, essendo implicita nella stessa figura della delega la possibilità per il delegante di indirizzare l'esercizio delle attività del delegato: così che il disposto dell'art. 121, quarto comma -- non a caso ripreso, talvolta con formule testualmente identiche, in tutti gli statuti speciali ove si fa riferimento alla delega di funzioni amministrative dallo Stato alla Regione o all'esercizio da parte di questa di funzioni proprie dello Stato (cfr. art. 20, primo comma, secondo periodo, statuto Regione Siciliana; art. 47, primo comma, e art. 49, secondo periodo, statuto Sardegna; art. 44, secondo comma, statuto Valle d'Aosta; art. 41 statuto Trentino-Alto Adige; art. 45, primo comma, statuto Friuli-Venezia Giulia) -- non fa che ribadire espressamente un principio già implicito nel sistema costituzionale.

3.-- In ogni caso, il contenuto della norma oggetto della domanda referendaria coincide senza residui con quello della norma costituzionale.

Non può ritenersi, infatti, che la norma oggetto del quesito riguardi aspetti diversi da quelli regolati dalla norma costituzionale, solo perché quest'ultima parla di "istruzioni" anziché di "direttive", e perché si riferisce al Presidente della Giunta regionale anziché alla Regione.

Le "istruzioni" di cui è parola nell'art. 121 della Costituzione non sono qualcosa di diverso dalle "direttive" di cui alla disposizione oggetto del quesito: semmai, il termine impiegato dalla Costituzione evoca un potere ancor più puntuale e vincolante di quello implicito nel termine utilizzato dalla legge ordinaria. Quanto poi al riferimento al Presidente della Giunta, è evidente che il ricondurre a questa figura organica la competenza a dirigere l'esercizio delle funzioni delegate non altera in alcun modo la natura e il fondamento delle direttive, che il Governo centrale può impartire alla Regione in quanto tale, e che devono essere osservate da tutti gli organi della Regione, a partire dal Presidente cui spetta dirigere l'esercizio delle funzioni medesime. L'obbligo di quest'ultimo di "conformarsi" alle istruzioni del Governo non è altro che l'espressione del vincolo, gravante sulla Regione, di osservare le direttive statali.

Né infine può aver rilievo il fatto che l'emanazione di direttive costituisca una semplice facoltà, e non un obbligo per il Governo. Infatti il quesito, volto ad abrogare la previsione delle direttive medesime, è chiaramente diretto -- come conferma anche l'intitolazione ad esso attribuita ("Abolizione dei poteri di direttiva dello Stato sulle funzioni amministrative statali delegate alle Regioni"), e come affermano gli stessi presentatori -- a sopprimere il potere di direttiva in sé, affermando una sostanziale equiparazione delle funzioni delegate a quelle proprie delle Regioni, salve solo la possibilità di esercizio del potere sostitutivo di cui all'art. 2 della legge n. 382 del 1975, e la retrattabilità della delega con legge ordinaria.

La richiesta, dunque, ha per oggetto proprio il principio che, come si è detto, è affermato nell'art. 121 della Costituzione, così che sottoporre alla deliberazione popolare abrogativa la disposizione indicata equivarrebbe a sottoporre ad essa la stessa norma costituzionale: il che è precluso alla deliberazione referendaria (cfr. sentenze n. 16 del 1978, n. 26 del 1981).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza in data 26-27 novembre 1996, dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997.

Renato Granata, Presidente

Valerio Onida, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.