Sentenza n. 344 del 1996

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SENTENZA N.344

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2 (ultima parte del primo periodo), 2, commi 2 e 3, e 8, comma 2, della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), promosso con ordinanza emessa il 15 dicembre 1995 dal Giudice di pace di Roma, nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Onorati Rina ed altri e il Ministro della funzione pubblica, iscritta al n. 123 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 2 ottobre 1996 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio civile promosso da Rina Onorati e altri in opposizione al decreto col quale il Ministro per la funzione pubblica aveva loro inflitto una sanzione amministrativa per violazione del provvedimento di precettazione intimato ai docenti al fine di assicurare lo svolgimento degli scrutini finali, il Giudice di pace di Roma, con ordinanza del 15 dicembre 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 39 e 40 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 2, commi 2 e 3, e 8, comma 2, della legge 12 giugno 1990, n. 146, nella parte in cui impongono le prestazioni indispensabili individuate dai contratti o dagli accordi collettivi, nonchè dai regolamenti di servizio emanati in base ad accordi aziendali, a tutti i lavoratori, indipendentemente dall'iscrizione o comunque adesione alle organizzazioni sindacali stipulanti.

Ad avviso del giudice rimettente, le norme impugnate violano in primo luogo l'art. 39, quarto comma, Cost., perchè delegano alla contrattazione collettiva l'individuazione delle prestazioni indispensabili che devono essere assicurate in caso di sciopero nei pubblici servizi essenziali, attribuendo efficacia generale a contratti collettivi e ad accordi sindacali non stipulati dalle rappresentanze unitarie previste dalla norma costituzionale, e perciò idonei a spiegare efficacia obbligatoria esclusivamente nei confronti dei lavoratori iscritti alle associazioni sindacali stipulanti. Conseguentemente, nei rapporti con i lavoratori non aderenti, l'ordinanza della pubblica autorità di cui all'art. 8 della legge n. 146 del 1990, diretta a garantire le prestazioni indispensabili così individuate, sarebbe illegittima e, come tale, non potrebbe costituire titolo per l'irrogazione delle sanzioni previste dall'art. 9.

Non si potrebbe sostenere, in contrario, che il rinvio dell'art. 1, comma 2, alla contrattazione collettiva ha un valore meramente "strumentale". Il rinvio, essendo puramente formale, conserva ai contratti e agli accordi sindacali la qualità di fonte della disciplina delle prestazioni indispensabili.

In secondo luogo sarebbe violata la riserva di legge stabilita dall'art. 40 per la disciplina dell'esercizio del diritto di sciopero. La riserva comporta che l'individuazione delle prestazioni indispensabili, non potendovi provvedere direttamente la legge, deve essere rimessa a fonti statali subprimarie (regolamenti del potere esecutivo) con prescrizione di criteri direttivi. I contratti collettivi, ai quali si e' fatto rinvio senza alcuna indicazione di princìpi-guida, non sono uno strumento adatto a garantire i diritti fondamentali degli utenti (terzi) richiamati nell'art. 1, comma 1, della legge. Ne' varrebbe obiettare che una funzione super partes e' affidata alla Commissione di garanzia istituita dall'art. 12.

Invero, qualora giudichi inidonee le prestazioni individuate dalla contrattazione collettiva, la Commissione ha soltanto poteri di proposta, ma non può in nessun caso adottare un provvedimento cogente.

Sarebbe violato, infine, anche l'art. 3 Cost. Il lavoratore iscritto a una associazione sindacale non ammessa alla contrattazione collettiva o non iscritto ad alcun sindacato sarebbe "leso nella sua dignità personale e sociale" dalla normativa impugnata, in quanto vincolato a prestazioni ritenute indispensabili non direttamente e concretamente dalla legge, bensì da accordi sindacali ai quali e' completamente estraneo.

2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per quanto di ragione e in ogni caso infondata.

Posto che nel giudizio a quo si controverte sulla legittimità delle sanzioni irrogate ai ricorrenti dal Ministro per la funzione pubblica a norma degli artt. 8 e 9 della legge n.146 del 1990, la questione sarebbe ammissibile soltanto in relazione a queste due norme, non anche agli artt. 1 e 2.

Nel merito, secondo l'interveniente, l'art. 39 Cost. e' erroneamente invocato: nella specie non si tratta di contratti collettivi, bensì dell'ordinanza emessa dall'autorità indicata dall'art. 8 della legge, sentite le organizzazioni sindacali, allo scopo di garantire le prestazioni indispensabili.

Non e' violata la riserva di legge stabilita dall'art. 40 Cost. perchè le norme impugnate non delegano alle organizzazioni sindacali un potere di disciplina del diritto di sciopero, ma soltanto il compito di definire le prestazioni la cui continuità e' indispensabile per la salvaguardia dei diritti fondamentali dei terzi, mentre spetta all'autorità governativa la funzione di garanzia di tali prestazioni mediante il potere di ordinanza attribuito dall'art. 8.

Tanto meno può dirsi violato l'art. 3 Cost. Tutti i lavoratori addetti ai servizi pubblici essenziali sono parimente soggetti al potere di ordinanza di cui agli artt. 8 e 9 della legge n. 146, e comunque "la parità di trattamento e l'eguaglianza dei cittadini di cui all'art. 3 della Costituzione sono princìpi che non attengono minimamente alla pari dignità dei lavoratori invocata nell'ordinanza di rimessione".

Considerato in diritto

1. - Il Giudice di pace di Roma mette in dubbio la legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 2, commi 2 e 3, e 8, comma 2, della legge 12 giugno 1990, n. 146, nella parte in cui, in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali, impongono le prestazioni indispensabili, individuate dai contratti collettivi nel settore privato e dagli accordi collettivi di cui alla legge 29 marzo 1983, n.93 (ora sostituita in parte qua dagli artt. 45 sgg. del d.lgs. 3 febbraio 1993, n.29) nel settore pubblico, a tutti i lavoratori indipendentemente dall'appartenenza alle organizzazioni sindacali stipulanti.

2. - Preliminarmente deve essere respinta l'eccezione di parziale inammissibilità opposta dall'Avvocatura dello Stato in relazione agli artt. 1 e 2 della legge n. 146 del 1990.

L'eccezione muove implicitamente da una premessa interpretativa secondo cui, nella situazione di pericolo di pregiudizio grave e imminente ipotizzata dall'art. 8, l'autorità ivi indicata sarebbe investita di un potere autonomo di determinazione delle prestazioni indispensabili. Si argomenta, invece, dall'ultimo inciso del primo comma dell'art. 8 che il contenuto dell'ordinanza e' vincolato (pur con un margine di discrezionalità di adattamento alle circostanze concrete) alle determinazioni dell'autonomia collettiva ai sensi dell'art. 2.

Nella narrativa di fatto il giudice a quo precisa che "le prestazioni indispensabili rese obbligatorie dall'ordinanza opposta, emanata ai sensi dell'art. 8, sono quelle individuate dal protocollo d'intesa del 25 luglio 1991". Il provvedimento del Ministro della funzione pubblica si e' limitato a sanzionare il rifiuto di una prestazione riconosciuta, con le procedure di cui all'art. 2, indispensabile allo scopo indicato nell'art.1, comma 2, e pertanto il coinvolgimento nella questione di costituzionalità di queste due norme insieme con l'art. 8 appare corretto in punto di ammissibilità.

3. - Nel merito la questione non e' fondata.

La violazione dell'art. 39, quarto comma, Cost., e' affermata sul presupposto che l'art. 1, comma 2, della legge n.146 opererebbe un rinvio formale ai contratti collettivi e agli accordi sindacali per il pubblico impiego come fonti regolatrici delle prestazioni indispensabili, delle modalità e delle procedure di erogazione e delle altre misure dirette a consentire gli adempimenti di cui all'art. 2, comma 1, "con la conseguenza che detti contratti e accordi vengono surrettiziamente ad acquisire, in forza di legge, efficacia erga omnes". Ma il paragone con la legge 14 luglio 1959, n. 741, suggerito con il ripetuto richiamo della sentenza n. 106 del 1962 di questa Corte, non e' calzante ed e' poi contraddetto dallo stesso giudice rimettente quando precisa che la legge n. 146 del 1990 attribuisce efficacia generale non solo ai contratti e agli accordi vigenti al momento della sua entrata in vigore (ai quali era limitato il rinvio della legge n. 741 del 1959), ma anche ai contratti e agli accordi successivi.

Nemmeno possono essere richiamate come modello interpretativo della norma in esame le leggi che delegano alla contrattazione collettiva funzioni di produzione normativa con efficacia generale, configurandola come fonte di diritto extra ordinem destinata a soddisfare esigenze ordinamentali che avrebbero dovuto essere adempiute dalla contrattazione collettiva prevista dall'inattuato art. 39, quarto comma, Cost. L'uso di questo modello e' giustificato quando si tratta di materie del rapporto di lavoro che esigono uniformità di disciplina in funzione di interessi generali connessi al mercato del lavoro, come il lavoro a tempo parziale (art. 5, comma 3, del d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito in legge 19 dicembre 1984, n.863), i contratti di solidarietà (art. 2 del d.l. cit.), la definizione di nuove ipotesi di assunzione a termine (art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, sull'organizzazione del mercato del lavoro), ecc. Nel nostro caso, oggetto della contrattazione collettiva non e' un conflitto di interessi tra imprenditori e lavoratori incidente sull'assetto generale del mercato del lavoro (maggiore o minore elasticità dei modi d'impiego della mano d'opera, mantenimento dei livelli di occupazione ecc.), bensì il conflitto tra i lavoratori addetti ai pubblici servizi essenziali e gli utenti (terzi) in ordine alla misura entro cui l'esercizio del diritto di sciopero deve essere mantenuto per contemperarlo con i diritti della persona costituzionalmente garantiti.

A questo fine la legificazione del contratto collettivo non era una via percorribile, ne' dal punto di vista della legittimità costituzionale, mancando i presupposti in presenza dei quali e' consentita la delega alla contrattazione collettiva di funzioni paralegislative, ne' dal punto di vista dell'orientamento della legge n. 146 a fondare la regolamentazione dello sciopero su una base di consenso la più ampia possibile, e quindi ad allargare il procedimento, oltre che ai datori di lavoro e alle rappresentanze dei lavoratori delle singole imprese o amministrazioni erogatrici dei servizi, anche alle organizzazioni degli utenti e all'intervento di un autorità super partes esponente dell'interesse pubblico generale. Perciò l'atto conclusivo del procedimento e' individuato dalla legge nel regolamento di servizio da emanarsi dalle singole imprese o amministrazioni in base a un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con le rappresentanze del personale, che deve recepire, con gli opportuni adattamenti alle singole strutture erogatrici, il codice di comportamento negoziato al livello della contrattazione di categoria o di comparto.

Quando sia stata raggiunta un'intesa a entrambi i livelli contrattuali e la Commissione di garanzia non abbia espresso una valutazione di inidoneità, fonte diretta dell'obbligo dei lavora tori di effettuare le prestazioni riconosciute indispensabili e' il regolamento di servizio in quanto atto di esercizio (a formazione "procedimentalizzata" e quindi a contenuto vincolato) del potere direttivo del datore di lavoro. Se manca l'accordo a livello d'impresa, senza il quale non può essere emanato il regolamento, le prestazioni indispensabili - che il datore di lavoro e' tenuto ad assicurare in ogni circostanza - saranno da lui determinate unilateralmente caso per caso mediante specifici ordini di servizio conformi alle indicazioni generali dell'intesa intervenuta al livello superiore della contrattazione collettiva oppure, se la Commissione le abbia giudicate negativamente, alla proposta presentata alle parti ai sensi dell'art. 13.

Infine, qualora un accordo non sia stato concluso in nessuna sede contrattuale, oppure le prestazioni concordate siano state giudicate inidonee dall'organo di garanzia, supplisce il potere di ordinanza dell'autorità designata dall'art. 8, che dovrà adeguarsi alla proposta della Commissione, se già formulata. In nessun caso, dunque, l'obbligo dei singoli lavoratori e' un effetto direttamente collegabile al contratto collettivo.

L'estraneità dei contratti e degli accordi in esame alla categoria del contratto collettivo prefigurato dall'art. 39 Cost., direttamente incidente sulla disciplina dei rapporti individuali di lavoro, e' confermata dall'assoggettamento del loro contenuto alla valutazione di idoneità (cioé di congruità allo scopo indicato dall'art. 1, comma 2) da parte dell'organo di garanzia. Nella sua funzione tipica di mezzo di composizione del conflitto di interessi tra datori e prestatori di lavoro, il contratto collettivo e' "impermeabile a qualsiasi controllo di razionalità" (Cass., s.u., n. 4570 del 1996), il cui referente non potrebbe essere se non un parametro di ragionevolezza estrinseco al contratto e sovrapposto ai valori espressi dal regolamento voluto dalle parti (cfr. Cass., s.u., n. 6031 del 1993). Ne' vale a sminuire la rilevanza giuridica del giudizio di idoneità l'obiezione che la Commissione non può adottare nessun provvedimento cogente. Essa non ha poteri correttivi o modificativi degli accordi stipulati, ma una valutazione negativa li priverebbe di efficacia e, se le parti non accettassero la proposta della Commissione, giustificherebbe l'intervento del potere di ordinanza della pubblica autorità.

4. - Neppure e' violato l'art. 40 della Costituzione. La riserva di legge non esclude che la determinazione di certi limiti o modalità di esercizio del diritto di sciopero possa essere rimessa non solo a fonti statali subprimarie, ma anche alla contrattazione collettiva, purchè con condizioni che garantiscano le finalità per le quali la riserva e' stata disposta. Non essendo possibile formulare direttive uniformi per l'individuazione delle prestazioni indispensabili in caso di sciopero nei pubblici servizi essenziali, tali prestazioni variando a seconda del tipo di servizio e dell'organizzazione imprenditoriale o amministrativa che lo eroga, la definizione legale dei fondamenti della disciplina non può andare oltre a indicazioni del tipo di quelle dell'art. 1 della legge n. 146, che delinea il quadro di riferimento del bilanciamento di beni e interessi affidato alla contrattazione collettiva. Perciò la fissazione ex ante di criteri contenutistici da parte della legge e' surrogata dal controllo successivo, demandato a un organo pubblico, che deve verificare l'idoneità degli accordi collettivi rispetto allo scopo indicato dall'art. 1, comma 2.

5. - Le considerazioni svolte nei numeri precedenti rendono inattendibile anche la censura riferita all'art. 3 Cost. Il procedimento di ricognizione delle prestazioni indispensabili definito dalla legge n.146 e' uno strumento di eguaglianza di trattamento dei lavoratori, non di discriminazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 2, commi 2 e 3, e 8, comma 2, della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 39 e 40 della Costituzione, dal Giudice di pace di Roma con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/10/96.

Mauro FERRI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 18/10/96.