Ordinanza n. 100 del 1996

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ORDINANZA N.100

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di aministia per reati tributari; istituzione dei Centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), promosso con ordinanza emessa il 29 marzo 1994 dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano sui ricorsi riuniti proposti da Rosalba Squintani ed altra contro l'Intendenza di finanza di Milano, iscritta al n. 540 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Rosalba Squintani ed altra, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 1996 il Giudice relatore Massimo Vari.

RITENUTO che, con ordinanza emessa il 29 marzo 1994 (R.O. n. 540 del 1995) -- nel giudizio proposto da Giovanna e Rosalba Squintani avverso il silenzio rifiuto dell'Intendenza di finanza di Milano in ordine all'istanza di rimborso dell'imposta versata sulle plusvalenze realizzate nel 1991, in occasione della cessione di un'area assoggettata a procedura ablatoria -- la Commissione tributaria di primo grado di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzione dei Centri di assistenza fiscale e del conto fiscale);

che ad avviso del rimettente la disposizione denunciata -- nell'assoggettare retroattivamente ad imposizione fiscale le plusvalenze conseguite in occasione di procedimenti ablatori solo ove il trasferimento non abbia scontato l'imposta sugli incrementi di valore degli immobili -- si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione in quanto:

a) opera "una inspiegabile ed ingiustificata disparità di trattamento tra due situazioni che nel medesimo testo vengono equiparate" ed attratte, in futuro, nello stesso regime impositivo;

b) comporta "un trattamento esonerativo in dipendenza di fatti del tutto avulsi dai criteri di imponibilità diretta del reddito, con l'effetto di porre in essere una tassazione ispirata a criteri del tutto incomprensibili e casuali";

che, inoltre, secondo il giudice a quo, la disposizione denunciata apparirebbe ledere, oltre che i principi di uguaglianza e di capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, anche il principio di imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 della Costituzione, in quanto:

a) incidendo su "contratti già conclusi", determina, attraverso un nuovo prelievo fiscale, una ingiustificata alterazione del sinallagma in precedenza valutato e accettato dalle parti, devolvendo per di più ad una delle parti (ai sensi dello stesso art. 11, comma 11) il provento dell'imposta prelevata a carico dell'altra;

b) in ragione del riferimento "all'atto o provvedimento" che costituisce la discriminante cronologica della retroattività, fa dipendere l'imposizione dalla maggiore o minore solerzia dell'ente espropriante nell'emanazione del decreto di esproprio;

che si sono costituite le parti private, le quali insistono per l'accoglimento della questione, ribadendo l'asserito contrasto della norma con il principio di imparzialità dell'azione amministrativa, vulnerato, in particolare, dalla destinazione del provento fiscale a beneficio dello stesso ente espropriante;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata, rilevando l'erronea interpretazione dell'assunto di parte, secondo cui il provento fiscale retroattivamente introdotto andrebbe a beneficio dello stesso ente espropriante, dal momento che quest'ultimo si limita ad eseguire, per obbligo di legge, la ritenuta fiscale in qualità di sostituto, salva successiva redistribuzione del prelievo, secondo criteri da fissarsi in prosieguo, a favore degli enti locali, ma senza alcun nesso diretto tra l'espropriazione singola ed il soggetto espropriante;

che il medesimo Presidente del Consiglio dei ministri, a giustificazione della razionalità della imposizione retroattiva di fattispecie non assoggettate ad INVIM, evidenzia il fatto che le alienazioni libere, oltre ad essere assoggettate ad INVIM, ben potevano, in passato, "dar luogo a plusvalenza tassabile in ipotesi di operazione speculativa, dimostrata o presunta".

CONSIDERATO che l'ordinanza di rimessione solleva questioni che, nei termini in cui vengono riproposte, hanno formato, nella gran parte, già oggetto di esame da parte della Corte, da cui sono state ritenute non fondate segnatamente sotto il profilo della asserita disparità di trattamento, in quanto, nel quadro della discrezionalità spettante al legislatore per l'individuazione degli indici concretamente rivelatori di ricchezza, non è irragionevole che la retroattività della disposizione censurata sia stata limitata alle ipotesi di mancato assoggettamento all'altra imposta sul plusvalore immobiliare in capo al dante causa e cioè all'INVIM (sentenze nn. 14 e 410 del 1995);

che, contrariamente a quanto assume la parte privata, per sorreggere la ragionevolezza della scelta legislativa non è richiesta una perfetta equivalenza fra le due imposte né dal punto di vista della disciplina giuridica, né da quello dell'incidenza economica;

che, del pari, per quanto attiene alla pretesa ingiustificata alterazione del sinallagma in precedenza valutato e accettato dalle parti, la Corte, a suo tempo, nel rilevare gli elementi di prevedibilità dell'imposta, ha già evidenziato che si tratta di effetti connaturati alla successione delle leggi nel tempo (sentenza n. 410 del 1995);

che, inoltre, non risponde a realtà l'asserita devoluzione del provento fiscale a favore dell'ente espropriante, in quanto, anche nel caso in cui questo fosse lo Stato, ciò non consentirebbe di confondere due aspetti nettamente tra loro distinti: quello dell'esercizio del potere ablatorio, in sede di espropriazione, e quello dell'esercizio della potestà impositiva e della conseguente scelta finanziaria nella ripartizione delle pubbliche entrate, secondo politiche discrezionali non censurabili in questa sede;

che, infine, quanto al profilo relativo al momento preso a riferimento per la tassazione retroattiva, e cioè quello dell'atto o provvedimento, cui si collega l'erogazione dell'indennizzo, il criterio seguito dal legislatore si giustifica per il fatto che tale atto costituisce il presupposto giuridico per la realizzazione della plusvalenza, oggetto di imposizione quale palese espressione di capacità economica ed incisa secondo la regola che, a ben vedere, disciplina anche l'imposizione a regime;

che l'ordinanza in epigrafe non introduce profili o argomentazioni nuovi rispetto a quelli già esaminati dalla Corte o, comunque, suscettibili di indurre a diverso avviso, sicché le questioni vanno dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzione dei Centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano, con l'ordinanza in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 aprile 1996.