Sentenza n. 375 del 1995

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SENTENZA N. 375

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI 

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Commissario generale del Governo italiano per il territorio di Trieste 24 marzo 1956, n. 81 (Norme per la elezione dei consigli provinciali), promosso con ordinanza emessa il 14 ottobre 1994 dal Tribunale amministrativo regionale del Friuli- Venezia Giulia sul ricorso proposto da Gruden Andrej ed altri contro il Ministero dell'interno ed altri, iscritta al n. 801 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 giugno 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1. -- Con ordinanza del 14 ottobre 1994, il Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del decreto del Commissario generale del Governo italiano per il territorio di Trieste 24 marzo 1956, n. 81 (Norme per la elezione dei consigli provinciali), "nella parte in cui, nell'estendere a detto territorio la legge n. 122 del 1951, ha fatto eccezione per l'art. 9, sostituito con diversa disposizione che, in materia di definizione della tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali per le elezioni del Consiglio provinciale e della loro distribuzione nell'ambito provinciale, non faceva salva la garanzia, di cui all'art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51, dell'assegnazione di non più della metà dei collegi a un singolo comune, riservando a sè ogni potere in materia".

2. -- Il T.A.R. remittente premette in fatto quanto segue.

I ricorrenti, quali elettori dei Comuni di Sgonico, Duino Aurisina, Monrupino, S. Dorligo della Valle e Muggia, in Provincia di Trieste, nonchè quali appartenenti alla locale minoranza slovena, impugnano il decreto del Prefetto della Provincia di Trieste del 22 settembre 1994 di convocazione dei comizi elettorali per la rinnovazione del Consiglio provinciale di Trieste e per l'elezione di retta del Presidente della Provincia di Trieste, nonchè, fra l'altro, il decreto del Commissario del Governo nella Regione FriuliVenezia Giulia del 20 novembre 1989, con cui è stata, da ultimo, modificata la tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali per l'elezione del Consiglio provinciale di Trieste, in quanto fanno applicazione del citato decreto del Commissario generale del Governo per il territorio di Trieste n. 81 del 24 marzo 1956: affermano i ricorrenti che le elezioni provinciali, se si svolgessero in base agli atti impugnati, e quindi secondo le disposizioni del decreto stesso, darebbero origine ad organi in cui la rappresentanza dei comuni diversi dal capoluogo sarebbe di gran lunga inferiore a quella che essi potrebbero legittimamente assicurarsi in base alla legislazione nazionale.

Sostengono, infatti, che il citato atto commissariale, non recependo, nell'ordinamento del territorio, poi divenuto Provincia di Trieste, l'art. 9, secondo comma, della legge n. 122 del 1951 (che recita: "A nessun Comune possono essere assegnati più della metà dei collegi spettanti alla _Provincia") e attribuendo il potere di fissazione della tabella delle circoscrizioni dei collegi al medesimo Commissario, ha consentito, a mezzo dei decreti commissariali che, sempre in virtù del predetto atto, hanno definito, di volta in volta, detta tabella, di ridurre ai minimi termini la rappresentanza dei comuni minori nel Consiglio provinciale (l'ultimo di tali decreti, pur essi impugnati, assegnava loro tre collegi su ventiquattro), di talchè questo si è trasformato, nella sostanza, in un doppione del Consiglio comunale di Trieste.

I ricorrenti sollevano poi questione di legittimità costituzionale del citato decreto del Commissario generale del Governo del 24 marzo 1956 per violazione degli artt. 77, 3 e 6 della Costituzione e chiedono, altresì, la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti amministrativi impugnati.

Con ordinanza resa nella camera di consiglio del 14 ottobre 1994, il Tribunale amministrativo remittente ha disposto la sospensione provvisoria dei provvedimenti impugnati fino alla restituzione degli atti da parte di questa Corte, cui seguirà la decisione definitiva sull'istanza di sospensiva.

3. -- Ciò posto, il Collegio remittente ritiene, in primo luogo, di riconoscere il carattere legislativo dell'atto commissariale, in virtù dell'esplicita delega, contenuta nel d.P.R. 27 ottobre 1954, al Commissario predetto ad esercitare i compiti già spettanti al cessato Governo militare alleato, fra cui era indubbiamente compresa l'emanazione di atti normativi, sia pure con efficacia ovviamente limitata al territorio amministrato, ed in particolare il potere di estendere, con o senza modificazioni, allo stesso territorio la legislazione italiana, di cui appare aver fatto uso nel caso in esame.

In ordine, poi, alla questione dell'attuale vigenza dell'art. 9, secondo comma, della legge n. 122 del 1951, osserva il remittente che è lo stesso art. 9 della legge n. 81 del 1993 a disporre, al primo comma, che "l'elezione dei consiglieri provinciali è effettuata sulla base di collegi uninominali e secondo le disposizioni dettate dalla legge 8 marzo 1951, n. 122 e successive modificazioni", in quanto compatibili con il precedente art. 8 e con gli altri commi del medesimo art. 9.

Tali disposizioni, ed in particolare i commi dal terzo all'ottavo dell'art. 9, introducono rilevanti novità sulla ripartizione dei seggi fra i vari gruppi di candidati e le loro coalizioni, ma non sulla ripartizione delle circoscrizioni dei collegi uninominali, che permangono, fra comune capoluogo e comuni minori: ne rimane confermata la perdurante vigenza dell'art. 9, secondo comma, della legge n. 122 del 1951.

Da ciò consegue che la sua mancata estensione al territorio (ora Provincia) di Trieste, ad opera del decreto commissariale in esame, continua, pur nelle rilevanti novità introdotte dalla recente legislazione, a porre in posizione deteriore, rispetto a quella nazionale, i locali comuni minori.

4. -- Osserva, a questo punto, il giudice a quo che fra le questioni sollevate dai ricorrenti alcune appaiono manifestamente infondate.

In primo luogo lo è la contestazione della legittimità costituzionale del potere del Commissario generale del Governo di modificare le disposizioni legislative italiane, estese al territorio di Trieste, in quanto sprovvisto di poteri legislativi legittimamente delegati al Governo stesso ex art. 77 della Costituzione.

Invero, l'art. 70 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, con cui è stato approvato lo Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, ha infatti non solo trasferito pro futuro alla Regione stessa, al Prefetto della Provincia di Trieste e al Commissario del Governo nella Regione Friuli-Venezia Giulia i poteri già di competenza del Commissario generale, ma ha altresì inteso convalidare retroattivamente l'esercizio di poteri legislativi da parte di detto Commissario (cfr. la sentenza di questa Corte n. 53 del 1964).

Del pari manifestamente infondata appare al remittente la dedotta violazione dell'art. 6 della Costituzione, interpretato come disposizione onnicomprensiva di tutela delle minoranze linguistiche e, nel caso, della minoranza slovena. La disposizione in questione, invece, impegna e autorizza la Repubblica, nelle sue varie articolazioni, ad emanare "apposite norme", di carattere pertanto legislativo o regolamentare, a seconda della rispettiva competenza, a tutela delle anzidette minoranze ed è, pertanto, estranea alla fattispecie controversa.

5. -- Non è, invece, ad avviso del Collegio remittente, manifestamente infondata la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo, già più volte sottolineato, che il decreto n. 81 del 24 marzo 1956 del Commissario generale del Governo italiano per il territorio di Trieste, non estendendo integralmente a detto territorio l'art. 9 della legge n. 122 del 1951, ma omettendo di recepirne il secondo comma e riservando a sè di stabilire la tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali per le elezioni provinciali, abbia, senza plausibile giustificazione, differenziato in peius la condizione dei comuni dell'attuale Provincia di Trieste diversi dal capoluogo, e per essi quella degli interessi dei loro cittadini elettori, rispetto a quella di tutti i comuni minori del restante territorio nazionale, nell'elezione del Consiglio provinciale.

L'art. 9, secondo comma, della legge n. 122 del 1951 vincola l'autorità amministrativa che, ai sensi del successivo quarto comma, sarà chiamata a predisporre la tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali, a non assegnarne a nessun comune, per quanto popoloso, più della metà di quelli assegnati alla provincia. Nei confronti di detto comune, ordinariamente il capoluogo, quelli minori godono perciò di un numero di collegi proporzionalmente più ampio rispetto alla popolazione residente, formati, pertanto, da un numero inferiore di elettori.

Sotto entrambi i profili, dal momento che la cifra individuale ottenuta dai candidati alle elezioni provinciali è determinata dal rapportare in percentuale, rispetto al totale dei voti validi espressi nel collegio, i voti validi ottenuti da ciascun candidato, tale disposizione avvantaggia quelli che si presentano nei comuni minori.

Attraverso tali meccanismi -- prosegue il giudice a quo -- la norma, a parità delle altre condizioni (appartenenza dei candidati all'una piuttosto che all'altra lista, sistema di votazione, ecc.), continua a corrispondere alla sua ratio, che è, come giustamente sostengono i ricorrenti, quella di garantire, almeno tendenzialmente, nel consiglio provinciale una adeguata rappresentanza dei comuni meno popolosi, affinchè esso non sia pressochè esclusiva espressione del comune, solitamente il capoluogo, con maggior numero di elettori.

In seguito alle modifiche all'art. 9 introdotte dal Commissario generale con il decreto di che trattasi, l'elezione del Consiglio provinciale di Trieste avviene in condizioni del tutto diverse, dal momento che ai comuni minori è stato assegnato un numero di gran lunga inferiore alla metà dei collegi (dal 1983, 3 su 24) e che il Consiglio stesso risulta, senza variazioni significative da un'elezione all'altra, in grandissima prevalenza composto da consiglieri eletti nel Comune di Trieste.

In ordine alle cause di tale indubbia differenza, il Collegio remittente osserva che la tesi secondo cui essa sarebbe giustificata dalla anomala sproporzione che, nella Provincia di Trieste, si sarebbe verificata (dopo le mutilazioni territoriali conseguenti agli eventi bellici) fra la popolazione del capoluogo, pari all'85/86% del totale, e quella degli altri comuni, non appare persuasiva.

Non è dato invero comprendere perchè solo nella Provincia di Trieste si dovrebbe tendere a con formare il consiglio provinciale a criteri che, nel riparto dei collegi uninominali fra i vari comuni, possono essere detti di rappresentanza proporzionale, quando la legislazione nazionale adotta il criterio opposto, cioè quello di una rappresentanza tendenzialmente più che proporzionale dei comuni minori.

Le parti ricorrenti hanno documentato che anche in altre province si verifica una significativa sproporzione fra la popolazione del capoluogo e quella degli altri comuni e, nonostante ciò, al primo viene attribuita non più della metà dei collegi. Particolarmente significativi gli esempi di Genova, che con il 72% della popolazione si vede assegnati 18 collegi su 36, e di Roma, che con quasi il 75% della popolazione ha 22 collegi su 45.

È vero -- prosegue il giudice a quo -- che nessuno di questi capoluoghi raggiunge la percentuale di Trieste, ma non si vede dove possa essere individuato, ed in base a quale disposizione, il limite a partire dal quale la deroga alla normativa valida per tutti gli altri è autorizzata e ritenuta non discriminatoria.

Pur nella differenza, peraltro non significativa, delle percentuali, il caso di Trieste non si differenzia pertanto da quello di altri capoluoghi, in cui si concentra la gran parte della popolazione della provincia, in modo tale da far ritenere che si tratti di casi diversi, giustamente trattati diversamente dalla legge.

Osserva, infine, il remittente che la novità sostanziale dell'atto commissariale sta nell'aver totalmente rimesso, nel territorio di Trieste, all'arbitrio dell'autorità amministrativa la decisione sulla ripartizione dei collegi fra i comuni. Ciò significa che il fatto di aver riservato soltanto ad un organo, espressione diretta del Governo, i poteri in così delicato settore, pertinente alla materia elettorale, depone indubbiamente a favore dell'interpretazione dei ricorrenti, secondo cui ragioni di carattere etnico-politico, piuttosto che esigenze di buon andamento amministrativo, stiano alla base della difforme legislazione esistente a Trieste, rispetto al resto del territorio nazionale.

6. -- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale chiede che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

Osserva l'Avvocatura dello Stato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la osservanza del precetto fondamentale dell'eguaglianza non esclude che il legislatore possa disciplinare, con norme diverse, situazioni che egli considera differenziate. Ora, è di tutta evidenza che la situazione esistente nella Provincia di Trieste si differenzia sostanzialmente da quella delle altre province italiane, giustificando, quindi, un diverso regime giuridico nella disciplina della definizione dei limiti territoriali dei collegi uninominali. Infatti, sulla base dei risultati ufficiali dell'ultimo censimento generale della popolazione, attestati nel d.P.C.M. 14 giugno 1993, la Provincia di Trieste registra n. 261.825 abitanti, di cui n. 231.100 residenti nel capoluogo e n. 30.725 residenti nei rimanenti comuni.

Ove venisse applicata integralmente la disposizione del più volte citato art. 9 della legge n. 122 del 1951 (e, quindi, venisse assegnata la metà dei 24 collegi della provincia ai Comuni di Duino Aurisina, Monrupino, Muggia, San Dorligo della Valle e Sgonico), si otterrebbe che i collegi endourbani del capoluogo avrebbero una popolazione media di 19.258 abitanti, a fronte di una popolazione media pari ai 2.560 abitanti degli altri collegi provinciali.

Ed in tale ipotesi -- prosegue l'Avvocatura -- dubbi di legittimità -- ben più seri di quelli prospettati dal giudice a quo -- si porrebbero sotto il profilo specifico della violazione del principio dell'eguaglianza del voto consacrato nell'art. 48 della Costituzione.

Ma quand'anche venissero superate tali decisive considerazioni e si facesse applicazione, nella Provincia di Trieste, dei criteri e dei principi generali che, in atto, sovrintendono alla formazione dei collegi uninominali nelle altre province italiane, non verrebbero comunque superate (ma, anzi, vieppiù aggravate), ad avviso dell'Avvocatura, le eccezioni che il tribunale solleva in ordine alla minor tutela accordata alla rappresentanza dei comuni, nonchè alla salvaguardia della minoranza linguistica slovena, che costituisce la popolazione prevalente dei comuni in questione.

Ed infatti, posto che, nell'intera provincia, la popolazione del collegio medio (determinato dividendo il numero degli abitanti della provincia per il numero complessivo dei collegi) verrebbe ad attestarsi su circa 10.909 abitanti, solamente 130.908 cittadini di Trieste verrebbero ad essere ricompresi nei 12 collegi endourbani, mentre la restante popolazione (pari a 100.192 abitanti) non potrebbe che necessariamente essere inserita negli altri 12 collegi comprendenti anche i comuni minori, che, giova ribadirlo, registrano una popolazione complessiva di 30.725 abitanti.

Non sembra quindi dubitabile -- conclude il Presidente del Consiglio -- che la mancata estensione al territorio della Provincia di Trieste della norma del secondo comma dell'art. 9 della legge 8 marzo 1951, n. 122 trova ampia ed obiettiva giustificazione nella notevole sproporzione che vi era e tuttora vi è fra la popolazione del capoluogo e quella dei comuni del circondario.

Considerato in diritto

1. -- Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del decreto del Commissario generale del Governo italiano per il territorio di Trieste 24 marzo 1956, n. 81 (Norme per la elezione dei consigli provinciali), "nella parte in cui, nell'estendere a detto territorio la legge n. 122 del 1951, ha fatto eccezione per l'art. 9, sostituito con diversa disposizione che, in materia di definizione della tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali per le elezioni del consiglio provinciale e della loro distribuzione nell'ambito provinciale, non faceva salva la garanzia, di cui all'art. 9, secondo comma, della legge n. 122/51, dell'assegnazione di non più della metà dei collegi a un singolo comune, riservando a sè ogni potere in materia".

2. -- Il Collegio remittente premette, per quanto qui maggiormente interessa, che deve riconoscersi il carattere legislativo dell'atto commissariale impugnato, in virtù del d.P.R. 27 ottobre 1954, con il quale furono attribuiti al Commissario predetto (fra l'altro) i poteri già esercitati nel territorio di Trieste dal cessato Governo militare alleato: tra questi era indubbiamente compreso quello di emanare atti legislativi, ed in particolare il potere di estendere, con o senza modificazioni, al territorio medesimo la legislazione italiana.

Aggiunge, altresì, il remittente che non è contestabile (e va, quindi, ritenuta manifestamente infondata la relativa questione sollevata dai ricorrenti nel giudizio a quo) la legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 77 della Costituzione (che disciplina l'esercizio di poteri legislativi da parte del Governo), del decreto commissariale impugnato, in quanto l'art. 70 dello Statuto speciale della Regione FriuliVenezia Giulia (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1), come questa Corte ha affermato nella sentenza n. 53 del 1964, ha inteso convalidare retroattivamente l'esercizio di poteri legislativi da parte del Commissario generale.

Tutto ciò premesso, il giudice remittente ritiene che il decreto impugnato violi l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui omette di recepire il secondo comma dell'art. 9 della legge 8 marzo 1951, n. 122, il quale vincola l'autorità amministrativa, chiamata a predisporre la tabella delle circoscrizioni dei collegi uninominali, a non assegnarne a nessun comune, per quanto popoloso, più della metà di quelli spettanti alla provincia. La omissione di tale clausola di garanzia, operante nel restante territorio nazionale e tendente ad attribuire ai comuni meno popolosi una adeguata rappresentanza nel consiglio provinciale affinchè questo non sia pressochè esclusiva espressione del comune più grande (di solito il capoluogo), determina, ad avviso del giudice a quo, senza plausibile giustificazione, un trattamento deteriore, in materia di elezione del consiglio provinciale, dei comuni dell'attuale Provincia di Trieste diversi dal capoluogo -- e per essi degli interessi dei loro cittadini elettori -- rispetto ai comuni minori del restante territorio nazionale.

3.1. -- La questione è fondata.

L'art. 9, secondo comma, della legge 8 marzo 1951, n. 122 così dispone: "A nessun Comune possono essere assegnati più della metà dei collegi spettanti alla Provincia".

La norma (la quale, come ha evidenziato anche il giudice a quo, non è stata toccata dalla recente normativa elettorale dettata con la legge 25 marzo 1993, n. 81) venne introdotta nel testo dell'art. 9 a seguito dell'approvazione di un emendamento, accettato dal Governo e dalla Commissione, nella seduta della Camera dei deputati dell'11 gennaio 1951. Come risulta dagli atti parlamentari, nell'illustrare l'emendamento, il proponente sottolineò che esso mirava a soddisfare l'esigenza "che ogni zona della provincia, nella quale si possa individuare una determinata, specifica caratteristica, una determinata, specifica cerchia d'interessi, abbia il suo rappresentante, anche se la sua popolazione non giunga al livello risultante in base a criteri rigorosamente matematici"; la maggiore rappresentanza che in questo modo venivano ad avere i comuni periferici rispetto al capoluogo fu giustificata "dalla necessità di far sì che il consiglio provinciale non costituisca una specie di riproduzione, in grande o in piccolo, secondo i punti di vista, del consiglio comunale".

La norma mira, in sostanza, ad assicurare, attraverso l'introduzione del menzionato correttivo, un "peso" più adeguato, in termini di rappresentatività nel consiglio provinciale -- in coerenza con i fini istituzionali di tale organo --, agli interessi dei comuni minori in quei non numerosi casi in cui la popolazione del capoluogo oltrepassa la metà di quella dell'intera provincia.

3.2. -- Non occorre in questa sede valutare se la mancata estensione, ad opera del decreto impugnato, della norma anzidetta al territorio di Trieste potesse, all'epoca, trovare qualche ragione giustificativa a causa della particolare situazione storico-politica del tempo e della conseguente speciale condizione giuridica in cui detto territorio venne a trovarsi subito dopo gli accordi di Londra del 1954.

Quel che si deve affermare con certezza è che tali ipotetiche motivazioni vennero comunque ben presto a cadere: non è pertanto ravvisabile alcuna razionale giustificazione alla inapplicabilità, alla disciplina dell'elezione del Consiglio provinciale di Trieste, della norma di garanzia per i comuni minori dettata dal citato art. 9, secondo comma, della legge n. 122 del 1951, non potendo, d'altra parte, nell'ambito della soluzione adottata dal legislatore, assumere rilievo l'entità, più o meno percentualmente elevata, della popolazione del capoluogo in raffronto a quella dell'intera provincia.

Contrasta, in conclusione, con il principio di eguaglianza la diversa disciplina prevista per l'elezione del Consiglio provinciale di Trieste rispetto alla normativa generale vigente in materia e il conseguente trattamento deteriore riservato dal decreto commissariale impugnato ai comuni minori di detta Provincia -- e quindi ai cittadini elettori dei comuni medesimi -- in raffronto a quello ad essi assicurato nel restante territorio nazionale (va, al riguardo, rilevato che anche la Regione siciliana, dotata di potestà legislativa esclusiva in materia, ha riprodotto la menzionata clausola di salvaguardia: cfr. art. 1, ultimo comma, della legge regionale 9 maggio 1969, n. 14).

Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimità costituzionale del decreto impugnato nella parte in cui non prevede che, per l'elezione del Consiglio provinciale di Trieste, si applichi l'art. 9, secondo comma, della legge 8 marzo 1951, n. 122, secondo cui "a nessun comune possono essere assegnati più della metà dei collegi spettanti alla provincia".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale del decreto del Commissario generale del Governo italiano per il territorio di Trieste 24 marzo 1956, n. 81 (Norme per la elezione dei consigli provinciali), nella parte in cui non prevede che si applichi l'art. 9, secondo comma, della legge 8 marzo 1951, n. 122.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 25 luglio 1995.