Ordinanza n. 167 del 1995

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ORDINANZA N.167

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma, e 3 della legge della Regione Lombardia 7 giugno 1980, n. 93 (Norme in materia di edificazione nelle zone agricole), promosso con ordinanza emessa il 27 maggio 1993 dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia su ricorso proposto da Cantù Ercole e altri contro il Comune di Vimercate e altri, iscritta al n. 428 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento della Regione Lombardia; udito nella camera di consiglio del 20 aprile 1995 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.

RITENUTO che, nel corso di un giudizio promosso da Ercole Cantù e altri per ottenere l'annullamento di una concessione edilizia rilasciata dal Comune di Vimercate all'associazione "Centro ippico La Corte" per la costruzione di box per cavalli, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 5, 117 e 128 della Costituzione, nei confronti degli artt. 2, primo comma, e 3 della legge della Regione Lombardia 7 giugno 1980, n. 93 (Norme in materia di edificazione nelle zone agricole), nella parte in cui la realizzazione di opere non destinate alla residenza è subordinata al possesso di particolari requisiti soggettivi (qualità di imprenditore agricolo o di figure assimilate) e all'accertamento di un collegamento funzionale delle opere stesse con l'attività di agricoltura; che, secondo il giudice a quo, la rilevanza della questione è dimostrata dal rilievo che egli dovrebbe annullare il rilascio della concessione in esame, a meno che questa Corte non dichiari l'illegittimità costituzionale delle disposizioni contestate; che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che le disposizioni impugnate, essendo dirette a regolamentare la concreta utilizzazione delle opere (jus utendi), quale emerge, non già dalle caratteristiche strutturali delle opere, ma da fattori irrilevanti sotto il profilo urbanistico, oltre a esorbitare dalla materia "urbanistica", attribuita alla competenza legislativa regionale, violano, per un verso, l'art. 3 e, per un altro, l'art. 117 della Costituzione, per il fatto che, mentre discriminano irragionevolmente la posizione di chi svolge l'attività agricola in modo professionale o principale rispetto a quella di chi non l'esercita, ledono i principi desumibili dalle norme statali (in particolare: l'art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e gli artt. 7, 8 e 25 della legge 28 febbraio 1985, n. 47), alla luce della giurisprudenza costituzionale che afferma l'irrilevanza, a fini urbanistici, delle concrete modalità di utilizzazione dell'immobile; che, sempre secondo il giudice a quo, le disposizioni impugnate, predeterminando rigidamente gli strumenti urbanistici e vietando ai comuni di consentire interventi non contemplati dalla legge regionale, violano altresì gli artt. 5 e 128 della Costituzione; che è intervenuta in giudizio la Regione Lombardia per chiedere che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate; che, secondo la Regione, le disposizioni impugnate, introducendo un'eccezione alla regola generale di divieto dell'utilizzazione edilizia dei territori agricoli ad esclusivo beneficio di una limitata tipologia di opere, previa richiesta di una particolare categoria di soggetti operanti nell'ambito di una realtà imprenditoriale agricola, contengono una disciplina basata sulla distinzione oggettiva tra le opere, considerate nelle loro caratteristiche tipologiche e nel loro rapporto con il territorio, come si conviene a una disciplina legislativa in materia di urbanistica; che, sempre secondo la Regione, gli artt. 3 e 117 della Costituzione non sembrano affatto violati dalle disposizioni impugnate, sia perchè il riferimento, in queste, ai requisiti soggettivi rappresenta un necessario strumento di selezione degli interventi in considerazione della ratio della legge, diretta a salvaguardare lo spazio da destinarsi all'agricoltura di fronte alla crescente presenza di strutture edilizie residenziali, sia perchè il diverso trattamento, nell'ambito dello stesso tipo di zona, tra chi è imprenditore agricolo e chi non lo è trova riscontro in numerose leggi statali e, in particolare, nell'art. 9 della legge n. 10 del 1977; che, infine, ad avviso della Regione, le pretese violazioni degli artt. 5 e 128 della Costituzione, oltrechè manifestamente infondate, poichè è evidente che le leggi urbanistiche hanno proprio l'effetto di non consentire ai comuni gli interventi non contemplati dalle leggi stesse, sono inammissibili per assoluto difetto di motivazione, come pure inammissibili appaiono, in subordine, tutte le censure, essendo dirette a un indebito sindacato sulle scelte discrezionali del legislatore regionale; che, in prossimità della camera di consiglio, la Regione Lombardia ha depositato un'ulteriore memoria, nella quale si ribadiscono gli argomenti a favore della richiesta di inammissibilità o di infondatezza delle questioni sollevate.

CONSIDERATO che gli artt. 2, primo comma, e 3 della legge della Regione Lombardia n. 93 del 1980, oggetto di contestazione da parte del giudice a quo, sono frutto di un'insidacabile scelta del legislatore regionale, diretta a limitare l'utilizzazione edilizia dei territori agricoli e a frenare il processo di erosione dello spazio destinato alle colture, scelta che ha il proprio fondamento nell'art. 44 della Costituzione, il quale, "al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali", facoltizza il legislatore, anche regionale, a predisporre aiuti e sostegni all'impresa agricola e alla proprietà coltivatrice; che, rispetto a tale ratio legislativa, non può essere affatto considerata un'irragionevole discriminazione, lesiva dell'art. 3 della Costituzione, la subordinazione del rilascio della concessione edilizia sia al possesso della qualità di imprenditore agricolo o di altra figura assimilata, sia all'accertamento di un collegamento funzionale dell'opera con l'attività agricola, essendo elementi vòlti a denotare la destinazione effettiva delle opere alla conduzione del fondo o, in genere, alla attività di agricoltura; che, inoltre, del pari manifestamente infondata risulta la pretesa violazione dell'art. 117 della Costituzione sotto il profilo della lesione dei principi fondamentali desumibili dalle leggi statali in materia urbanistica, poichè, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (v. ordinanze nn. 714 e 709 del 1988), mentre rientra nei poteri del legislatore in tema di disciplina urbanistica sottoporre a un trattamento differenziato tanto le zone agricole rispetto ad altre zone, quanto, all'interno della stessa zona, la posizione degli imprenditori agricoli o di altre figure assimilate rispetto a quella di soggetti diversi, nello stesso tempo l'indicata differenziazione è saldamente stabilita in disposizioni di legge statale, segnatamente nell'art. 9 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, recante <Norme per la edificabilità dei suoli> (a nulla rilevando, invece, gli altri articoli di legge citati dal giudice a quo); che, infine, la previsione in una legge regionale dei requisiti, soggettivi e oggettivi, per il rilascio di una concessione edilizia in zona agricola non può essere minimamente considerata lesiva dei principi vòlti a garantire l'autonomia comunale, ai sensi degli artt. 5 e 128 della Costituzione; che, pertanto, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice a quo devono esser dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma, e 3 della legge della Regione Lombardia 7 giugno 1980, n. 93 (Norme in materia di edificabilità nelle zone agricole), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 5, 117 e 128 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 16/05/95.