Sentenza n. 317 del 1994

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SENTENZA N. 317

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt.4, quarto comma, 5, sesto, ottavo ed undicesimo comma, 13, primo comma, lettere a) e d), 18 e 28, della legge 28 gennaio 1994, n.84, recante: "Riordino della legislazione in materia portuale", pro mosso con ricorso della Regione Emilia- Romagna, notificato il 7 marzo 1994, depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 26 del registro ricorsi 1994.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1994 il Giudice relatore Gabriele Pescatore

uditi l'avv. Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l'avv. dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio del ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. Con ricorso notificato il 7 marzo 1994 e depositato il 15 marzo 1994, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato, in riferimento agli artt.117, 118, 119 e 81 della Costituzione, alcune disposizioni della legge 28 gennaio 1994, n. 84, recante "Riordino della legislazione in materia portuale".

In particolare, la ricorrente ha censurato gli artt. 5, commi sesto ed ottavo, 13, comma primo, lett. d) e 28, della predetta legge, rilevando che essi addossano alla Regione rilevanti oneri sia di realizzazione di opere portuali sia gestionali senza statuire in suo favore alcuna entrata corrispondente nè con riferimento ai fari, che, alla stregua del comma sesto dello stesso art.5 - che sostituisce la individuazione delle opere statali di cui al previgente testo dell'art.88 del d.P.R. n. 616 del 1977 - rientrano ora nella competenza regionale, nè avuto riguardo alle opere di grande infrastrutturazione nei porti di cui alla categoria II, classe III, che il citato art. 5, comma ottavo, pone direttamente ed in termini prescrittivi a carico della Regione.

I medesimi rilievi riguardano l'art. 13, comma primo, lett. d), della legge n. 84 del 1994, ove si elencano, tra le entrate delle autorità portuali, i "contributi delle Regioni". Tale disposizione, ad avviso della ricorrente, sarebbe legittima solo se dovesse intendersi come di carattere meramente facoltizzante. Ma la soppressione, nel testo definitivo della legge, della precisazione in tal senso contenuta originariamente nella disposizione in esame, induce, si legge nel ricorso, a "temere" che essa sia intesa nella prassi come rivolta ad imporre alla Regione la corresponsione di contributi, con conseguente violazione del principio dell'autonomia finanziaria regionale.

In tale contesto, sarebbero censurabili anche le disposizioni contenute nell'art. 28, ed in particolare nei commi quarto, quinto e sesto di esso, che prevedono l'acquisizione al bilancio dello Stato di proventi che costituiscono corrispettivi di attività portuali in loco, depauperando ingiustificatamente le economie locali.

Altro profilo d'illegittimità costituzionale la ricorrente ravvisa nell'art.4, comma quarto, della legge n. 84 del 1994, che attribuisce al solo Ministro dei trasporti e della navigazione la competenza a determinare, con proprio decreto, "le caratteristiche dimensionali, tipologiche e funzionali dei porti di cui alla categoria II, classi I, II e III e l'appartenenza di ogni scalo alle classi medesime", mentre il ruolo al riguardo svolto dalle Regioni si risolve nel rilascio di un parere.

Tale procedura determinerebbe una lesione delle prerogative regionali, ove si tenga conto che tra i porti considerati vi sono quelli che costituiscono opere pubbliche di interesse regionale, ai sensi dell'art, 5, comma settimo, della legge in questione, e che tali porti hanno spesso essenzialmente funzioni di traffico turistico, o collegate allo svolgimento della pesca, cioè ad attività ricadenti nei casi di competenza regionale.

Viene, altresì, denunziato l'art. 5, comma undicesimo, della stessa legge n. 84 del 1994, che sottopone gli interventi da attuarsi da parte delle Regioni a "direttive di coordinamento" ministeriali, e non, come si sarebbe dovuto se mai ve ne fosse stata la necessità, alla tipica funzione governativa di indirizzo e coordinamento, e ciò senza che sia neanche definito lo scopo o l'aspetto specifico di tali "direttive" in contrasto con il principio di legalità sostanziale degli atti di indirizzo.

La Regione Emilia-Romagna impugna, ancora, l'art. 18, in connessione con l'art. 13, comma primo lett. a), per il mancato riconoscimento di competenze regionali in ordine alla concessione di aree e banchine destinate ad attività portuali. Infatti, il citato art. 18 attribuisce tali poteri concessori alle autorità portuali o a quelle marittime.

Secondo la ricorrente, le concessioni in questione interferirebbero con le competenze regionali sotto il profilo dei poteri sia in materia di opere pubbliche sia di turismo.

Quanto al primo aspetto, si sottolinea che le concessioni riguardano spesso anche la costruzione di opere, e che il mancato riconoscimento del potere concessorio alle Regioni comporta anche il difetto di una risorsa in qualche modo in grado di riequilibrare gli oneri collegati alle opere pubbliche.

Per quanto riguarda l'aspetto turistico, si richiama l'art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977, che prevede la delega alle Regioni delle funzioni amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio lacuale e fluviale, quando la utilizzazione prevista abbia finalità turistiche e ricreative.

Tale delega, rimasta a lungo inattuata, riceve conferma dal d.l. n. 400 del 1993, conv., con modif., nella legge n. 494 del 1993, che, all'art. 6, prevede che essa diventi comunque operativa qualora entro un anno non siano effettuati quegli adempimenti la cui inosservanza l'aveva fino ad allora paralizzata, e che da tale termine le regioni provvedono al rilascio ed al rinnovo delle concessioni demaniali marittime.

In tale quadro, l'art. 13, comma primo, lett. a), della legge n. 84 del 1994, assegnando alle autorità portuali anche il compito di determinare canoni di concessione demaniale per scopi turistico-ricreativi e di concessione di aree destinate a porti turistici, invaderebbe la materia disciplinata dalla predetta normativa e sottrarrebbe alle Regioni risorse direttamente connesse alle competenze ad esse costituzionalmente attribuite in materia di turismo.

Infine, viene impugnato l'art. 28, comma settimo, in collegamento con il comma primo.

Le disposizioni in questione prevedono un meccanismo di assunzione di oneri a carico dello Stato, cui si collega l'acquisizione da parte di questo di una entrata, altrimenti del porto, costituente il 50 per cento del gettito della tassa sulle merci sbarcate, che, destinata a ripianare situazioni di squilibrio gestionale e finanziario, verrebbe applicata in modo indiscriminato a tutte le strutture portuali, ivi comprese quelle, come il porto di Ravenna, in equilibrio economico.

Quanto meno, secondo la ricorrente, si sarebbe dovuta rimettere alla valutazione degli interessati la scelta tra l'assunzione dei mutui e degli altri oneri che il comma primo dell'art. 28 pone a carico dello Stato, con la conseguente applicazione del meccanismo di cui al comma settimo dello stesso art. 28, o una situazione di autonomia imprenditoriale.

2. Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto del ricorso, svolgendo controdeduzioni in ordine a ciascuno dei motivi di ricorso.

Con riferimento al primo, ha osservato, per ciò che riguarda gli oneri relativi ai fari, che questi, in quanto opere che interessano la sicurezza della navigazione, da qualificare di preminente interesse nazionale, rimarrebbero di competenza statale, mentre alla Regione spetterebbe solo la realizzazione di apparecchiature minori, che costituiscono pertinenza di opere già qualificate di competenza regionale.

Quanto alle opere di grande infrastrutturazione, i relativi oneri non sarebbero complessivamente maggiori rispetto a quelli già previsti dalla normativa previgente. Al contrario, l'impegno finanziario a carico dello Stato si estende, oltre che ai porti della categoria II, classe I, anche a quelli della classe II, già di competenza regionale ai sensi dell'art. 88, n.1, d.P.R. n. 616 del 1977, rimanendo integralmente a carico delle Regioni solo l'onere delle opere di grande infrastrutturazione nei porti della classe III.

Nè la elencazione dell'art. 13, primo comma, lett. d), che comprende, tra le entrate delle autorità portuali, i contributi delle Regioni, potrebbe intendersi altrimenti che come una generica previsione riguardante le possibili risorse finanziarie, ben diversa da quelle di cui alle lettere a), b) e c), che si riferirebbero, invece, ad un gettito determinato o determinabile.

La disposizione in questione avrebbe, cioé, una portata semplicemente facoltizzante.

Infondate sarebbero anche le censure riguardanti l'art. 28, e specificamente i suoi commi quarto, quinto e sesto, poichè i proventi, da acquisire al bilancio dello Stato, cui vi si fa riferimento, avrebbero natura tributaria e non costituirebbero, pertanto, il corrispettivo di attività portuali svolte in loco.

Del resto, gli oneri di cui si lamenta l'attribuzione alle Regioni sarebbero la conseguenza del riconoscimento in capo alle stesse di competenze istituzionali nel settore portuale.

Quanto all'asserita illegittimità del potere, attribuito dall'art. 4, comma quarto, al Ministro dei trasporti e della navigazione, di determinare con proprio decreto le caratteristiche dimensiona li, tipologiche e funzionali anche dei porti meramente turistici o di pesca e di individuare gli scali propri di ogni categoria, l'Avvocatura rileva, per un verso, che i criteri in base ai quali sono individuate le caratteristiche dei porti ascrivibili alle tre classi della categoria II hanno portata oggettiva e contenuto univoco, per l'altro, che la partecipazione delle Regioni al procedimento di classificazione sarebbe prevista in termini tali da garantire il rispetto delle relative competenze in materia di opere pubbliche.

L'Avvocatura rileva, poi, che il traffico turistico e il diporto nautico e la pesca marittima non ricadono nella competenza regionale, limitata alla navigazione ed alla pesca nelle acque interne, oltre che ai porti lacuali.

In ordine alla impugnativa della norma di cui all'art. 5, comma undicesimo, che sottopone gli interventi da attuarsi dalle Regioni alle "direttive di coordinamento" del Ministro dei trasporti e della navigazione, si rileva che tale coordinamento sarebbe correlato al potere attribuito alle Regioni, al comune interessato e all'autorità portuale di intervenire con proprie risorse, in concorso o in sostituzione dello Stato, per la realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione dei porti di cui alla categoria II, classi I e II (art. 5, comma ottavo), e sarebbe inteso a prevenire eventuali duplicazioni di impegni.

Quanto all'asserita illegittimità dell'art. 18, in connessione con l'art. 13, comma primo lett. a), l'Avvocatura obietta che appartengono esclusivamente allo Stato le competenze in materia di gestione del demanio e dei porti marittimi, in cui rientrano le concessioni di aree e banchine, di cui all'art. 18.

Nè avrebbe pregio il richiamo all'art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977, che prevede la delega alle Regioni di funzioni amministrative, in quanto il predetto art. 18 si riferisce ad utilizzazioni di ambiti portuali per servizi commerciali, e non turistici o ricreativi, ai quali, invece, si riferisce la citata delega.

Infine, in ordine ai lamentati profili di illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma settimo, in collegamento con il comma primo, l'Avvocatura ritiene ineccepibile che lo Stato, varando un nuovo ordinamento dei porti, provveda all'azzeramento delle passività facenti capo all'ordinamento preesistente, garantendo i mezzi con i quali i nuovi soggetti possano svolgere i compiti ad essi de mandati senza l'appesantimento derivante dalle precedenti gestioni.

Considerato in diritto

 

1. Le questioni di legittimità costituzionale sottoposte al giudizio di questa Corte investono varie disposizioni della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale), ritenute lesive delle attribuzioni regionali come determinate dalla Costituzione e dalle leggi attuative e, segnatamente, dal d.P.R. n.616 del 1977.

In particolare, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato:

a) gli artt. 5, commi sesto ed ottavo, 13, comma primo, lett. d) e 28 della predetta legge, deducendone il contrasto con gli artt.117, 118, 119 e 81 della Costituzione, per avere tali disposizioni addossato alle Regioni rilevanti oneri sia di realizzazione di opere portuali sia gestionali, senza statuire in loro favore entrate corrispondenti;

b) l'art. 4, comma quarto, che, attribuendo al Ministro dei trasporti e della navigazione il potere di determinare, con proprio decreto, le caratteristiche dimensionali, tipologiche e funzionali anche dei porti turistici o di pesca, e di individuare gli scali propri di ogni categoria, invaderebbe la sfera di competenza regionale nelle materie delle opere pubbliche e di turismo e pesca;

c) l'art. 5, comma undicesimo, in quanto, sottoponendo gli interventi da attuarsi dalle Regioni nella materia portuale a "direttive di coordinamento" del Ministro dei trasporti e della navigazione, lederebbe le prerogative regionali;

d) l'art. 18, che, conferendo il potere di concessione di aree e banchine alle autorità portuali marittime, senza riconoscere alcuna competenza alle Regioni, violerebbe le attribuzioni in materia di opere pubbliche e turismo, facenti capo alle Regioni stesse, sottraendo ad esse risorse in grado di fare riequilibrare gli oneri collegati alle opere pubbliche: tale censura è sollevata in connessione con quella dell'art. 13, primo comma, lett. a) che assegna alle autorità portuali, tra l'altro, il compito di determinare canoni di concessione demaniale marittima per scopi turistico-ricreativi e canoni di concessione di aree destinate a porti turistici;

e) l'art. 28, comma settimo, in collegamento con il primo comma, che prevede un meccanismo di assunzioni di oneri a carico dello Stato, cui è correlata l'acquisizione allo stesso del 50 per cento della tassa sulle merci sbarcate ed imbarcate, sottraendo, secondo la ricorrente in modo ingiustificato, ai porti tale entrata, che costituirebbe corrispettivo di attività portuali in loco.

2. Un primo gruppo di censure riguarda, dunque, gli artt. 5, commi sesto ed ottavo, 13, comma primo, lett. d) e 28 della legge 28 gennaio 1994, n.84, denunziati per contrasto con gli artt. 117, 118, 119 e 81 della Costituzione.

L'art. 5, sesto comma, introduce una nuova formulazione dell'art. 88 del d.P.R. n. 616 del 1977 - relativo alla individuazione delle funzioni amministrative residuate alla competenza statale nella materia delle opere pubbliche - che è identica alla precedente, tranne che per la omessa indicazione, tra le opere statali, di quelle relative ai fari.

Il comma ottavo dello stesso art. 5 stabilisce la spettanza allo Stato dell'onere per la realizzazione delle opere nei porti di cui alla categoria I e delle opere di grande infrastrutturazione (individuate, al comma nono, nelle costruzioni di canali marittimi, dighe foranee di difesa, darsene, bacini e banchine, escavazione e approfondimento dei fondali) nei porti di cui alla categoria II, classi I e II, ponendo, invece, a carico della regione o delle regioni interessate, l'onere per la realizzazione delle stesse opere nei rimanenti porti, quelli di cui alla categoria II, classe III.

Ad avviso della ricorrente, la statuizione dei predetti oneri, con riferimento sia alle opere relative ai fari sia a quelle di grande infrastrutturazione, comporterebbe una invasione della potestà legislativa ed amministrativa regionale, impedendo una disciplina, ad opera delle stesse regioni, che preveda una più equilibrata ripartizione, nonchè una lesione dell'autonomia finanziaria e, almeno potenzialmente, del principio di copertura finanziaria delle leggi.

Considerazioni analoghe vengono svolte nel ricorso con riferimento all'art. 13, comma primo, lett. d), della legge n. 84 del 1994, che elenca tra le entrate delle autorità portuali i "contributi delle regioni". Altro aspetto di tale censura sarà esposto e considerato al n. 7.

2.1. Le questioni non sono fondate.

Al riguardo due considerazioni preliminari si impongono.

La prima concerne la omessa indicazione, nel sesto comma dell'art. 5 della legge impugnata, tra le opere di competenza statale, dei fari che, figuravano, invece, nella precedente formulazione dell'art. 88 del d.P.R. n. 616 del 1977. Da tale omissione la ricorrente desume l'attribuzione delle opere in questione alla competenza regionale, e rileva che da ciò sarebbe dovuto scaturire, sia pure in termini meramente programmatici, la determinazione di corrispondenti risorse da assegnare alle regioni.

Vero è, invece, che i fari, come riconosciuto dalla stessa Avvocatura dello Stato, sono, nella tradizionale accezione del termine, nelle strutture maggiori che interessano la sicurezza della navigazione, opere di preminente interesse nazionale e perciò tuttora rientranti, alla stregua del citato art. 88 del d.P.R. n. 616 del 1977, nella competenza dello Stato, con relativo onere di spesa a carico di esso. Principio, questo, che la legge n. 84 del 1994 conferma all'art.5, comma ottavo, in tema di realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione nei porti di cui alla categoria II, classi I e II.

La seconda considerazione inerisce al presupposto dal quale muove la Regione ricorrente, secondo la quale l'ottavo comma dell'art. 5 porrebbe a carico della Regione oneri maggiori rispetto a quelli previsti dalla normativa anteriore. Invero la l. n. 84 attribuisce alla competenza statale, quanto alle opere di grande infrastrutturazione, l'onere relativo ai porti di categoria II, classe I e classe II. Col risultato che, mentre i porti di categoria II, classe II, sono da attribuirsi alla competenza regionale in base all'art. 88, n. 1, d.P.R. n.616 del 1977, le predette opere di grande infrastrutturazione negli stessi porti sono a carico dello Stato, in tal modo diminuendosi, in sostanza, l'ambito d'intervento per tali opere ed i relativi oneri incidenti sulla Regione.

Non altera questa conclusione la previsione, nello stesso ottavo comma dell'art. 5, dell'intervento delle Regioni "con proprie risorse, in concorso o in sostituzione dello Stato, per la realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione nei porti di cui alla categoria II, classi I e II".

Si tratta, infatti, di interventi rimessi alla discrezionalità regionale, che hanno carattere facoltativo, da realizzarsi in concorso con lo Stato o in sua sostituzione, alla stregua di valutazioni dell'ente territoriale, che ne ampliano le possibilità di intervento in base a sua autonoma scelta.

2.2 Del pari infondata è la censura mossa alla disposizione dell'art. 13, comma primo, lett. d), che indica, tra le risorse finanziarie delle autorità portuali, i contributi delle regioni.

Tale disposizione non è idonea a ledere l'autonomia normativa, amministrativa e finanziaria della Regione, dato che essa non costituisce alcuna contribuzione obbligatoria: si tratta, infatti, di contributi volontariamente erogabili da parte dell'ente autonomo territoriale, non ignoti alla normativa di settore, volti a realizzare iniziative e strutture, interessanti la Regione e da questa liberamente adottabili e determinabili. Ed è significativo che l'Avvocatura dello Stato riconosca la portata "semplicemente facoltizzante" di tali con tributi. Non appare priva di rilievo la circostanza, già posta in evidenza da questa Corte (sent. n. 182 del 1994), della esclusiva valutazione dell'ente locale circa la eventuale destinazione di risorse finanziarie da parte dei comuni e delle province, in materia portuale.

2.3 Quanto alla censura mossa all'art. 28, ed in particolare ai commi 4, 5 e 6 di esso, che acquisiscono al bilancio dello Stato "proventi che costituiscono corrispettivi di attività portuali in loco, depauperando ingiustificatamente le economie locali", è fondato il rilievo dell'Avvocatura generale.

Si tratta, nella specie, di acquisizione al bilancio dello Stato dei proventi di tasse e di diritti marittimi, nonchè della tassa di ancoraggio e della tassa sulle merci sbarcate e imbarcate. Data la natura tributaria di tali proventi, la destinazione di essi allo Stato e la conseguente devoluzione, totale o parziale, a questo, non concreta violazione all'autonomia finanziaria delle Regioni e degli altri enti autonomi territoriali interessati. (cfr. n. 7).

3. Infondata è pure la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, quarto comma, che affida al solo Ministro dei trasporti e della navigazione la determinazione, con decreto, delle caratteristiche dimensionali, tipologiche e funzionali anche dei porti meramente turistici o collegati allo svolgimento della pesca nonchè l'appartenenza di ogni scalo alle classi.

É da premettere che tale provvedimento ministeriale ha carattere meramente classificatorio e, comunque, non esclude la partecipazione regionale.

Lo stesso art. 4, al quinto comma, prevede che il ministro trasmette uno schema di decreto alle regioni, che esprimono parere entro i successivi novanta giorni, decorsi interamente i quali il parere si intende reso in senso favorevole.

Inoltre, il sesto comma contempla la possibilità della revisione delle caratteristiche dimensionali, tipologiche e funzionali di cui al comma quarto, nonchè della classificazione dei singoli scali, su iniziativa proprio delle regioni, oltre che di altre autorità interessate.

Gli interventi della regione previsti dalla legge garantiscono in modo adeguato l'esigenza di partecipazione dell'ente al procedimento, che, tra l'altro, è inteso al riscontro della sussistenza di criteri e di elementi di individuazione e di classificazione predeterminati dalla stessa legge.

Si tratta di attività di rilevazione e di descrizione, in gran parte ricognitoria, a svolgimento procedimentale; l'attribuzione dell'atto conclusivo al Ministro dei trasporti e della navigazione non è idonea ad incidere sulla situazione sostanziale accertata e descritta, ed è giustamente devoluta al predetto organo dello Stato anche perchè la categoria II, classi I e II, si riferisce a porti e ad aree portuali di rilevanza economica internazionale e nazionale.

4. Infondata è anche la censura relativa all'art. 5, comma undicesimo, che sottopone gli interventi da attuarsi dalle Regioni, in conformità ai piani regionali dei trasporti o ai piani di sviluppo economico-produttivo, a "direttive di coordinamento" emanate dal Ministro dei trasporti e della navigazione.

Secondo la ricorrente, tale previsione subordina l'attività spettante alla Regione ad un potere ministeriale improprio, in quanto estraneo alla tipica funzione governativa di indirizzo e coordinamento, e non è rispettosa del principio di legalità sostanziale degli atti di indirizzo.

Osserva la Corte che il potere e l'attività regionale, dei quali si censura la compressione, ineriscono all'attuazione di piani regionali dei trasporti o a piani di sviluppo economico-produttivo (non meglio individuati o definiti); si tratta, comunque, di poteri e di attività che si inquadrano e si realizzano nel contesto di altre previsioni normative di carattere economico-produttivo, a livello nazionale e regionale. La previsione del coordinamento tecnico di tali iniziative appare conforme alle esigenze della migliore attuazione degli interventi nel loro complesso. Il potere che il comma undicesimo dell'art. 5 attribuisce al Ministro dei trasporti e della navigazione è inteso a realizzare questa finalità, ed avendo contenuto tecnico, può legittimamente esercitarsi (cfr. sentt. nn. 355 del 1993 e 49 del 1991), prescindendo dall'osservanza delle prescrizioni sostanziali e procedimentali che caratterizzano l'attività tipica di indirizzo e coordinamento, che non si esplica nel caso in esame.

5. Priva di fondamento appare, ancora, la impugnazione dell'art. 18, in connessione con l'art. 13, primo comma, lett. a). Il primo attribuisce alle autorità portuali o marittime i poteri di concessione alle imprese di aree e banchine per l'espletamento delle operazioni portuali, nonchè di attività relative ai passeggeri e di servizi di preminente interesse commerciale ed industriale. L'art. 13, primo comma, lett. a) fa riferimento, tra l'altro, al potere, riconosciuto alle autorità portuali, di determinare i canoni di concessione demaniale marittima per scopi turistico-ricreativi e canoni di concessione di aree destinate a porti turistici.

Ad avviso della Regione Emilia-Romagna, tali poteri, oltre a sottrarre alle Regioni risorse attraverso le quali avrebbero potuto fronteggiare gli oneri collegati alla realizzazione delle opere ad esse demandate dalla stessa legge, interferirebbero con le competenze regionali in materia di opere pubbliche. Al riguardo la ricorrente sottolinea la circostanza che spesso la concessione non è limitata a profili strettamente gestionali dell'attività portuale, ma comprende anche la costruzione di opere, con riferimento anche alla materia del turismo. A tale ultimo riguardo, la ricorrente ricorda che l'art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977 ha disposto la delega alle regioni delle funzioni amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio lacuale e fluviale quando la utilizzazione prevista abbia finalità turistiche e ricreative".

Benchè tale delega sia rimasta a lungo inattuata, la disposizione, osserva la Regione Emilia-Romagna, è stata ribadita dal d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, conv., con modif. nella legge 4 dicembre 1993, n. 494, che, all'art.6, prevede che la delega diventi comunque operativa qualora entro un anno non siano effettuati gli adempimenti già previsti dall'art.59 del d.P.R. n. 616 del 1977, e dispone che da tale termine le regioni provvedano al rilascio e al rinnovo delle concessioni demaniali marittime.

É da rilevare che le concessioni di cui è questione, secondo la norma impugnata, attengono all'espletamento delle operazioni portuali, di attività relative ai passeggeri e di servizi di preminente interesse commerciale e industriale, che sono attuate dalle imprese legittimate ai sensi dell'art.16, terzo comma, della stessa legge n. 84.

La Regione non può, quindi, lamentare alcuna violazione della sfera delle competenze ad essa delegate, in quanto i provvedimenti concessori si riferiscono a materie, devolute ad altri soggetti (autorità portuale o, in mancanza, marittima) quanto alla gestione di beni del demanio; si tratta quindi di attribuzioni del tutto distinte da quella regionale. La delega operata in base all'art.59, del d.P.R. n. 616 del 1977 e all'art. 6 del d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, attiene, invece, al perseguimento di finalità turistiche e ricreative, e legittima la Regione ad attuarle, se non ricorrano le condizioni previste nella seconda parte del primo comma e nel secondo comma dell'art. 59 cit..

6. Infondata, è, inoltre, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma settimo, in collegamento con il comma primo, sollevata sotto il profilo che le disposizioni impugnate prevedono un meccanismo di assunzione di oneri a carico dello Stato, cui si collega l'acquisizione statale di una entrata che sarebbe altrimenti del porto.

Il primo comma dell'art. 28 dispone che le rate di ammortamento relative ai mutui contratti dalle organizzazioni portuali al 31 dicembre 1993 e le somme occorrenti per la copertura degli ulteriori disavanzi per l'anno 1993, nonchè gl'importi relativi al trattamento di fine rapporto dei dipendenti delle organizzazioni portuali, maturati alla medesima data, nel limite complessivo di mille miliardi, sono posti a carico dello Stato, che provvede direttamente al relativo pagamento.

Il settimo comma dispone che fino all'anno successivo a quello di completamento dei pagamenti di cui al primo comma, nei porti ove è istituita l'autorità portuale, il 50 per cento del gettito della tassa sulle merci sbarcate ed imbarcate affluisce al bilancio dello Stato.

Il complesso normativo costituito dal settimo e dal primo comma dell'art. 28, il cui contenuto si è ora esposto, non lede nè l'autonomia amministrativa, nè quella finanziaria della Regione.

Lo Stato si è assunto l'onere dell'ammortamento dei mutui contratti dalle organizzazioni portuali fino al 31 dicembre 1993, nonchè altri oneri finanziari e amministrativi fino al limite complessivo di mille miliardi. Nell'articolato e delicato sistema di riorganizzazione del lavoro portuale, caratterizzato nel momento centrale dalla trasformazione delle compagnie portuali in imprese, con le conseguenti implicazioni in ordine alla gestione delle strutture umane e tecniche ad esse pertinenti, non appare impropria, nè ingiustificata, nè contrastante con gli invocati articoli della Costituzione la devoluzione allo Stato dei proventi della tassa sulle merci sbarcate e imbarcate (l. 9 febbraio 1963, n. 82, capo III, titolo II e art. 1, l. 5 maggio 1976, n.355 e successive modificazioni), istituita in tutti i porti; tale devoluzione, nei porti ove è costituita l'autorità portuale, è del 50 per cento dei proventi stessi fino all'anno successivo a quello del completamento dei pagamenti, di cui lo Stato si è assunto - come già precisato - gli oneri. Nel sistema dell'accollo degli oneri stessi da parte dello Stato e delle relative implicazioni finanziarie, la devoluzione di detti proventi, che si acquistano dallo Stato a titolo tributario, è corretta perchè reperisce, nell'ambito dello stesso sistema, i mezzi per far fronte ad oneri intesi al risanamento ed allo sviluppo di esso, che comportano notevoli costi e operazioni di non breve durata.

7. Frequente, nell'attuale ricorso della Regione Emilia-Romagna - può dirsi anzi ne costituisca il sottofondo continuo - è la censura consistente nella attribuzione alle Regioni, da parte della legge impugnata, di competenze nella materia portuale, senza la previsione dei mezzi per farvi fronte (il riferimento è soprattutto agli artt.13, primo comma, lett. d), 5, comma ottavo, 18, 28, settimo e primo comma, ma traspare anche in relazione ad altre norme). Di qui la violazione in particolare dell'art. 81 della Costituzione, oltre che degli artt. 117, 118 e 119, espressamente indicati nell'epigrafe del ricorso.

In aggiunta alle osservazioni specifiche formulate in occasione delle singole censure, la Corte sottolinea, concludendo, la mancanza di fondamento anche di tale profilo.

La legge n. 84, nel disegnare il riordino della legislazione in materia portuale, di cui si auspica l'integrazione e il completamento, ha considerato il ruolo delle diverse strutture pubbliche implicate, statali, regionali e subregionali, con le relative attribuzioni nella materia stessa.

Nella disciplina delle competenze dei soggetti ora detti e nella salvaguardia dell'autonomia di essi, soprattutto di quelli diversi dallo Stato, è, senza dubbio, essenziale la considerazione del momento economico e finanziario. Ma tale elemento non è strettamente e necessariamente collegato con la legge che prevede attribuzioni e competenze. Queste ultime, infatti, si collocano nel quadro dei soggetti chiamati ad attuare le finalità della legge, ed è sufficiente una indicazione di esse, per così dire, pura, non necessariamente connessa con la valutazione e le implicazioni del se e del quando dell'attuazione di modalità e dei mezzi per farvi fronte.

É nella fase propriamente operativa, che può anche essere regolata per legge (ad esempio, previsione unitaria di complessi organici di opere portuali, per restare nel tema), che gli aspetti finanziari vanno approfonditamente valutati; ad essi può farsi fronte con mezzi previsti dalla stessa legge attuativa o con quelli afferenti ai fondi statali e regionali ed alle istanze finanziarie proprie dello Stato delle Regioni, nella rispettiva autonomia e nel necessario coordinamento.

A questi criteri si è ispirata la Corte, quando si è occupata dei requisiti delle leggi di spesa ("di nuove e maggiori spese" e dei "mezzi per farvi fronte": cfr. sentt. nn.123 e 356 del 1992; ord. n. 69 del 1989; sent. n. 12 del 1987) nel regolare il conferimento di attribuzioni e di competenze. Invece, non riferita a concrete esplicazioni o comunque alla fase della attuazione, l'indicazione dei mezzi non trova nella legge che provvede al mero conferimento di attribuzioni la sede propria, alla stregua dello stesso quarto comma dell'art. 81 della Costituzione (cfr. sentt. n. 357 del 1993; n. 123 e n. 356 cit. del 1992).

Anche sotto questo aspetto, la censura, considerata autonomamente nei suoi profili generali, non è, pertanto, fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, commi sesto ed ottavo, 13, comma primo, lett. a) e d), 18 e 28 della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale), sollevata, in riferimento agli artt.117, 118, 119 e 81 della Costituzione dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma quarto, e 5, comma undicesimo, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, sopra menzionata, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il detto ricorso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1994.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Gabriele PESCATORE, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 Luglio 1994.