Sentenza n. 449 del 1993

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SENTENZA N. 449

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO  ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Toscana n. 53 del 1993, riapprovata il 18 maggio 1993 dal Consiglio regionale, avente per oggetto:" Indennità di funzione dei dirigenti - L.R.n. 41 del 1990, art.38", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 5 giugno 1993, depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 29 del registro ricorsi 1993.

 

Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;

 

udito nell'udienza pubblica del 2 novembre 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

uditi l'Avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il ricorrente, e l'avv.Stefano Grassi per la Regione.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la delibera legislativa della Regione Toscana dal titolo "Indennità di funzione dei dirigenti - L.R. n. 41/90 art.38", riapprovata, con la maggioranza qualificata di cui al quarto comma dell'art. 127 della Costituzione, il 18 maggio 1993 nello stesso testo approvato il 3 dicembre 1991, a seguito del rinvio governativo.

 

Nel ricorso si riferisce che la delibera in esame, allo scopo di fugare dubbi sulla effettiva natura della indennità di funzione, ne definisce le caratteristiche (emolumento fisso, continuativo e ordinario per l'attività dirigenziale) che rilevano ai fini della quiescibilità e del trattamento di fine rapporto; così facendo, però, la legge regionale: a) disciplinerebbe una materia non compresa nell'art. 117 della Costituzione; b) farebbe rientrare nella retribuzione annua contributiva la indennità in parola - che assorbe o sostituisce o è corrisposta in compensazione di taluni istituti incentivanti, quali la indennità di presenza e lo straordinario, sicuramente esclusi dalla "retribuzione annua contributiva" - in contrasto con l'art. 16, terzo comma, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077, determinando altresì irrazionali trattamenti, fonti di possibili rivendicazioni emulative da parte del personale non dirigenziale; c) non avendo adottato la stessa scelta organizzativa fatta dalla Regione Lombardia (e cioé quella di ridurre drasticamente i dirigenti, in relazione alle effettive strutture direzionali, prevedendone la cessazione del rapporto di impiego al venir meno della funzione), ma avendo previsto la possibilità di corrispondere l'indennità in parola anche ai dirigenti c.d. "senza responsabilità" e non avendo disposto che il risultato negativo della gestione dirigenziale comporti la cessazione del rapporto di impiego, ma soltanto (implicitamente) l'assegnazione a funzioni di minore responsabilità, avrebbe dettato una disciplinata irrazionale e incompatibile con i connotati della fissità e della continuità, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione e con il principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione.

 

2. - Si è costituita in giudizio la Regione Toscana sostenendo l'infondatezza del ricorso alla luce della sentenza n. 80 del 1993 di questa Corte, e precisando che la delibera legislativa impugnata ha distinto l'indennità di funzione in relazione alle singole qualifiche dirigenziali ed ha determinato il coefficiente di calcolo dell'indennità medesima sulla base del contenuto operativo della qualifica considerata, così modellandone il concreto ammontare sulla base dell'effettiva configurazione organizzatoria degli uffici regionali.

 

Nel far ciò la delibera ha operato una triplice distinzione, relativamente: a) alle indennità di funzione che costituiscono "emolumenti fissi e continuativi dovuti in via ordinaria come remunerazione dell'attività dirigenziale", spettanti sia alle qualifiche (prima e seconda) con responsabilità di unità operativa complessa o di servizio o di ufficio (coeff. 0,6) sia a quelle "senza responsabilità" (coeff. 0,1, secondo le previsioni dell'accordo collettivo nazionale); b) alla indennità costituente "emolumento a termine" per le funzioni di coordinamento di dipartimento o di ufficio (coeff. 0,2); c) alla indennità che costituisce "emolumento a carattere non continuativo", riferita alle qualifiche dirigenziali di cui all'art. 38, comma 8, della legge regionale n. 41 del 1990 (per progetti e programmi intersettoriali e interdipartimentali, particolari attività di studio, ecc. - coeff. fino al massimo dello 0,2).

 

Si sarebbe così evitato di riconoscere in modo arbitrario un emolumento indennitario fisso per attività di carattere non continuativo, confermandosi invece il collegamento tra qualifica dirigenziale e funzione dirigente che, secondo la ricordata sentenza n. 80 del 1993, rappresenta la logica di fondo dell'accordo nazionale. Inoltre, per la parte in cui l'indennità è riconosciuta anche a qualifiche dirigenziali "senza responsabilità di servizio, o con posizione di ricerca, di ufficio", il criterio accolto dalla regione sarebbe coerente con la disciplina nazionale che riconosce la misura pari al coefficiente dello 0,1 per cento a favore di tutti i dirigenti non preposti ad uffici.

 

Quanto poi agli effetti ulteriori di detta indennità, la Regione richiama ancora la sentenza n. 80 del 1993, secondo cui, una volta affermato il carattere fisso e continuativo dell'indennità di funzione, "le conseguenze che possano derivarne agli effetti del trattamento di quiescenza non limitano il potere della regione di recepire l'accordo in modo da adeguare le previsioni di questo alle proprie scelte organizzative". In altri termini, la quiescibilità dell'indennità di funzione non deriverebbe dalle norme regionali, ma dalle stesse norme statali di cui la delibera legislativa impugnata rappresenterebbe una "coerente e rispettosa attuazione".

 

Quanto, infine, alla censura proposta in relazione alla violazione del principio di eguaglianza e di quello del buon andamento, la Regione sostiene che è logico e razionale che ciascuna regione determini la misura dell'indennità di funzione spettante ai propri dirigenti in relazione alle specifiche esigenze organizzative, ma sempre nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge nazionale, criteri che non possono essere sostituiti da una determinazione autoritativa e generalizzata dell'emolumento indennitario, perchè in tal modo si verrebbe a realizzare una assimilazione retributiva forzosa di situazioni funzionali non omogenee.

 

3. - In prossimità dell'udienza, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella quale ribadisce le proprie censure.

 

Considerato in diritto

 

l.- Con ricorso in via principale è stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri la delibera legislativa della Regione Toscana, avente ad oggetto la disciplina della indennità di funzione dei dirigenti, per asserita violazione degli artt. 117, 3 e 97 della Costituzione.

 

Si sostiene nel ricorso che la delibera, attribuendo alla indennità suddetta il carattere di emolumento fisso, continuativo ed ordinario per la funzione dirigenziale: a) avrebbe inciso in modo indiretto sul trattamento di quiescenza e su quello di fine rapporto, disciplinando così una materia di spettanza dello Stato; b) avrebbe reso possibile l'inclusione, nella retribuzione annua contributi va, di una indennità "di carica" in contrasto, persino per la parte relativa al coefficiente minimo 0,1, con l'art. 16, terzo comma, della legge 5 dicembre 1959 n. 1077.

 

2.- Per chiarire i termini della questione è opportuno precisare che la delibera legislativa impugnata definisce le caratteristiche delle indennità di funzione dei dirigenti regionali contemplate dall'art. 38 della legge regionale 9 aprile 1990 n. 41, che ha recepito l'accordo nazionale di lavoro, approvato con d.p.r. 3 agosto 1990 n. 333. Quest'ultimo testo normativo prevede (art. 38, comma 3) la corresponsione della indennità di funzione anche al personale della prima qualifica dirigenziale che non sia preposto a direzione di struttura o di staff.

 

La delibera impugnata - che si innesta nella disciplina dettata dalla legge regionale n. 41 del 1990, la quale non prevede la cessazione del rapporto di impiego come conseguenza negativa della gestione, ma soltanto "la rimozione dalla funzione esercitata con conseguente perdita della relativa indennità"(art. 39, comma 3) - ha distinto l'indennità in parola, in relazione alle diverse funzioni dirigenziali, tra indennità di funzione che costituiscono "emolumenti fissi e continuativi dovuti in via ordinaria come remunerazione dell'attività dirigenziale" (spettanti alle qualifiche dirigenziali di cui alle lettere A, B, C e D dell'art. 38, comma 6, della legge regionale n. 41 del 1990), indennità che costituisce "emolumento a termine" (quella di cui all'art.38, comma 6, lettera E) e, infine, indennità costituente "emolumento a carattere non continuativo" (art. 38, comma 8).

 

La linea seguita dalla Regione Toscana è diversa da quella della legge della Regione Lombardia (che ha superato lo scrutinio di costituzionalità con la sentenza di questa Corte n. 80 del 1993), che aveva attribuito a tutti i dirigenti l'indennità di funzione nella misura base dello 0,8 per cento dello stipendio, riducendo però il numero di essi ai soli effettivi responsabili di strutture direzionali, prevedendo la cessazione dal rapporto di impiego in caso di risultato negativo della gestione e lasciando altresì per la indennità predetta un margine di oscillazione dallo 0,8 all'1 per cento dello stipendio per compensare l'eventuale espleta mento di compiti ritenuti più importanti, secondo i criteri forniti dall'accordo nazionale (art. 38 del d.p.r. n. 333 del 1990).

 

3.- Tanto premesso, non può seguirsi la tesi sostenuta nel ricorso secondo cui non sarebbero applicabili alla delibera legislativa della Regione Toscana i principi enunciati nella richiamata sentenza n. 80 del 1993 relativamente alla legge della Regione Lombardia. Ciò, si sostiene nel ricorso, a causa della diversità fra le due discipline ed in particolare della mancanza nella legge della Toscana del ridimensionamento funzionale dei dirigenti con il numero degli uffici e, quindi, della previsione della cessazione del rapporto di impiego in caso di risultato negativo della gestione.

 

Tale diversità, ad avviso della Corte, non determina un contrasto con i parametri costituzionali invocati, perchè alla base del recepimento deve ravvisarsi anche per la Regione Toscana una scelta in armonia con l'accordo nazionale, il quale non impone necessariamente il ridimensionamento funzionale dei dirigenti con il numero degli uffici. La qualificazione compiuta dalla delibera legislativa impugnata - che, collegandosi alla precedente legge regionale n. 41 del 1990, ha distinto tra indennità fissa e continuativa, indennità a termine e indennità non continuativa - è dunque coerente con i principi stabiliti dall'accordo che, ai fini della corresponsione della indennità, suppone sotto questo profilo soltanto l'effettivo svolgimento della funzione. I caratteri della "fissità" e "continuità", previsti dalla delibera impugnata per certi tipi di indennità, restano perciò pur sempre legati alla corrispondenza tra indennità e funzioni esercitate, nel senso cioè che l'indennità è fissa e continuativa per tutto il tempo in cui siano svolte le funzioni corrispondenti a quelle per le quali l'indennità stessa è prevista in quella determinata misura.

 

Ciò in quanto la delibera impugnata, prevedendo che "la revoca della indennità ..., conseguente alla rimozione dalle corrispondenti funzioni, è consentita nei soli casi previsti dalla legge", conferma o quanto meno non innova a quel che è stabilito nell'art. 39, comma 3, della legge regionale n. 41 del 1990, il quale stabilisce che "il risultato negativo della gestione dei dirigenti, valutato con i criteri indicati dalla vigente normativa, comporta la rimozione dalla funzione esercitata con conseguente perdita della relativa indennità". Il che significa che l'indennità percepita in una certa misura subisce una variazione in diminuzione se il dirigente rimosso da un determinato ufficio viene assegnato ad altra funzione per la quale è prevista una indennità minore; per converso è implicito che l'assegnazione ad un ufficio per il quale è prevista una indennità maggiore comporta ovviamente l'attribuzione di questa con la contestuale perdita di quella minore, senza che ciò configuri, come invece si sostiene nel ricorso, una incompatibilità "con i connotati della fissità e continuità", che vanno ovviamente intesi in senso relativo in rapporto e per la durata dell'espletamento della specifica funzione dirigenziale.

 

La coerenza della legislazione della Regione Toscana con i principi dell'accordo nazionale è ravvisabile anche sotto l'ulteriore profilo della prevista attribuzione di una indennità pari al coefficiente 0,1 per taluni dirigenti non preposti "a direzione di struttura o di staff", il che corrisponde - come già osservato - a quanto stabilito dall'art.38, comma 3, dell'accordo nazionale per i dirigenti della prima qualifica.

 

4.- Quanto alle conseguenze derivanti, per la legislazione della Regione Toscana, dal risultato negativo della gestione del dirigente e che si sostanziano, come già detto, nella assegnazione di quello a funzioni di minore responsabilità - nonostante la diversità rispetto alla scelta legislativa operata dalla Regione Lombardia, che nel caso predetto dispone invece la cessazione del rapporto di impiego - esse non impediscono la estensione, al caso in esame, delle considerazioni svolte da questa Corte con la sentenza n. 80 del 1993. Non è difatti condivisibile l'assunto del ricorrente, il quale sostiene che tali considerazioni - secondo cui il carattere della fissità e della continuatività della indennità dirigenziale non è in contrasto con l'art. 117 della Costituzione, perchè tale qualificazione non incide di per sè sul regime del trattamento di quiescenza di spettanza dello Stato - sarebbero valide soltanto nelle ipotesi in cui "il risultato negativo della gestione" comporti, come per la legge della Lombardia, la cessazione del rapporto di impiego e non anche quando al risultato negativo consegua l'assegnazione a funzioni di minore responsabilità, come per la Toscana.

 

Osserva la Corte che, invece, anche relativamente alla impugnata delibera della Regione Toscana - che, come si è già rilevato, si innesta in un sistema legislativo che non prevede la cessazione del rapporto di impiego nel caso di risultato negativo della gestione - debba valere il principio secondo cui, rispetto alle conseguenze ulteriori legate alla natura degli emolumenti, "rimane comunque integro il potere dello Stato di incidere per modificare, nel rispetto dei principi costituzionali, il regime del trattamento di quiescenza onde determinarne, come è sua spettanza, l'ambito, i presupposti e l'estensione". Diversamente da quanto sembra sostenersi dal ricorrente, la sentenza n. 80 del 1993 non ha inteso certamente affermare che l'integrità del potere dello Stato di disciplinare il trattamento di quiescenza sia inscindibilmente legata all'automatismo della cessazione del rapporto di impiego in caso di risultato negativo della gestione dei dirigenti, ma solo precisare che tale potere discende dal riparto attuale delle competenze fra Stato e regioni, che non prevede alcuna possibilità per queste di incidere su detti trattamenti. Il problema di costituzionalità - che, come quello risolto con la sentenza n. 80 del 1993, riguarda l'impossibilità per la legge regionale di incidere sul trattamento di quiescenza - si sarebbe posto se la legge regionale avesse disposto espressamente sulla "quiescibilità" degli emolumenti in parola, innovando così in ordine a questo aspetto alla legge dello Stato. Nella specie ciò non è avvenuto, essendosi anche la delibera legislativa della Toscana limitata a qualificare il carattere delle indennità dirigenziali in relazione al tipo di funzioni cui sono collegate.

 

D'altronde, tenuto conto degli orientamenti non univoci della giurisprudenza nella materia pensionistica, è da escludere nel nostro ordinamento una automatica incidenza sul trattamento pensionistico della attribuzione del carattere fisso e continuativo ad alcuni emolumenti retributivi. Nè mancherebbe d'altronde al legislatore nazionale la possibilità di intervenire per chiarire questi aspetti, qualora la giurisprudenza in materia pensionistica dovesse consolidarsi nel senso dell'automatismo, facendo derivare certi effetti sul trattamento di quiescenza dal modo con cui le leggi regionali qualifichino gli emolumenti che esse hanno il potere di disciplinare, un potere questo che non può non essere riconosciuto alle regioni.

 

5.- La Presidenza del Consiglio sostiene, altresì, che, poichè l'indennità dirigenziale assorbe quella di presenza ed è correlata alla esclusione del personale dirigente dagli istituti incentivanti, compreso il compenso per lavoro straordinario, (art. 38, comma 5, del citato d.p.r. n.333 del 1990), "sicuramente esclusi dalla retribuzione annua contributiva", la qualificazione data dalla legge regionale a detta indennità comporterebbe per questa più favorevoli caratteristiche, innescando rivendicazioni emulative, rispetto ai trattamenti che essa assorbe, da parte del personale non dirigenziale.

 

In proposito osserva la Corte che l'inclusione o meno nella "retribuzione annua contributiva" della indennità in questione discende dal già menzionato riparto delle competenze fra Stato e regioni, e non dalla qualificazione che di essa dà la legge regionale, e ciò è sufficiente a togliere ogni fondamento alla censura.

 

6.- Inammissibile è infine il profilo secondo cui, essendo l'indennità dirigenziale da includersi fra le indennità "di carica", si sarebbe determinata la inclusione "nella base contributiva" della indennità de qua, persino per la parte relativa al coefficiente minimo dello 0,1, in modo "poco coerente" con l'art. 16, comma terzo, della legge 5 dicembre 1959 n.1077.

 

In proposito va rilevato che nello stesso ricorso si riconosce che il "telegramma di rinvio", uniformandosi alla circolare del Ministro del tesoro (pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 212 del 10 settembre 1991), avrebbe "tollerato" tale inclusione. E difatti nel telegramma del 30 dicembre 1991, con il quale la Presidenza del Consiglio dei ministri ha rinviato la delibera legislativa per il riesame da parte del Consiglio regionale, si afferma la sua illegittimità, sotto i profili poi riprodotti nel ricorso in questa sede, solo relativamente alla indennità di misura superiore "al livello minimo dello 0,1 attribuibile indipendentemente dalla posizione funzionale specifica". Ciò è sufficiente a determinare l'inammissibilità della censura, non potendosi con il ricorso proporre censure diverse (sentt. nn. 107 del 1983, 212 del 1976, 132 e 123 del 1975) e tanto meno in contrasto con il contenuto del rinvio per riesame.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Toscana n. 53 del 1993, riapprovata dal Consiglio regionale il 18 maggio 1993 ("Indennità di funzione dei dirigenti - L.R.n. 41 del 1990, art. 38"), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/12/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 20/12/93.