Sentenza n. 276 del 1993

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 276

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 7, della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tute lati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), promosso con ordinanza emessa il 9 novembre 1992 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra F.N.L.E. - C.G.I.L. regionale del Piemonte ed altra e la s.p.a. E.N.E.L., iscritta al n. 789 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 54, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione della F.N.L.E. - C.G.I.L. ed altra e della s.p.a. E.N.E.L. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 marzo 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Massimo D'Antona, Giuseppe Ferraro e Luciano Ventura per la F.N.E.L. - C.G.I.L. ed altra, Giovanni Gentile e Mattia Persiani per la s.p.a. E.N.E.L. e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 1. Nel corso di un procedimento promosso, ai sensi dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, dalla F.N.L.E. - C.G.I.L. comprensorio di Torino e la F.N.L.E. - C.G.I.L. regionale per sentir dichiarare antisindacale il comportamento tenuto dall'E.N.E.L. in occasione dello sciopero attuato il 25 settembre 1992 con preavviso comunicato il 22 settembre 1992, il Pretore di Torino, con ordinanza del 9 novembre 1992, ha sollevato, in riferimento all'art. 40 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 7, della legge 12 giugno 1990, n. 146, "nella parte in cui non prevede che le disposizioni dello stesso articolo in tema di preavviso minimo e di indicazione della durata dello sciopero non si applichino, oltre che ai casi di astensione dal lavoro in difesa dell'ordine costituzionale o di protesta per gravi eventi lesivi dell'incolumità e della sicurezza dei lavoratori, anche nelle ipotesi di sciopero di carattere economico-politico".

Il 18 settembre 1992 le tre confederazioni sindacali proclamarono uno sciopero generale, articolato per regioni, contro la "manovra economica" preannunciata dal Governo e poi disposta col d.l. 19 settembre 1992, n. 384. Le segreterie sindacali territoriali del Piemonte programmarono l'astensione dal lavoro per il 25 settembre. Per quanto riguarda gli elettrici, l'ENEL - Compartimento di Torino, formalmente preavvisato in data 22 settembre, provvide, con un comunicato affisso nelle apposite bacheche in data 23 settembre, a segnalare ai propri dipendenti l'illegittimità dello sciopero per mancato rispetto del preavviso di almeno dieci giorni prescritto dall'art. 2, comma 5, della legge n. 146 del 1990. Tuttavia l'organizzazione sindacale territoriale della CGIL confermò lo sciopero per il 25 settembre. Di ciò l'Ente diede notizia nello stesso giorno alla Commissione di garanzia di cui all'art. 12 della legge citata, la quale, con delibera generale del 1° ottobre 1992, invitò le organizzazioni sindacali "ad assicurare in ogni caso di sciopero che interessi i pubblici servizi essenziali anche il rispetto dei termini previsti per le proclamazioni di sciopero e per le comunicazioni agli utenti". Pertanto in data 13 ottobre 1993 l'ENEL comunicava alla F.N.L.E. - C.G.I.L. Piemonte l'applicazione, nella misura minima, delle sanzioni collettive ordinate dall'art. 4, comma 2, della legge n. 146, e precisamente la sospensione per un mese dei contributi sindacali e, nei confronti del dirigente sindacale responsabile della proclamazione dello sciopero, la sospensione per lo stesso periodo dei permessi retribuiti.

Il comunicato dell'ENEL ai dipendenti, affisso prima della data stabilita per lo sciopero, e la successiva applicazione delle sanzioni previste dalla legge al sindacato promotore sono stati denunciati al pretore dalle suddette organizzazioni territoriali della C.G.I.L. come condotte antisindacali per due motivi. a) Premesso che nella specie é stata assicurata la piena continuità del servizio sicché nessun danno é stato cagionato agli utenti, si sostiene che l'obbligo del preavviso di dieci giorni non sarebbe un limite legale del diritto di sciopero nel senso dell'art. 40 Cost., bensì una garanzia a tutela dell'interesse dei terzi utenti: come tale non avrebbe ragion d'essere quando in concreto si sia provveduto ugualmente alla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente protetti, nella quale consiste essenzialmente la ratio della legge n. 146. b) Ammesso che si tratti di un limite in senso proprio del diritto di sciopero, esso deve intendersi applicabile solo allo sciopero per fini contrattuali, non anche quando il diritto di sciopero sia esercitato come strumento di partecipazione dei lavoratori alla formazione della volontà politica dello Stato.

Il giudice a quo ha escluso la rilevanza di tali argomenti sul piano interpretativo, il preavviso di dieci giorni essendo chiaramente imposto dalla legge come condizione inderogabile di legittimità dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, eccettuati soltanto i casi indicati nel comma 7 dell'art. 2, nessuno dei quali ricorre nella specie. Ha però ravvisato nel secondo argomento una ragione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 7, sollevata d'ufficio nei termini sopra riferiti. A suo avviso, poiché la garanzia costituzionale del diritto di sciopero esige una disciplina dell'esercizio del diritto che non ne pregiudichi l'effettività, l'obbligo del preavviso é incompatibile anche con lo sciopero economico-politico, diretto a premere sulla pubblica autorità per ottenere l'adozione di un provvedimento favorevole oppure la revoca o la modificazione di un provvedimento ritenuto sfavorevole agli interessi economici dei lavoratori. In questo caso la possibilità di intervento tempestivo, senza la remora del preavviso, e ferme le cautele necessarie per la tutela dei diritti degli utenti, é una condizione della capacità di pressione dello sciopero.

2. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si sono costituite entrambe le organizzazioni sindacali ricorrenti chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, fondata.

Le ricorrenti sviluppano i motivi del ricorso proposto al pretore ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970, presentandoli anzitutto come motivi di irrilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale. In primo luogo viene ripresa la distinzione tra garanzie degli utenti, previste dalla legge n. 146 del 1990, una delle quali é l'obbligo del preavviso, e limiti del diritto di sciopero ai sensi dell'art. 40 Cost.: poiché i lavoratori hanno rispettato questi limiti, attenendosi alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, essi si sono contenuti nell'ambito del diritto di sciopero, così che il pretore avrebbe dovuto riconoscere la non sanzionabilità dell'omissione del preavviso di legge alla stregua di un criterio analogo alla scriminante dell'esercizio del diritto. Da un altro punto di vista, ove l'obbligo del preavviso sia ritenuto un limite del diritto di sciopero, l'inapplicabilità nella specie della norma sanzionatoria di cui all'art. 4, comma 2, della legge n. 146, e quindi l'inammissibilità della questione in esame per difetto di rilevanza, sono affermate dalle ricorrenti sul riflesso che l'art. 4 riguarda soltanto il caso in cui il rispetto del limite risulti uno strumento essenziale per la salvaguardia dei diritti fondamentali degli utenti, caso che nella specie non ricorre.

Nel merito le ricorrenti aderiscono al motivo di impugnazione della norma denunciata svolto nell'ordinanza di rimessione e incentrato sull'argomento che lo sciopero economico-politico, essendo uno strumento di partecipazione dei lavoratori alla formazione delle decisioni di politica economica che toccano i loro specifici interessi, non può essere disciplinato alla medesima stregua dello sciopero per fini contrattuali.

3. Si é pure costituito l'ENEL - Compartimento di Torino, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata. Nella memoria di costituzione e nella memoria integrativa depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica sono dedotti tre motivi di inammissibilità.

Col primo motivo si obietta che il giudice remittente ha trascurato di verificare in concreto se l'osservanza del preavviso avrebbe impedito l'efficace attuazione dello sciopero. Se si fosse fatto carico di questa verifica avrebbe potuto cogliere indici contrari alla pretesa indilazionabilità dello sciopero, da un lato, nel fatto che il provvedimento contestato era un decreto-legge per la cui conversione il Parlamento aveva tempo sessanta giorni, dall'altro, nel fatto che la Confederazione nazionale degli elettrici della CISL, tutti i sindacati regionali della UIL, tranne quello del Piemonte, e la grande maggioranza degli stessi sindacati regionali CGIL si erano conformati all'obbligo di preavviso di dieci giorni rinviando l'attuazione dello sciopero al 2 ottobre 1992.

Il secondo motivo di inammissibilità é desunto dal tipo di sentenza prospettata nell'ordinanza di rimessione. Trattandosi di sentenza additiva, essa invaderebbe la sfera delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore: l'eventuale accoglimento della questione privilegerebbe una soltanto delle soluzioni possibili, mentre la tesi che lo sciopero economico-politico possa avere una valenza diversa dallo sciopero per fini contrattuali non implica logicamente che debba avere la medesima valenza dello sciopero proclamato per la difesa dell'ordine costituzionale o dell'incolumità e della sicurezza dei lavoratori.

Il terzo motivo é desunto dalla natura della norma impugnata: "l'eventuale pronuncia additiva della Corte costituzionale comporterebbe l'estensione allo sciopero politico-economico di una norma che, derogando alla disciplina contenuta nel primo comma dell'art. 2 della legge n. 146 del 1990, é norma eccezionale". Di qui l'inammissibilità della questione, perché col ricorso alla Corte si mirerebbe a superare il divieto, posto dall'art. 14 delle preleggi, di estensione delle norme eccezionali a casi diversi da quelli in esse considerati.

Nel merito l'ENEL osserva che l'argomento con cui il giudice remittente postula l'equiparazione dello sciopero economico-politico allo sciopero di difesa dei valori supremi indicati nel comma 7 dell'art. 2 oblitera del tutto la ratio di questa norma eccezionale. Nei casi previsti dall'ultimo comma dell'art.2 lo sciopero é proclamato a difesa di valori, quali l'ordine costituzionale e l'incolumità e la sicurezza dei lavoratori, che sono necessariamente riferiti a tutta la collettività, onde sono stati valutati dal legislatore come preminenti anche rispetto a quelli espressi nei diritti degli utenti costituzionalmente garantiti. Invece lo sciopero economico-politico rientra pur sempre nella categoria dello sciopero economico, identificata - secondo la giurisprudenza di questa Corte - dalla funzione di sostegno "di tutte le rivendicazioni riguardanti gli interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme poste sotto il titolo III della parte I della Costituzione". A questa definizione si é adeguato il legislatore del 1990 ai fini della delimitazione dei casi di sciopero legittimo non soggetti a bilanciamento con i diritti degli utenti e pertanto esonerati dalle disposizioni dell'art. 2 in tema di preavviso e di durata dello sciopero.

4. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.

Inammissibile, perché lo sciopero a difesa dell'ordine costituzionale o dell'incolumità e della sicurezza dei lavoratori é una nozione ontologicamente distinta da quella di sciopero economico-politico, per cui un eventuale trattamento differenziato di quest'ultimo potrebbe essere modellato in vari modi alternativi, la scelta dei quali spetta al legislatore.

Nel merito l'Avvocatura osserva che, dato il fine indicato nell'art. 2, comma 5, della legge n. 146, sintetizzabile nella tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, non può dirsi irrazionale la scelta del legislatore di assimilare lo sciopero economico-politico allo sciopero economico per quanto riguarda gli obblighi di preavviso e di indicazione della durata dell'agitazione. La possibilità per le varie categorie di cittadini di utilizzare gli strumenti di pressione sulla pubblica autorità, di cui ciascuna variamente dispone, incluso l'esercizio a questo scopo del diritto di sciopero da parte dei lavoratori, non può certo essere promossa a valore costituzionalmente preminente, alla pari di quelli riconosciuti dalla norma impugnata.

Considerato in diritto

 l.-Il Pretore di Torino mette in dubbio la conformità all'art. 40 Cost.dell'art. 2, comma 7, della legge 12 giugno 1990, n. 146, portante norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, <<nella parte in cui non prevede che le disposizioni dello stesso articolo in tema di preavviso minimo e di indicazione della durata dello sciopero non si applichino, oltre che ai casi di astensione dal lavoro in difesa dell'ordine costituzionale o di protesta per gravi eventi lesivi dell'incolumità e della sicurezza dei lavoratori, anche nelle ipotesi di sciopero di carattere economico politico>.

2.l. -Da entrambe le parti costituite in giudizio e dal l'Avvocatura dello Stato sono state sollevate preliminarmente numerose eccezioni di inammissibilità, nessuna delle quali può essere accolta.

Le organizzazioni sindacali ritengono la questione inammissibile anzitutto perchè, non potendo le modalità procedurali prescritte dalla legge n. 146 considerarsi propriamente limiti del diritto di sciopero nel senso dell'art.40 Cost., il pretore avrebbe dovuto accogliere il ricorso applicando all'omissione del preavviso una esimente analoga a quella di cui all'art. 51 cod. pen., sul riflesso che il diritto di sciopero è stato esercitato correttamente nei limiti indicati dalla giurisprudenza costituzionale per lo sciopero nei pubblici servizi; in secondo luogo perchè, pur ammesso che si tratti di limite in senso proprio, il preavviso deve ritenersi obbligatorio solo nel caso in cui risulti indispensabile per la salvaguardia degli utenti, caso non ricorrente nella specie, non avendo lo sciopero determinato irregolarità nell'erogazione del servizio grazie alle precauzioni adottate dagli stessi lavoratori.

La prima eccezione si fonda su una pretesa distinzione dell'obbligo di preavviso, in quanto modalità procedurale, dai limiti del diritto di sciopero previsti dall'art. 40 Cost., chiara mente contrastata, oltre che da evidenti difficoltà logiche, dalla lettera dell'art. 1, comma 2. La legge considera le <regole (sostanziali) da rispettare> e <<le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo> alla stessa stregua, come due ordini di limiti del diritto di sciopero strumentali alla salvaguardia del nucleo essenziale dei diritti degli utenti indicati nel comma precedente.

La seconda eccezione è in realtà un'eccezione di merito, che prospetta una sentenza interpretativa di rigetto, e come tale sarà esaminata più avanti.

2.2. - L'ENEL deduce tre motivi di inammissibilità. Il primo ravvisa un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, avendo il giudice remittente omesso di accertare in concreto se l'osservanza del preavviso avrebbe impedito l'efficace attuazione dello sciopero. Ma l'ordinanza di rimessione non mira a una sentenza che esoneri dal preavviso lo sciopero economico - politico quando si veri fichi in concreto l'esigenza di immediata attuazione come condizione di effettività dello sciopero, bensì a una sentenza che esoneri incondizionatamente dal preavviso anche questa specie di sciopero, estendendo ad essa il medesimo trattamento dei casi eccettuati dalla norma impugnata. La rilevanza della questione è quindi indipendente dalle circostanze di fatto che l'ENEL rimprovera al giudice remittente di non avere appurato.

Col secondo motivo, proposto anche dall'Avvocatura dello Stato, si eccepisce che la richiesta sentenza additiva interferirebbe nella sfera delle scelte riservate alla discrezionalità legislativa. In contrario va osservato che, nei termini in cui è stata sollevata, la questione non implica una scelta tra una pluralità di soluzioni possibili: nell'ipotesi di sciopero economico-politico il giudice remittente ritiene l'obbligo di preavviso costituzionalmente illegittimo per se stesso, quale che ne sia il termine, sicchè l'unica soluzione idonea ad armonizzare la norma impugnata con l'art. 40 Cost. è, a suo avviso, l'eliminazione dell'obbligo.

In terzo luogo, la questione sarebbe inammissibile perchè diretta a estendere una norma eccezionale a un caso diverso da quelli in essa contemplati. Ma è facile replicare che il divieto dell'art.14 delle preleggi può costituire un ostacolo a un'ipotetica sentenza interpretativa fondata sull'analogia, non a una sentenza di accoglimento.

D'altro lato, il comma 7 dell'art. 2 non è propriamente una norma eccezionale. In relazione all'art. 40 Cost., esso delimita l'ambito normativo dell'obbligo di preavviso in corrispondenza alla natura degli interessi tra i quali la legge ha operato il bilanciamento che giustifica questo limite all'esercizio del diritto di sciopero.

3. - Nel merito la questione non è fondata.

Va disattesa anzitutto l'interpretazione prospettata dalla difesa delle organizzazioni sindacali: l'enunciazione dello scopo della legge, inserita all'inizio del secondo comma dell'art. 1 (<contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con il godi mento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, di cui al comma 1>), fornirebbe argomento per ritenere che il preavviso previsto dall'art. 2, comma 1 e 5, non è dovuto quando i lavoratori, prima di attuare lo sciopero, adottino misure tali da escludere a priori ogni pregiudizio ai diritti degli utenti.

In realtà un giudizio a priori di innocuità (per l'utenza) di uno sciopero attuato senza preavviso non è mai possibile; nè vale opporre gli esempi dello sciopero dei letturisti, degli addetti alle fatturazioni o ai distacchi degli allacciamenti agli utenti morosi, trattandosi di casi non soggetti alla legge n. 146, la quale non riguarda tutti i dipendenti delle aziende erogatrici, ma solo i dipendenti addetti alle attività di erogazione del servizio. Lasciando da parte questo tipo di considerazioni, la prospettata interpretazione non regge di fronte alla lettera della legge.

L'art. 1, comma 2, precisa che, per il raggiungimento dello scopo indicato nell'incipit del comma, <la presente legge dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo>>, dove la congiunzione <e> significa chiaramente che le une e le altre sono concorrenti, non alternative. Le prime consistono nelle misure, previste dall'art.2, che le imprese erogatrici devono predisporre (in conformità dei contratti collettivi e dei regolamenti di servizio concordati con le rappresentanze sindacali aziendali) e i lavoratori aderenti allo sciopero devono osservare, per assicurare agli utenti le prestazioni indispensabili; le seconde si riassumono essenzialmente nell'obbligo dei lavoratori, e per essi dei sindacati promotori dello sciopero, di dare un preavviso non inferiore a dieci giorni, indicando la durata dell'astensione dal lavoro, al fine (in primo luogo, ma non esclusivamente) di consentire alle imprese la predisposizione delle dette misure.

L'autonomia dell'obbligo di preavviso rispetto al compito di predisporre le misure occorrenti per assicurare le prestazioni indispensabili, già sancita dai codici sindacali di autoregolamentazione dello sciopero presi a modello dalla legge n.146, risulta sia dalla diversa incidenza soggettiva (l'uno incombendo ai lavoratori, l'altro alle imprese), sia dalla non coincidenza delle rispettive finalità ai sensi del comma 1 e del comma 5 dell'art. 2. Tanto poco i lavoratori possono dispensarsi dal preavviso ritenendolo assorbito da altre misure da essi giudicate idonee a scongiurare ogni pregiudizio per gli utenti (con ciò sostituendo il proprio giudizio contingente a valutazioni legali tipiche e, comunque, trascurando le ulteriori funzioni affidate dalla legge al preavviso), che non è consentito disporne nemmeno alla contrattazione collettiva, se non nel senso di un allungamento del termine legale.

4. - Fermo che, eccettuati i due casi previsti dall'art. 2, comma 7, lo sciopero nei pubblici servizi essenziali è sempre e incondizionatamente soggetto all'obbligo di preavviso non inferiore a dieci giorni, il giudice a quo reputa tale obbligo incompatibile con la garanzia costituzionale dell'art. 40 nell'ipotesi di sciopero economico-politico, nella quale la possibilità di attuazione immediata dell'astensione collettiva dal lavoro, senza remore dilatorie, è da lui reputata una condizione di effettiva capacità di pressione dello sciopero. A suo avviso, lo sciopero economico-politico, in quanto connotato dalla funzione di pressione sugli organi di formazione della volontà politica, non può essere disciplinato diversamente dagli altri casi di sciopero politico elevato a diritto soggettivo, quali appunto i casi individuati dalla norma impugnata.

A parte il rilievo che tale valutazione coinvolge l'art. 3 Cost., non richiamato nell'ordinanza di rimessione, va osservato, da un lato, che l'art. 40 Cost. garantisce le condizioni giuridiche di effettività dello sciopero nei limiti segnati dal bilanciamento con altri interessi di maggiore rilievo costituzionale, dall'altro che lo sciopero economico-politico non è connotato soltanto dalla funzione politica testè definita, ma anche dalla qualità delle pretese degli scioperanti, tipicamente afferenti all'uno o all'altro degli interessi economici dei lavoratori contemplati nel titolo III della parte I della Costituzione. Da questo punto di vista, ai fini della ponderazione con i diritti della persona salvaguardati dall'art. 1, comma 1, della legge n. 146 del 1990, lo sciopero economico-politico è avvicinabile allo sciopero economico-contrattuale. L'analogia di natura degli interessi, a sostegno dei quali lo sciopero nell'una e nell'altra ipotesi viene proclamato, giustifica l'assoggettamento di entrambe alla disciplina dell'art. 2 anche per quanto concerne l'obbligo di preavviso e di indicazione della durata dell'astensione dal lavoro, tenuto conto che la forza di pressione dello sciopero nei pubblici servizi essenziali si esplica più attraverso il danno inflitto agli utenti che attraverso il danno arrecato alle amministrazioni o alle imprese erogatrici.

Di tutt'altra natura sono gli interessi difesi dai lavoratori nei casi previsti dall'ultimo comma dell'art. 2: poichè ineriscono alla persona e a interessi fondamentali della collettività, il bilanciamento con i diritti degli utenti di cui all'art. 1, comma 1, della legge deve avere un esito diverso e meno incisivo sull'esercizio del diritto di sciopero.

Le organizzazioni sindacali obiettano che lo sciopero economico- politico è uno strumento di partecipazione dei lavoratori alla formazione delle decisioni di politica economica che toccano loro specifici interessi, e come tale non può essere disciplinato alla medesima stregua dello sciopero per fini contrattuali. Va replicato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sent. n.290 del 1974), la valutazione quale <mezzo idoneo a favorire il perseguimento dei fini di cui all'art. 3, secondo comma, Cost.> è per sè sola un criterio di riconoscimento dello sciopero politico come libertà, non come diritto soggettivo. Dalla categoria dello sciopero politico lo sciopero economico- politico è stato enucleato come specie appartenente all'area normativa dell'art. 40 Cost., e quindi qualificato come diritto soggettivo, non in relazione all 'art. 3, secondo comma, Cost., ma in ragione dell'omogeneità di natura delle rivendicazioni degli scioperanti con quelle sostenute dallo sciopero economico-contrattuale, le une e le altre essendo funzionali <alla realizzazione di quel vario complesso di beni che trovano riconoscimento e tutela nella disciplina costituzionale dei rapporti economici> (sent. n. 1 del 1974).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.2, comma 7, della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), sollevata, in riferimento all'art. 40 della Costituzione, dal Pretore di Torino con l'ordinanza in epigrafe.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28/05/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 10/06/93.