Ordinanza n. 107 del 1993

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ORDINANZA N. 107

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 519, secondo comma, e 451, terzo comma (rectius: quinto comma), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 febbraio 1992 dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di Quotidiano Pasquale ed altro, iscritta al n.304 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice relatore Francesco Greco.

 

Ritenuto che Quotidiano Pasquale e Andolfi Giuseppe sono stati tratti a giudizio direttissimo dinanzi al Tribunale di Napoli per il reato previsto dagli artt. 110, 56 e 628, primo e terzo comma, del codice penale, modificato poi dal P.M., dopo l'istruttoria dibattimentale e l'acquisizione di prove, in quello previsto dagli artt. 110, 610 e 339 del codice penale;

 

che l'istanza di giudizio abbreviato dai suddetti avanzata dopo la modifica dell'imputazione è stata respinta sia dal giudice di primo grado che da quello di appello;

 

che la Corte di cassazione, con ordinanza del 4 febbraio 1992 (R.O. n. 304 del 1992) ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt.519, secondo comma, e 451, terzo comma (rectius: quinto comma), del codice di procedura penale;

 

che, a parere della Corte remittente, sarebbero violati gli artt. 3 e 24 della Costituzione per la disparità di trattamento che si verifica tra coloro che sono tratti a giudizio ordinario, nel quale il giudizio abbreviato può essere chiesto anche dopo che siano assunte le prove e sia stata modificata l'imputazione, e coloro che sono tratti a giudizio direttissimo, nel quale la detta richiesta deve essere avanzata prima che siano assunte le prove e prima che sia possibile conoscere se l'imputazione sia modificata;

 

che nel giudizio è intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per la infondatezza della questione.

 

Considerato che questa Corte ha più volte affermato (sentenze nn. 316 del 1992; 213 del 1992) che i benefici connessi al giudizio abbreviato conseguono alla rinuncia dell'imputato al dibattimento, la quale consente di realizzare l'obiettivo prefissosi dal legislatore della rapida definizione del processo;

 

che detto obiettivo non può essere raggiunto quando già si è pervenuti al dibattimento in base alle contingenti valutazioni dell'imputato sull'andamento del processo;

 

che la richiesta di giudizio è collegata solo al fatto contestato e non rileva l'eventuale modifica dell'imputazione, peraltro ben prevedibile dall'imputato, in un sistema processuale imperniato sulla formazione della prova nel dibattimento;

 

che allo stesso imputato è affidata la scelta tra i benefici derivanti dal giudizio abbreviato e gli eventuali vantaggi che possono conseguire alla modifica dell'imputazione;

 

che non sussiste disparità di trattamento derivante dalla diversità del rito, nè lesione del diritto a difesa;

 

che, pertanto, la questione sollevata è manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 519, secondo comma, e 451, terzo comma (rectius: quinto comma), del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, sollevata dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GRECO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 19/03/93.