Sentenza n. 316 del 1992

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SENTENZA N.316

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO, Presidente

 

-          Dott. Francesco GRECO

 

-          Prof. Gabriele PESCATORE

 

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-          Avv. Mauro FERRI

 

-          Prof. Luigi MENGONI

 

-          Prof. Enzo CHELI

 

-          Dott. Renato GRANATA

 

-          Prof. Giuliano VASSALLI

 

-          Prof. Francesco GUIZZI

 

-          Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 519, secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 23 ottobre 1991 dal Pretore di Macerata nel procedimento penale a carico di Sagretti Francesco, iscritta al n. 92 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 3 giugno 1992 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- A seguito della contestazione da parte del pubblico ministero, nel corso del dibattimento, di un reato concorrente (art. 517 cod. proc. pen.), il Pretore di Macerata, non potendo aderire alla richiesta dell'imputato di trasmissione degli atti al pubblico ministero ai fini dell'emissione di altro decreto di citazione contenente la contestazione suppletiva che gli consentisse di chiedere il rito abbreviato nel termine di quindici giorni dalla notifica di tale decreto (artt. 555 e 560 cod. proc. pen.), ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell'art. 519, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui, di fronte a contestazioni suppletive di reati effettuate ai sensi dell'art. 517 cod. proc. pen., non consente all'imputato di avvalersi del rito abbreviato e di benefìciare della correlativa riduzione di pena: ciò che sarebbe, a suo avviso, in contrasto con l'art. 3 Cost.

 

2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata. La disciplina delle nuove contestazioni (artt. 516-522 cod. proc. pen.) é invero, secondo l'interveniente, razionalmente differenziata. La contestazione del "fatto nuovo" (art. 518) é possibile in dibattimento solo se l'imputato vi consente, sicchè in caso di dissenso il pubblico ministero dovrà procedere con le forme ordinarie, rendendo così possibile il ricorso al rito abbreviato. Nei casi, invece, di modifica dell'imputazione (art. 516) e di reato concorrente o circostanza aggravante (art. 517), é obbligatoria la contestazione nello stesso dibattimento perchè si tratta di nuove contestazioni che non modificano o sono comunque in stretto rapporto col "fatto storico" originariamente contestato e rappresentano un possibile e prevedibile sviluppo dell'imputazione originaria. Il fatto resta cioé essenzialmente identico, e quindi si giustifica che alla conoscenza di esso sia riferita la possibilità di scelta del rito.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Pretore di Macerata dubita della legittimità costituzionale dell'art. 519, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui, in caso di contestazione in dibattimento di un reato concorrente ai sensi dell'art. 517 dello stesso codice, non consente all'imputato di chiedere il giudizio abbreviato: ciò che a suo avviso contrasterebbe col principio di uguaglianza (art. 3 Cost.).

 

2. - La questione non è fondata.

 

Decidendo una questione analoga-pur se incentrata su altre disposizioni e riferita ad altri parametri-questa Corte ha già osservato che l'interesse dell'imputato a beneficiare dei vantaggi conseguenti al giudizio abbreviato, in tanto rileva in quanto egli rinunzi al dibattimento e venga perciò effettivamente adottata una sequenza procedimentale che consenta di raggiungere in tal modo l'obiettivo di rapida definizione del processo perseguito dal legislatore con l'introduzione di tale rito speciale.

 

< Perciò, quando ormai per l'inerzia dell'imputato tale scopo non può più essere pienamente raggiunto - in quanto si è già pervenuti al dibattimento -sarebbe del tutto irrazionale consentire che, ciononostante, a quel giudizio si addivenga in base alle contingenti valutazioni dell'imputato sull'andamento del processo> (sentenza n. 593 del 1990).

 

D'altra parte, come giustamente rileva l'Avvocatura, la disciplina delle nuove contestazioni è, nel sistema del codice, razionalmente differenziata, dato che, ove si tratti di fatto < nuovo>, la sua contestazione nello stesso dibattimento è possibile solo se l'imputato vi consente: sì che, occorrendo altrimenti procedersi nelle forme ordinarie, la richiesta per esso del giudizio abbreviato resta possibile.

 

Nell'ipotesi, invece, di reato concorrente - ma analoghe considerazioni valgono in quelle di modifica dell'imputazione (art. 516) e di circostanza aggravante - l'esclusione di tale possibilità è giustificata dal rilievo che la contestazione è evenienza, per un verso, non infrequente in un sistema processuale imperniato sulla formazione della prova in dibattimento (cfr. ordinanza n. 213 del 1992), e ben prevedibile, dato lo stretto rapporto intercorrente tra l'imputazione originaria ed il reato connesso; mentre, per altro verso, essa è preclusa nel giudizio abbreviato (art. 441).

 

Di conseguenza, il relativo rischio rientra naturalmente nel calcolo in base al quale l'imputato si determina a chiedere o meno tale rito, onde egli non ha che da addebitare a se medesimo le conseguenze della propria scelta.

 

Nella preclusione all'adozione del rito abbreviato a dibattimento già instaurato non è perciò ravvisabile alcuna violazione del principio di uguaglianza.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.519, secondo comma, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Macerata con ordinanza del 23 ottobre 1991

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29/06/92.

 

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

 

Ugo SPAGNOLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 08/07/92.