Sentenza n. 385 del 1992

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SENTENZA N.385

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

-          Dott. Francesco GRECO

 

-          Prof. Gabriele PESCATORE

 

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

-          Avv. Mauro FERRI

 

-          Prof. Luigi MENGONI

 

-          Prof. Enzo CHELI

 

-          Dott. Renato GRANATA

 

-          Prof. Giuliano VASSALLI

 

-          Prof. Francesco GUIZZI

 

-          Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

Nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 del decreto-legge 16 marzo 1991, n. 83, convertito nella legge 15 maggio 1991, n.154 (recante < Modifiche al decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, in materia di repressione delle violazioni tributarie e disposizioni per definire le relative pendenze>) promossi con n. 2 ordinanze emesse il 29 ottobre e il 5 dicembre 1991 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze nei procedimenti penali a carico di Bianchini Marina e Calderoni Luigi ed altra iscritte ai nn. 188 e 190 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 1° luglio 1992 il Giudice relatore Renato Granata.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con ordinanza del 29 ottobre 1991 e del 5 dicembre 1991 il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Firenze - nel corso del procedimento penale a carico di Calderoni Luigi e Ferrati Primetta, imputati (tra l'altro) del reato previsto dagli artt. 110 c.p. e 2, secondo comma, decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, per omesso versamento delle ritenute operate per lavoro dipendente negli anni 1980, 1984 e 1985 per un totale di oltre L. 5.000.000 - ha sollevato, in riferimento all'art. ,3 Cost., questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 decreto-legge 16 marzo 1991, n. 83, convertito nella legge 15 maggio 1991, n. 154.

 

Rileva il giudice rimettente che gli imputati, dichiarati falliti con sentenza del tribunale di Firenze dell'11 novembre 1986, si trovano nell'impossibilità economica e giuridica di regolarizzare la loro posizione fiscale in ordine al delitto contestato con il pagamento della somma di L. l.000.000 per ciascuno dei periodi di imposta ai quali sì riferiscono i mancati versamenti delle ritenute dovute come previsto dall'art. 8 cit. in modo da rendere operante lo speciale regime della retroattività della norma penale più favorevole al reo, così come previsto dal precedente art. 7, con conseguente disparità di trattamento rispetto ad altri imputati del medesimo reato, che invece, regolarizzando la loro posizione, vedono applicarsi le più favorevoli nuove disposizioni in materia di reati tributari e, in casi analoghi a quello di specie, possono beneficiare della depenalizzazione del reato. Le norme censurate sarebbero pertanto Legittime nella parte in cui fanno derivare conseguenze penali solo perchè l'imputato non ha effettuato il pagamento di una somma di danaro in sanatoria senza tenere in alcun conto dell'oggettiva impossibilità di provvedere al pagamento per l'imputato che sia stato dichiarato fallito.

 

2.- Con successiva ordinanza del 5 dicembre 1991 il medesimo giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Firenze - nel corso del procedimento penale a carico di Bianchini Marina, imputata del reato previsto dall'art. 2, secondo comma, decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516 e art. 8, primo e secondo comma, legge 7 gennaio 1929, n. 4, per aver omesso di versare all'erario le ritenute effettivamente operate (quale datore di lavoro) su somme pagate (ai suoi dipendenti) negli anni dal 1984 al 1988 - ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., analoga questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 decreto-legge 16 marzo 1991, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991, n. 154.

 

In particolare - si osserva nella ordinanza di rimessione - ove l'imputata, dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Firenze del 6 aprile 1988, avesse potuto provvedere a regolarizzare la sua posizione fiscale il reato contestatole sarebbe stato derubricato nella contravvenzione prevista dall'art. 2 della legge n. 516 del 1982 come modificato dall'art. 3 decreto-legge n. 83 del 1991, contravvenzione peraltro oblabile, con conseguente disparità di trattamento rispetto agli imputati in bonis.

 

3.- In entrambi i giudizi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri sostenendo la non fondatezza della questione di costituzionalità, atteso che la condizione di fallito non può ridondare in un privilegio, mentre é d'altra parte legittimo che in materia di violazioni tributarie i benefici (quali amnistia, condono, oblazione) che escludono od attenuano reati siano subordinati a regolarizzazioni che comportano il pagamento di somme di danaro.

 

Considerato in diritto

 

l. - É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale -in riferimento all'art. 3 Cost. (sotto il profilo della sospetta violazione del principio di eguaglianza) -degli artt. 7 e 8 del decreto-legge 16 marzo 1991, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991, n.154, (recante < Modifiche al decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, in materia di repressione delle violazioni tributarie e disposizioni per definire le relative pendenze>) nella parte in cui non tengono conto della oggettiva impossibilità del fallito-a differenza di qualsiasi altro imputato del medesimo reato-di provvedere al pagamento della somma prevista per la regolarizzazione fiscale con conseguente impossibilità di giovarsi della retroattività della norma penale finanziaria più favorevole.

 

2. -I due giudizi, in cui la medesima questione è stata sollevata, vanno riuniti per identità di oggetto.

 

3. - La questione di costituzionalità è inammissibile.

 

Questa Corte ha già ripetutamente esaminato - in riferimento al medesimo parametro costituzionale invocato dal giudice rimettente (oltre che all'art.24 Cost .)-la posizione dell'imputato che, dopo aver commesso il fatto penalmente illecito, sia stato dichiarato fallito e che quindi, non essendo più in bonis, non possa effettuare pagamenti che altrimenti avrebbero un'incidenza a lui favorevole in quanto idonei a determinare talora l'improcedibilità dell'azione penale (come prevede l'art. 11 della legge n.386 del 1990 nell'ipotesi del reato di emissione di assegno bancario senza provvista), tal'altra la stessa estinzione del reato (come stabilisce l'art.2, comma 1° bis, del decreto- legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, in ipotesi di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali). La conclusione alla quale in tali fattispecie la Corte è già pervenuta-dichiarando l'inammissibilità (con sentenze n. 32 e n. 267 del 1992) e la manifesta inammissibilità (con ordinanze n. 172 e n. 240 del 1992) di analoga questione di costituzionalità-non può che essere confermata anche in riferimento all'ulteriore ipotesi (in esame) in cui l'indisponibilità del patrimonio non consente al fallito di effettuare il pagamento della somma prevista dall'art.8 del decreto-legge 16 marzo 1991, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991, n. 154, al fine di beneficiare della < regolarizzazione> da tale norma contemplata (la cui natura di speciale misura di clemenza condizionata è stata, sotto altro profilo, affermata da questa Corte nella sentenza n.192 del 1992) e della conseguente applicazione retroattiva della norma penale più favorevole in luogo del (più rigoroso) regime speciale previsto dall'art. 20 della legge n. 4 del 1929 per le disposizioni penali delle leggi finanziarie.

 

Anche nella fattispecie in esame infatti la soluzione in via additiva, alla quale tende l'ordinanza del giudice rimettente nella parte in cui lamenta la mancanza di un regime speciale (a carattere derogatorio rispetto a quello ordinario) per l'imputato che sia stato dichiarato fallito, non si presenta come l'unica costituzionalmente obbligata, ma sarebbe soltanto una delle possibili, essendo ipotizzabile < un intervento nella disciplina stessa della procedura fallimentare, che, in una visione più organica, dia nuovo assetto alle indirette conseguenze penalistiche della dichiarazione di fallimento> (sent. n. 32/1992 cit.).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 del decreto legge 16 marzo 1991, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991, n. 154, (recante < Modifiche al decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, in materia di repressione delle violazioni tributarie e disposizioni per definire le relative pendenze>), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal tribunale di Firenze con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/07/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Renato GRANATA, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 29/07/92.