Sentenza n. 267 del 1992

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 267

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Giuseppe BORZELLINO, Presidente

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1 bis del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638 ("misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per taluni settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini") promosso con ordinanza emessa il 23 ottobre 1991 dal Pretore di Alessandria nel procedimento penale a carico di Maldini Rodolfo iscritta al n. 751 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1992;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1992 il Giudice relatore Renato Granata;

Ritenuto in fatto

1. Il Pretore di Alessandria, nel corso del procedimento penale a carico di Maldini Rodolfo, imputato del reato previsto dall'art. 2 del decreto legge 12 settembre 1983 n.463, convertito nella legge 11 novembre 1983 n.638, per aver omesso di versare le ritenute previdenziali ed assistenziali operate quale datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ha sollevato con ordinanza del 23 ottobre 1991 questione di legittimità costituzionale in via incidentale del citato art.2, comma 1 bis, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 Cost.

Premette il giudice rimettente che l'imputato - essendo stato dichiarato fallito prima della scadenza del termine di grazia di sei mesi, previsto dalla norma impugnata per effettuare il tardivo versamento delle ritenute omesse con conseguente effetto estintivo del reato - si vede precluso tale beneficio, versando egli nella condizione di non poter più effettuare il pagamento delle somme dovute; nè il competente organo fallimentare potrebbe autorizzare tale pagamento per essere irrilevante, per la massa dei crediti ammessi, che il fallito eviti le sanzioni penali.

In tal modo - ritiene il giudice rimettente - la posizione del fallito risulta ingiustamente discriminata, dipendendo la responsabilità penale dal momento in cui viene dichiarato il fallimento, in quanto il beneficio del termine di grazia può essere fruito, o meno, secondo che la dichiarazione di fallimento intervenga prima o dopo il suo decorso.

Altresì - ad avviso del giudice rimettente - risulta compresso il diritto di difesa del fallito (art. 24 Cost.), nonchè leso il principio della personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.), in ragione dell'impossibilità, indipendente dalla sua volontà, di porre in essere il comportamento avente effetti estintivi del reato.

2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale di Stato, sostenendo la non fondatezza della questione non essendovi violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. , ma unicamente disparità di mero fatto conseguente ad accadimenti accidentali o casuali o a fatti contingenti; nè l'impossibilità di giovarsi del termine di grazia comprime l'esplicazione del diritto di difesa dell'imputato , che invece rimane piena, nè implica l'esistenza di una responsabilità penale obiettiva, atteso che il pagamento in questione rileva unicamente al fine di conseguire gli effetti meramente estintivi di un reato già consumato.

Considerato in diritto

1. É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3 , 24 e 27 Cost., dell'art. 2, comma 1 bis, del decreto legge 12 settembre 1983 n.463, convertito nella legge 11 novembre 1983 n.638 (misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica), come modificato dal d.l. 9 ottobre 1989 n.338, convertito in legge 7 dicembre 1989 n.389 (disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati), nella parte in cui non contempla che il decorso del termine di grazia (da tale norma previsto per effettuare tardivamente il versamento delle ritenute contributive ed estinguere il reato) sia sospeso (unitamente al decorso del termine di prescrizione del reato) dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e fino alla conclusione della procedura fallimentare o all'approvazione dei piani di ripartizione dell'attivo fallimentare.

La norma impugnata prevede l'estinzione del reato ove il versamento delle ritenute venga effettuato entro sei mesi dalla scadenza della data stabilita per lo stesso e, comunque, ove sia fissato il dibattimento prima di tale termine, non oltre le formalità di apertura del dibattimento stesso. Di tale speciale causa di estinzione del reato non può giovarsi l'imputato che, dopo il compimento della condotta omissiva penalmente rilevante, sia dichiarato fallito con contestuale perdita della disponibilità del suo patrimonio e conseguente impossibilità di effettuare il pagamento tardivo contemplato dalla norma censurata.

2. La questione di costituzionalità è inammissibile.

Questa Corte nella sentenza n.32 del 1992 ha già ritenuto l'inammissibilità (e successivamente, con ordinanze n. 172 e n.240 del 1992, la manifesta inammissibilità) - in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. - di analoga questione avente ad oggetto la legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 15 dicembre 1990 n.386 (recante la nuova disciplina del reato di emissione di assegno bancario senza provvista) nella parte in cui non prevede che il termine, entro il quale il tardivo pagamento degli assegni e degli accessori comporta l'improcedibilità dell'azione penale per il reato suddetto, decorra - in caso di intervenuta dichiarazione di fallimento dell'imputato - dal momento di chiusura della procedura.

Anche nella fattispecie in esame sussiste la medesima ragione di inammissibilità della questione di costituzionalità perchè essa attiene all'area delle scelte discrezionali del legislatore; infatti la soluzione in via additiva proposta dal giudice rimettente non si presenta come l'unica costituzionalmente obbligata, ma è soltanto una delle possibili, essendo ipotizzabile <<un intervento nella disciplina stessa della procedura fallimentare, che, in una visione più organica, dia nuovo assetto alle indirette conseguenze penalistiche della dichiarazione di fallimento>> (sent. n.32/92 cit.).

Nè ad esito diverso può condurre la valutazione della questione di costituzionalità sotto il profilo, ulteriormente invocato dal giudice rimettente, della personalità della responsabilità penale (art.27, primo comma, Cost.) atteso che la condotta penalmente rilevante risulta pienamente realizzata quando l'imputato è ancora in bonis.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.2, comma 1 bis del decreto legge 12 settembre 1983, n.463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n.638 (misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per taluni settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), come modificato dal decreto legge 9 ottobre 1989, n.338, convertito in legge 7 dicembre 1989, n.389 (disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati), in riferimento agli artt.3, 24 e 27 della Costituzione, sollevata dal pretore di Alessandria con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/06/92.

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 10/06/92.