Sentenza n. 511 del 1991

 

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SENTENZA N. 511

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25 (Norme in materia di usi civici e gestione delle terre civiche) promosso con ordinanza emessa il 16 aprile 1991 dal Commissario regionale per il riordinamento degli usi civici in Abruzzo nel procedimento demaniale vertente tra il Comune di Avezzano ed il Consorzio per il nucleo industriale di Avezzano iscritta al n. 488 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 1991 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio avente per oggetto l'accertamento della natura di demanio civico o allodiale di alcuni terreni alienati dal Comune di Avezzano al Consorzio per il nucleo industriale di quella città, avendo il rappresentante del Comune depositato una deliberazione della giunta comunale in data 11 aprile 1991, con cui si chiede la sclassificazione dei terreni medesimi ai sensi dell'art. 10, secondo comma, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25 (modificata dalla legge reg. 8 settembre 1988, n. 77), il Commissario regionale per il riordinamento degli usi civici in Abruzzo, reputando che la definizione del giudizio dipenda dalla delibera che il Consiglio regionale adotterà in merito alla domanda, ha sollevato, con ordinanza del 16 aprile 1991, questione di legittimità costituzionale del citato art. 10, secondo comma.

2. - Ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata viola l'art. 117 Cost., in quanto "vulnera i principi fondamentali posti dalla legge nazionale 16 giugno 1927, n. 1766, dell'imprescrittibilità dei diritti di uso civico, nonché dell'inusucapibilità e dell'indisponibilità delle terre collettive .. sottoposte al vincolo dell'immutabilità della loro destinazione"; viola l'art. 118 perché attribuisce alla Regione "poteri che non sono certamente di natura amministrativa, ma legislativa"; viola infine l'art. 42 Cost., perché "i diritti proprietari della collettività vengono praticamente espropriati senza che alla medesima sia corrisposto alcun compenso a titolo di indennizzo".

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 10 della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25, modificato dalla legge reg. 8 settembre 1988, n. 77, dispone al secondo comma: "Nei casi in cui, per effetto di utilizzazioni improprie ormai consolidate, porzioni di terre civiche abbiano da tempo irreversibilmente perduto la conformazione fisica e la destinazione funzionale di terreni agrari, ovvero boschivi e pascolivi, il Consiglio regionale, su richiesta motivata del Comune territorialmente interessato, ovvero dell'Amministrazione separata frazionale, sentito il Comune, se trattasi di beni di pertinenza frazionale, può disporre la sclassificazione di dette terre dal regime demaniale civico". La disposizione è impugnata dal Commissario regionale per il riordinamento degli usi civici per preteso contrasto:

a) con l'art. 117 Cost., perché "vulnera i principi fondamentali posti dalla legge nazionale 16 giugno 1927, n. 1766, dell'imprescrittibilità dei diritti di uso civico, nonché dell'inusucapibilità e dell'indisponibilità delle terre collettive", soggette a "vincolo di immutabilità della loro destinazione";

b) con l'art. 118 Cost., perché non rispetta "i limiti della delega stabilita dall'art. 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616", attribuendo alla Regione "poteri che non sono certamente di natura amministrativa, ma legislativa";

c) con l'art. 42, terzo comma, Cost., perché con la prevista "sclassificazione" di terre civiche i diritti di proprietà della collettività "vengono praticamente espropriati senza che alla medesima sia corrisposto alcun compenso a titolo di indennizzo".

2. La questione non è fondata.

Per valutare correttamente se la norma denunciata si mantenga nella cornice dei principi fondamentali risultanti dalla legge del 1927 sugli usi civici, occorre considerare che le diverse e più remunerative possibilità di occupazione, prodotte dal sopravvenuto sviluppo industriale del Paese anche nelle zone tradizionalmente agricole, hanno ridotto a dimensioni modestissime le economie familiari di produzione per il consumo, determinando un progressivo abbandono dell'esercizio degli usi civici collegati a quelle economie. Tale fenomeno ha comportato che terreni gravati da usi civici, di cui si è quasi perduto il ricordo, sono stati alienati dai Comuni trascurando le condizioni e le procedure previste dall'art. 12 della legge del 1927, per finalità di pubblico interesse connesse ai bisogni di urbanizzazione (dal 1927 la popolazione italiana è pressoché raddoppiata) o ai bisogni dell'industrializzazione, apportatrice di nuovi posti di lavoro.

La regolarizzazione di siffatte situazioni alla stregua del citato art. 12, come vorrebbe il giudice a quo, è difficilmente praticabile, sia perché presuppone l'assegnazione dei terreni a una o l'altra delle categorie distinte dall'art. 11, mentre essi hanno ormai perduto da tempo l'originaria destinazione agricola o boschivo-pastorale, sia perché impone l'onere di rinnovazione dell'atto di vendita con un nuovo prezzo calcolato tenendo conto dell'attuale destinazione urbanistica o industriale dei terreni. Oltre a tutto, il Comune sarebbe esposto al rischio di vedersi citato in giudizio, ai sensi dell'art. 1338 cod. civ., con una domanda di risarcimento dei danni sofferti dall'acquirente per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del precedente contratto. Sulla base di quel contratto e del prezzo allora convenuto è stata fatta, nel caso in esame, l'analisi dei costi-benefici dell'insediamento industriale in vista del quale i terreni di cui è causa sono stati alienati dal Comune di Avezzano.

3. - Occorre perciò, pur nel quadro della legge nazionale, trovare spazi a leggi regionali di sanatoria. La soluzione adottata dall'art. 10 della legge abruzzese utilizza a tale scopo il modello della "sclassificazione" dei beni demaniali (art. 829 cod. civ.), fondandosi sul fatto che le terre civiche ivi considerate "hanno da tempo perduto irreversibilmente la conformazione fisica e la destinazione funzionale di terreni agrari ovvero boschivi o pascolivi". Non si tratta di una "sdemanializzazione" esonerata dal presupposto della previa assegnazione dei terreni a categoria. La sclassificazione è un atto di natura meramente dichiarativa, che accerta la perdita delle caratteristiche che qualificavano i terreni come beni di demanio collettivo, con conseguente esclusione di questa specifica ragione di nullità della vendita stipulata senza le condizioni dell'art. 12 della legge del 1927, e quindi, se la vendita fosse già avvenuta, restando esclusa la necessità di rinnovazione del contratto.

La norma denunciata non viola il limite indicato dall'art. 117 Cost., ma anzi risponde a un principio generale della legislazione statale, desumibile dagli artt. 39 e 41 del r.d. 26 febbraio 1928, n. 332, nel senso che sono consentite in ogni caso - con l'autorizzazione del Ministro dell'agricoltura (sentito il parere del Commissario regionale per gli usi civici), e ora della Regione (non soggetta al requisito del detto parere preventivo) - l'alienazione o la concessione, previo mutamento di destinazione, di terre civiche quando le forme di utilizzazione previste dalla legge n. 1766 del 1927 non siano più possibili o risultino antieconomiche, mentre la diversa destinazione sopravvenuta rappresenta un reale beneficio per la generalità degli abitanti.

Questo principio si riflette nell'ultimo comma dell'art. 6 della legge regionale (non impugnato): di esso il successivo art. 10, secondo comma, costituisce un adattamento ordinato alla sanatoria di mutamenti di destinazione già intervenuti, dei quali il Consiglio regionale riconosce la rispondenza a finalità di interesse pubblico, in pari tempo dichiarando che sono cessate definitivamente le ragioni che giustificavano l'originario vincolo di destinazione, con conseguente passaggio dei terreni nel patrimonio disponibile del Comune.

4. - La seconda censura, indicata al punto 1, sub b), è contraddittoria con la precedente. Il motivo di impugnazione sub a) presuppone il riconoscimento alla Regione di una competenza legislativa concorrente in materia di usi civici. Al contrario, il motivo sub b) aderisce a una dottrina minoritaria, non condivisa da questa Corte (cfr. sentenza n. 511 del 1988), la quale contesta la valutazione degli usi civici come submateria dell'agricoltura e foreste, sottesa all'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977. Il trasferimento delle funzioni amministrative in questa materia, in quanto estranea all'elenco dell'art. 117 Cost., dovrebbe intendersi in realtà come delega ai sensi dell'art. 118, secondo comma, assistita dal limitato potere normativo previsto dall'art. 7 del citato decreto, che la statuizione della norma in esame avrebbe ecceduto.

Caduta la premessa, perde consistenza il riferimento dell'impugnazione all'art. 118 Cost.

5. - Non appare violato, infine, l'art. 42, terzo comma, Cost. L'atto di sclassificazione non è assimilabile all'espropriazione forzata, essendo nella specie ordinato alla regolarizzazione di una vendita, già avvenuta, finalizzata a un insediamento industriale che rappresenta un reale beneficio per la collettività. Nella diversa ipotesi, in cui il mutamento di destinazione dei terreni fosse intervenuto indipendentemente da una alienazione da parte del Comune, il prezzo ricavato dalla vendita successiva alla sclassificazione dovrà essere destinato alla realizzazione di opere pubbliche di interesse della collettività, secondo la prescrizione dell'art. 6, sesto comma, della legge regionale. Questa norma, da sottintendersi anche nell'art. 10, secondo comma, corrisponde all'art. 24 della legge del 1927, escluso l'obbligo, che certo non può considerarsi un principio vincolante per il legislatore regionale, dell'investimento del prezzo in titoli del debito pubblico intestati al Comune.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25 (Norme in materia di usi civici e gestione delle terre civiche), sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 42 della Costituzione, dal Commissario regionale per il riordinamento degli usi civici con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1991.

 

Aldo CORASANITI -  Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1991.