Sentenza n. 578 del 1990

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SENTENZA N.578

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 37, lettera n), della legge regionale della Lombardia 31 luglio 1978, n. 47 (Norme per la protezione e la tutela della fauna e disciplina dell'esercizio venatorio), come integrato dall'art. 28 della legge regionale della Lombardia 16 agosto 1988, n. 41, promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1989 dal T.A.R. per la Lombardia-Sezione staccata di Brescia nel ricorso proposto da Lona ti Sergio contro il Comune di Ghedi, iscritta al n. 413 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 26 e 37, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di costituzione di Lonati Sergio, nonchè l'atto di intervento della Regione Lombardia.

udito nell'udienza pubblica del 13 novembre 1990 il Giudice relatore Enzo Cheli;

uditi gli avvocati Claudio Chiola per Lonati Sergio e Gustavo Romanelli per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio promosso da L4onati Sergio nei confronti del Comune di Ghedi per l'annullamento di due provvedimenti assessorili in data 19 ottobre 1988, l'uno di revoca di autorizzazione per l'attività di tiro al volo su specie animali e l'altro di denegato rinnovo di tale autorizzazione, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione di Brescia, con ordinanza emessa il 24 novembre 1989, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 37, lett. n), della legge regionale della Lombardia 31 luglio 1978, n. 47 (Norme per la protezione e la tutela della fauna e disciplina dell'esercizio venatorio), come modificato dall'art. 28 della legge regionale 16 agosto 1988, n. 41, per violazione dell'art. 117 della Costituzione.

Il Tribunale remittente rileva che la norma impugnata, ancorchè inserita in un contesto normativo tendenzialmente circoscritto alla disciplina della caccia, stabilisce un divieto di carattere generale per l'attività di tiro a volo su ogni specie di animali vivi - ivi compresi quelli di allevamento - senza distinguere se si tratti di attività direttamente connessa all'esercizio della caccia oppure di autonoma attività sportiva. Ad avviso dello stesso Tribunale la Regione Lombardia, nel porre un siffatto divieto generalizzato, avrebbe ecceduto dai limiti posti dall'art. 117 della Costituzione, in quanto nella materia della caccia, spettante alla potestà legislativa regionale, sarebbero ricomprese le sole attività dirette all'abbattimento o alla cattura della selvaggina nei tempi e modi previsti dalla legge, nonchè le attività direttamente connesse alla pratica venatoria. L'ambito delle attribuzioni legislative regionali non potrebbe, invece, giungere a ricomprendere anche il tiro a volo sportivo che, non essendo nè finalizzato nè connesso alla pratica venatoria, costituirebbe sul piano oggettivo una attività del tutto autonoma dalla caccia, tanto nella forma del tiro al piattello che in quella dei tiro su volatili. La regolamentazione di tale attività dovrebbe, pertanto, ritenersi attinente non alla disciplina della caccia, bensì alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica, riservata in via esclusiva alla legislazione statale.

2.- É intervenuta nel giudizio la parte privata ricorrente, aderendo alle conclusioni formulate nell'ordinanza di rimessione. L'atto di costituzione rileva, in particolare, che il legislatore statale, con la legge-quadro 27 dicembre 1977, n. 968, sulla protezione della fauna e l'esercizio della caccia, ha escluso dal divieto di tiro a volo i volatili di allevamento (art. 20, lett. q), che non costituiscono "fauna selvatica", risultando gli stessi estranei alla sfera di protezione disposta da tale legge. Nè il tiro a volo su animali di allevamento potrebbe considerarsi attività strumentale della caccia dato il carattere autonomo della relativa disciplina sportiva.

3.- Si é costituita in giudizio la Regione Lombardia eccependo la infondatezza della questione.

La Regione ricorda come già nella disciplina 'precedente alla legge-quadro n. 968 del 1977 la nozione di caccia venisse a ricomprendere ogni atto diretto alla uccisione o cattura di selvaggina, comunque compiuto, ad eccezione dei casi di forza maggiore o caso fortuito (art. 1 R.D. 5 giugno 1939, n. 1016). Risultava, pertanto, esclusa la possibilità di ritagliare dalla materia venatoria una attività diretta alla uccisione di animali, quale il tiro a volo con animali vivi, qualificandola come sport anzichè come caccia. Distinzione questa tanto più improponibile in quanto l'intera attività venatoria, venuta meno ogni sua giustificazione per finalità di sostentamento, non può avere ormai altra qualificazione se non quella del carattere sportivo.

Più recentemente, la già citata legge-quadro n. 968 del 1977 ha stabilito che la fauna selvatica costituisce patrimonio indisponibile dello Stato (art. 1) e ha ricompreso nel suo ambito tutti i mammiferi ed uccelli "dei quali esistono popolazioni viventi, stabilmente o temporaneamente, in stato di naturale libertà, nel territorio nazionale" (art. 2). Ove pertanto esistano di una specie animale popolazioni viventi anche temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio italiano, l'intera specie sarebbe da considerarsi tutelata dalla legge, anche per quanto concerne gli esemplari che si siano riprodotti in cattività o mediante allevamento.

Il principio contenuto nell'art. 20, lett. q), della legge n. 968 del 1977 - che fa divieto di "usare volatili, esclusi quelli di allevamento, nelle esercitazioni, nelle gare e nelle manifestazioni sportive di tiro a volo" - dovrebbe, pertanto, necessariamente interpretarsi nel senso che l'esclusione non concerne quelle specie animali che vivono sul territorio nazionale anche e soprattutto in stato di naturale libertà. In ogni caso, il principio si esprime nel divieto assoluto dell'uso di animali selvatici nel tiro a volo: da tale divieto non potrebbe, d'altro canto, farsi discendere, secondo la Regione, anche un opposto principio, vincolante per la legislazione regionale, di libertà di utilizzazione per il tiro a volo di uccelli d'allevamento. La legge regionale avrebbe, pertanto, legittimamente esteso in modo generale il divieto di tiro a volo su animali vivi già contenuto, sia pure con una limitazione, nella legge statale.

4. - In prossimità dell'udienza, la parte ricorrente nel giudizio a quo ha presentato una memoria, insistendo per l'accoglimento della questione.

In tale memoria si ribadisce che la legge impugnata estenderebbe illegittimamente alla fauna di allevamento una tutela che la legge-quadro sulla caccia limita alla sola fauna selvatica, restando estranea alla stessa legge-quadro la finalità di generale tutela degli animali da maltrattamenti, perseguita dalla legge penale (art. 727 c.p.). La legge regionale impugnata avrebbe, pertanto, violato i principi della legislazione statale per sconfinare in un diverso ambito normativo, proprio dello Stato, che attiene all'ordine pubblico ed alla polizia di sicurezza.

Considerato in diritto

1. -La Regione Lombardia, con la legge regionale 16 agosto 1988, n. 41 - recante modifiche e integrazioni alla legge regionale 31 luglio 1978, n. 47, in tema di protezione e tutela della fauna e di disciplina dell'esercizio venatorio-ha statuito, all'art. 28, terzo comma, lett. n), il divieto di <usare specie animali per il tiro a volo>. Così disponendo, la Regione ha esteso la sfera di applicazione del divieto in precedenza stabilito, sempre in tema di tiro a volo, dall'art. 37, primo comma lett. n) della legge regionale n. 47 del 1978, dove l'attività vietata non veniva a ricomprendere-sulla scorta della disciplina già adottata dal legislatore nazionale con l'art. 20 lett. q), della legge 27 dicembre 1977, n. 968 - l'impiego nel tiro a volo dei volatili di allevamento.

Ad avviso del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia- Sezione di Brescia-l'estensione del divieto anche ai volatili di allevamento verrebbe a confliggere con l'art. 117 Cost. dal momento che il tiro a volo su tale categoria di animali sarebbe tale da realizzare un'attività sportiva del tutto autonoma sul piano oggettivo ed estranea alla materia della caccia di competenza regionale. La disciplina del tiro a volo sportivo risulterebbe altresì sottratta al legislatore regionale in quanto suscettibile di involgere profili attinenti all'ordine pubblico ed alla sicurezza pubblica, riservati alla valutazione esclusiva del legislatore statale.

2. - La questione non è fondata.

La soluzione del problema di costituzionalità prospettato dal giudice a quo impone innanzitutto un richiamo alla nozione di <caccia> come materia inclusa tra quelle spettanti, ai sensi dell'art. 117 Cost., alla competenza regionale. L'attività venatoria trova attualmente la sua definizione nel titolo III della legge n. 968 del 1977 (sostitutivo della disciplina in precedenza posta negli artt. 1 e ss. del R.D. 5 giugno 1939, n. 1016), dove, all'art. 8, si qualifica come esercizio di caccia <ogni atto diretto all'abbattimento o cattura di selvaggina mediante l'impiego dei mezzi di cui al successivo articolo 9 e degli animali a ciò destinati> (secondo comma), nonchè <il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della selvaggina o in attesa della medesima per abbatterla o catturarla> (terzo comma).

Ai sensi di tale definizione l'esercizio dell'attività venatoria viene, pertanto, a caratterizzarsi per il tipo di azioni svolte (abbattimento o cattura di animali e attività preparatorie), per l'oggetto cui l'attività in questione risulta diretta (animali da abbattere o catturare appartenenti alla fauna selvatica), nonchè per i mezzi destinati allo svolgimento della stessa attività (armi o animali consentiti dalla legge come strumenti di caccia).

A tali profili va aggiunta anche la finalità sportiva, che rappresenta, per tradizione, la motivazione preminente e naturale dell'attività venatoria.

Questi elementi ricorrono tutti anche nell'esercizio del tiro a volo, quando lo stesso si venga a realizzare in atti diretti all'abbattimento di selvaggina, cioé di specie di volatili appartenenti alla fauna selvatica. E questo induce a ritenere che l'art. 20, lett. q), della legge-quadro n. 968 del 1977, quando ha vietato il tiro a volo nei confronti di queste specie, non ha inteso tanto regolare le gare e le manifestazioni connesse a tale tipo di sport (con i relativi profili di ordine pubblico e sicurezza pubblica), quanto un aspetto particolare dell'attività venatoria, ponendo un divieto che risulta connesso alla caccia e che è diretto a vincolare, senza possibilità di deroghe, la legislazione regionale attinente a tale materia.

3.-Quanto precede non può condurre, d'altro canto, ad affermare - come ritiene l'ordinanza di rimessione - che l'esercizio del tiro a volo su volatili di allevamento rappresenti un'attività sportiva del tutto estranea all'esercizio della caccia e, in quanto tale, sottratta alla competenza regionale.

A questo proposito va in primo luogo rilevato che anche i volatili di allevamento possono, in certi casi, assumere le caratteristiche proprie della selvaggina, ove risultino appartenenti alla fauna selvatica protetta dalla legge-quadro n. 968 del 1977. Tale legge, all'art. 2, include, infatti, nella fauna selvatica, con riferimento alla categoria dei volatili, <gli uccelli dei quali esistono popolazioni viventi, stabilmente o temporaneamente, in stato di naturale libertà, nel territorio nazionale>.

Dal che la conseguenza che anche i volatili nati od allevati (a seguito di cattura) in stato di cattività non per questo perdono la loro naturale qualità di <fauna selvatica>, ove risultino appartenenti a specie viventi in stato di naturale libertà nel territorio nazionale: il loro abbattimento mediante il tiro a volo non può, pertanto, non integrare, sotto tutti i profili richiamati, un'attività qualificabile come venatoria in senso proprio.

Ma anche nei confronti dei volatili di allevamento non appartenenti a specie riconducibili alla <fauna selvatica> (come il piccione nelle sottospecie addomesticate) la tesi della oggettiva diversità (e della conseguente separazione delle competenze) tra attività di tiro a volo ed esercizio della caccia non viene a trovare una giustificazione adeguata. Il tiro a volo realizza, infatti, anche in questo caso-per le azioni adottate, i mezzi impiegati ed il fine perseguito-un'attività assimilabile, nei suoi maggiori elementi caratterizzanti, a quella venatoria in senso proprio, cui risulta altresì solitamente collegata in funzione propedeutica o strumentale.

Il fatto che tale attività venga diretta, in certi casi, all'abbattimento di volatili di allevamento non appartenenti alla fauna selvatica non può, dunque, ritenersi preclusivo ai fini dell'esercizio della competenza regionale, tanto più ove si consideri che i contenuti della <caccia> (definita nell'art. 99 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, con riferimento anche alla <<protezione faunistica> ed alla <polizia venatoria e di difesa del patrimonio zootecnico>), si sono andati arricchendo, negli orientamenti recenti della giurisprudenza costituzionale, con riferimento alla <protezione dell'ambiente naturale e di ogni forma di vita, a cui viene subordinata qualsiasi attività sportiva> (cfr. sentenza n. 63 del 1990, par. 6).

Le osservazioni che precedono conducono, di conseguenza, a respingere la questione di legittimità della norma impugnata sotto il profilo del difetto di competenza regionale, anche in relazione al fatto che l'art. 20, lett. q), della legge-quadro sulla caccia, nel mentre vieta in generale il tiro a volo nei confronti dei volatili non di allevamento, non esclude che la Regione possa adottare discipline più restrittive anche con riferimento ai volatili di allevamento.

Contro tale conclusione non può, infine, valere il richiamo, compiuto nell'ordinanza di rinvio, ai profili di ordine pubblico e di sicurezza pubblica che vengono posti in gioco dall'attività di tiro a volo, quando questa si svolga nelle forme della gara o della manifestazione pubblica (cfr. art. 70 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e art. 727 codice penale), dal momento che tali profili incidono su oggetti e interessi diversi da quelli direttamente inerenti all'esercizio dell'attività venatoria e restano in ogni caso riservati alla competenza statale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, con l'ordinanza di cui in epigrafe, nei confronti dell'art. 37, lett. n), della legge regionale della Lombardia 31 luglio 1978, n. 47 (Norme per la protezione e la tutela della fauna e disciplina dell'esercizio venatorio), come modificato dall'art. 28 della legge regionale della Lombardia del 16 agosto 1988, n. 41, con riferimento all'art. 117 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Enzo CHELI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 28/12/90.