Sentenza n. 466 del 1990

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SENTENZA N.466

 

ANNO 1990

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Francesco SAJA, Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi promossi con ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Toscana, notificati il 17 e 23 aprile 1990, depositati in cancelleria il 23 e 26 aprile successivi, per conflitti di attribuzione sorti a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 16 febbraio 1990, recante < Direttive alle Regioni in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza a carattere regionale ed infraregionale>, ed iscritti ai nn. 12 e 13 del registro conflitti 1990.

 

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Emilia Romagna, Paolo Barile e Giuseppe Morbidelli per la Regione Toscana e l'Avvocato dello Stato Mario Cevaro per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con sentenza n. 396 del 1988 questa Corte, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972 nella parte in cui non prevede che le "I.P.A.B. regionali ed infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di un'istituzione privata", ha osservato che, in assenza di un'apposita normativa, l'accertamento di tali requisiti può avvenire anche in via amministrativa "sulla base dell'esercizio dei poteri di cui sono titolari sia l'amministrazione statale che quella regionale in tenia di riconoscimento, trasformazione ed estinzione delle persone giuridiche private".

 

Al fine di coordinare l'esercizio di tali poteri, che atterrebbero ad una materia delegata alle regioni dall'art. 14 d.P.R. n. 616 del 1977, il Presidente del Consiglio dei ministri, con decreto 16 febbraio 1990, ha emanato, ai sensi dell'art. 4 dello stesso d.P.R., direttive per l'esercizio delle funzioni amministrative di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato, alle I.P.A.B. regionali ed infraregionali.

 

Contro tale atto, le Regioni Emilia-Romagna e Toscana, con ricorsi notificati rispettivamente in data 17 e 23 aprile 1990, hanno sollevato conflitto di attribuzioni nel presupposto che le norme in esso contenute non disciplinerebbero il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato, ma, bensì, l'accertamento della natura pubblica o privata delle I.P.A.B., una funzione cioé che, rientrando nell'ambito della materia "beneficenza pubblica" - e secondo la Regione Toscana anche della materia "ordinamento degli enti amministrativi dipendente dalla regione" - risulterebbe, non già delegata, ma espressamente attribuita dall'art. 117 della Costituzione.

 

2.- Ad avviso delle ricorrenti, il procedimento di valutazione delle caratteristiche strutturali ed organizzativi dell'I.P.A.B. al fine di verificare se la stessa possa essere privatizzata, o se invece sussistano ragioni che ne giustifichino il mantenimento quale istituzione pubblica, attenendo all'ambito dell'ordinamento proprio del settore assistenziale, non avrebbe nulla a che vedere con il successivo momento del riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato. Quest'ultimo, infatti, comporta una valutazione discrezionale degli interessi perseguiti dall'ente alla luce delle finalità dell'ordinamento statuale, ed ha carattere costitutivo, mentre, la qualificazione della natura giuridica dell'ente, richiedendo una semplice verifica degli indici rivelatori del tipo di personalità effettivamente posseduta, non comporta alcuna discrezionalità, ed ha carattere accertativo.

 

Osserva in particolare la Regione Toscana che, venuto meno, per effetto della sentenza n. 396 del 1988, il "mantello" pubblicistico indiscriminatamente gettato dalla legge su tutti gli istituti di beneficenza, la rideterminazione della loro natura giuridica non richiede alcun apprezzamento discrezionale circa l'opportunità dell'ingresso di un nuovo soggetto giuridico nell'ordinamento poichè il soggetto già esiste, nè alcuna valutazione circa la convenienza di "trasformare" un ente pubblico in struttura privata, giacchè gli effetti della citata sentenza non implicano una trasformazione in senso proprio, ma, più semplicemente, una verifica del tipo di personalità giuridica già posseduta dall'ente. Una volta identificatone l'eventuale carattere privato, solo la successiva fase di inserimento nel novero delle persone giuridiche private, che si sostanze nell'iscrizione nel pubblico registro delle persone giuridiche (art. 33 cod. civ.), costituirebbe funzione amministrativa delegata alle regioni.

 

Qualora, poi, al di là dell'autoqualificazione formale dell'atto si volesse ritenere che lo stesso costituisca espressione della funzione di indirizzo e coordinamento, entrambe le regioni sostengono che si tratterebbe di un potere esercitato in assenza di un'apposita previsione legislativa e, quindi, in violazione del principio di legalità, non essendo possibile rinvenire il necessario fondamento normativo della funzione nella sentenza n. 396 del 1988, che si é limitata ad indicare come semplici "punti di riferimento" l'art. 17 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 e l'art. 30 della legge regionale siciliana n. 22 del 1986, contenenti, peraltro, discipline fra loro notevolmente differenti.

 

Ad avviso delle ricorrenti, inoltre, la disciplina contenuta nel decreto 16 febbraio 1990 violerebbe i principi generali della legislazione statale in materia desumibili - secondo la predetta sentenza n. 396 del 1988 - dall'art. 30 della legge regionale siciliana n. 22 del 1986, con cui si porrebbe in totale contrasto, e dall'art. 17 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, di cui modificherebbe i criteri. Significative, a quest'ultimo riguardo, sarebbero le differenze attinenti agli elementi di ognuno dei tre caratteri (associativo, di istituzione promossa ed amministrata da privati, e di ispirazione religiosa) alternativamente richiesti, da entrambe le normative, per il riconoscimento della natura privata di una I.P.A.B.

 

La disciplina contenuta nel decreto impugnato che invece di integrare e specificare i criteri stabiliti nella legislazione vigente illegittimamente li altera, creerebbe altresì, secondo la Regione Emilia-Romagna, un'ingiustificata disparità di trattamento (art. 3 della Costituzione) rispetto alla normativa stabilita per la Regione Sardegna.

 

3.- Ulteriori censure sono state poi formulate dalla Regione Toscana, ad avviso della quale, la determinazione di indici di riconoscibilità con valore tassativo e vincolante e non semplicemente "tendenziale" della natura privata delle I.P.A.B. equivalendo, in negativo, ai criteri di riconoscimento delle I.P.A.B. pubbliche, inciderebbe sulla stessa individuazione dell'ambito e delle modalità di esplicazione delle funzioni in materia di assistenza e beneficenza, cosi violando l'autonomia della regione dal momento che la vincolerebbe ad una serie di criteri posti da una fonte diversa dalla legge.

 

Analoga violazione si riscontrerebbe, anche per quanto concerne la materia degli "enti amministrativi dipendenti dalle regioni" in ordine alla quale l'art. 12 del d.P.R. n. 616 del 1977 ha trasferito le funzioni che riguardano "l'istituzione, i controlli, la fusione, la soppressione e l'estinzione degli enti pubblici locali operanti nelle materie di cui al presente decreto", enti, fra i quali, rientrerebbero senza dubbio le I.P.A.B. Il decreto impugnato, ponendo i presupposti per l'espulsione dall'orbita delle competenze regionali di tutte le istituzioni la cui procedura di accertamento della natura privata dia esito positivo, violerebbe l'autonomia della regione in ordine all'individuazione e disciplina degli enti pubblici operanti nella propria sfera di attribuzioni.

 

Peraltro, secondo la ricorrente, anche ammettendo che la normativa censurata attenga a funzioni delegate, poichè si tratterebbe comunque di funzioni che costituiscono un'integrazione necessaria delle competenze proprie della regione, lo Stato non potrebbe emanare direttiva dettagliate e vincolanti, in quanto, in questo caso, la limitazione delle competenze delegate, come già ritenuto da questa Corte (sent. n. 559 del 1988), finirebbe "per impedire o contraddire quell'esercizio organico che si é voluto garantire alle funzioni proprie delle regioni".

 

Osserva, infine, la Regione Toscana che qualora la direttiva fosse considerata espressione della funzione di indirizzo e coordinamento, essendo il relativo potere giustificato dalla sola necessità di soddisfare le istanze unitarie dell'ordinamento, nel caso in esame, risulterebbe illegittimamente esercitato: l'atto impugnato infatti, conterrebbe criteri destinati a valere soltanto per alcune regioni, consentendo, invece, che in Sicilia e in Sardegna continuino ad operare le normativa richiamate dalla già citata sentenza di questa Corte. Il decreto censurato, poi, stabilendo parametri talmente specifici e dettagliati da precludere sostanzialmente alla regione ogni margine di apprezzamento nell'individuazione della natura giuridica delle I.P.A.B., vanificherebbe la competenza legislativa ed amministrativa regionale nella materia, così violando un altro dei canoni di legittimità della funzione di indirizzo e coordinamento individuati da questa Corte.

 

4.- Nel giudizio promosso dalla Regione Toscana ha spiegato intervento l'Avvocatura generale dello Stato rilevando anzitutto che proprio questa Corte, nella sentenza n. 396 del 1988, ha affermato che la potestà di disciplinare l'accertamento dell'eventuale natura privata delle I.P.A.B. spetta allo Stato e che, a tal fine, lo stesso avrebbe quindi utilizzato il solo strumento offertogli dal vigente ordinamento, cioé le direttiva di cui all'art. 4 del d.P.R. n. 616 del 1977.

 

L'interveniente, osservando che le I.P.A.B. sono organismi diversi dagli enti amministrativi dipendenti dalla regione, per cui la loro normativa non potrebbe interferire con le competenze regionali, ha negato la possibilità di distinguere il momento dell'accertamento della natura giuridica da quello di cui all'art. 12 del codice civile attributivo della personalità giuridica, in quest'ultimo, infatti, secondo un'interpretazione ampia ormai ammessa, può comprendersi anche la trasformazione delle persone giuridiche pubbliche in private.

 

D'altra parte, poichè il riconoscimento della personalità di diritto privato presuppone la verifica di talune condizioni di compatibilità con l'ordinamento vigente e di fattibilità delle forme di beneficenza proposte, non può dubitarsi che i tre caratteri (associativo, di istituzione promossa ed amministrata da privati, e di ispirazione religiosa) presi in considerazione dalla direttiva impugnata attengano agli elementi costitutivi della nuova persona giuridica e non già alla materia "beneficenza pubblica".

 

Considerato in diritto

 

1.-Le Regioni Emilia-Romagna e Toscana hanno sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 16 febbraio 1990 recante < Direttiva alle regioni in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza a carattere regionale ed infraregionale>.

 

Si sostiene sostanzialmente dalle ricorrenti, con censure in parte simili, che l'atto impugnato sarebbe invasivo di competenze regionali, perchè l'attribuzione della qualifica di persona giuridica privata alle I.P.A.B. che ne abbiano i requisiti, rientrando fra le funzioni trasferite- in quanto attinente alla materia della beneficenza pubblica e degli enti amministrativi dipendenti dalla regione e non alle funzioni delegate dall'art 14 del d.P.R. n. 616 del 1977 in tema di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato-non poteva formare oggetto di direttiva, ai sensi dell'art. 4 dello stesso decreto delegato.

 

Trattandosi, perciò, di funzioni trasferite, qualora, nonostante l'autoqualificazione della direttiva, l'atto impugnato dovesse invece ritenersi sostanzialmente emanato nell'esercizio del potere di indirizzo e coordinamento, esso sarebbe ugualmente lesivo delle sfere regionali, perchè adottato in assenza di espressa previsione legislativa, destinato a valere soltanto per alcune regioni e contenente una disciplina oltremodo specifica e dettagliata. Ma anche ad ammettere, come sostiene la Regione Toscana, che si verta nell'ambito di funzioni delegate, si tratterebbe pur sempre di una delega c.d. traslativa perchè necessaria ai fini dell'esercizio delle funzioni trasferite e, quindi, la direttiva, risultando eccessivamente dettagliata e vincolante, finirebbe per impedire o contraddire proprio quell'esercizio organico che si è voluto garantire attraverso la delega.

 

L'atto impugnato violerebbe comunque i criteri desumibili dalla legislazione vigente, individuabili - secondo quanto affermato dalla sentenza di questa Corte n. 396 del 1988 nella legge della Regione Siciliana n. 22 del 1986 e nelle norme di attuazione dello Statuto della Sardegna (d.P.R. n. 348 del 1979), nonchè il principio generale in base al quale gli indici rivelatori del carattere pubblico o privato di un ente hanno valore solo tendenziale e non vincolante. Si sostiene infine la violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto, derogandosi ai criteri contenuti nel d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, si determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla normativa ivi prevista per la Regione Sardegna.

 

2. - Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei giudizi in quanto con i due ricorsi è stato impugnato il medesimo atto in termini sostanzialmente analoghi.

 

3. - I ricorsi sono infondati.

 

É opportuno premettere che, come già si è avuto modo di accennare e come risulta dalla stessa narrativa del decreto impugnato, questo è stato espressamente emanato in conseguenza della sentenza n. 396 del 1988 di questa Corte che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, recante norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, nella parte in cui non prevede che le I.P.A.B. regionali ed infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato qualora ne abbiano i requisiti. Si era osservato nella pronuncia che, anche in mancanza di apposita normativa organica che disciplini le ipotesi ed i procedimenti per l'accertamento della natura privata delle I.P.A.B., la possibilità di far conseguire la qualificazione privatistica a quegli enti che fossero a ciò interessati sono offerte non solo dalla via dell'accertamento giudiziale (come era avvenuto nel relativo giudizio a quo) ma anche dalla < trasformazione in via amministrativa, sulla base dell'esercizio dei poteri di cui sono titolari sia l'amministrazione statale che quella regionale in tema di riconoscimento, trasformazione ed estinzione delle persone giuridiche private>, soggiungendosi che al riguardo potessero costituire utili < punti di riferimento>, in quanto espressione di principi generali insiti nell'ordinamento, alcune indicazioni desumibili dalle norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna (d.P.R. n. 348 del 1979) e dalla legge della Regione Siciliana n. 22 del 1986, da atti normativi cioé costituenti con i principi e criteri in essi contenuti < un significativo superamento della legge n. 6972 del 1890>.

 

Va poi rilevato che dalle premesse dell'impugnato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri risulta espressamente che con esso si è inteso esercitare il potere di direttiva previsto dal terzo comma dell'art. 4 del d.P.R. n. 616 del 1977 in relazione alle funzioni amministrative delegate alle regioni dall'art. 14 dello stesso d.P.R. e < concernenti le persone giuridiche di cui all'art. 12 del codice civile che operano esclusivamente nelle materie di cui al presente decreto e le cui finalità statutarie si esauriscano nell'ambito di una sola regione>.

 

Ciò premesso, non può essere condiviso l'assunto, comune ad entrambi i ricorsi, secondo cui il potere di direttiva non poteva essere esercitato, essendosi al di fuori delle funzioni delegate di cui all'art. 14 del d.P.R. n. 616, disposizione che riguarderebbe la sola fase del riconoscimento della personalità giuridica di cui le I.P.A.B. sono già dotate. Questa tesi muove da una interpretazione riduttiva del citato art. 14, non consentita dalla sua portata effettiva tesa a determinare l'oggetto della delega non tanto e non solo in riferimento alla fase del riconoscimento, bensì, più in generale, in relazione all'esercizio di tutte le funzioni amministrative degli organi centrali e periferici dello Stato concernenti le persone giuridiche di cui all'art. 12 del codice civile, operanti esclusivamente nelle materie di competenza regionale.

 

Appare, difatti, evidente che l'espressione < di cui> all'art. 12 del codice civile>, è utilizzata per individuare la categoria delle persone giuridiche che da tale articolo del codice civile ricevono primaria identificazione, e non già per operare un rinvio alla sola fase del riconoscimento.

 

Da ciò discende che l'esercizio di tutte le funzioni concernenti le persone giuridiche private esercitate o esercitabili dagli organi centrali e periferici dello Stato rientrano nell'ambito di quelle delegate alle regioni, ivi comprese quelle concernenti tutte le altre vicende che, modificando le situazioni di fatto e di diritto collegate a tale riconoscimento, incidano sulla sua portata e sui suoi effetti.

 

Tale è appunto il caso della vicenda costituita dal mutamento della qualifica di dette istituzioni da pubbliche a private, cioè, di una modifica dello status, reso possibile dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, sotto la cui vigenza, fino all'avvento della Costituzione repubblicana (art. 38, ultimo comma), il riconoscimento della personalità giuridica delle istituzioni di beneficenza, dette anche < opere pie>, ivi comprese quelle che avessero intrinseco carattere privato, comportava necessariamente l'attribuzione della qualifica di ente pubblico secondo l'opinione pacifica della dottrina e della giurisprudenza che aveva poi trovato un preciso referente normativo nel regio- decreto n. 2841 del 1923 espressamente indicativo di tale carattere.

 

É vero perciò quanto si sostiene dalle ricorrenti, secondo cui < la persona giuridica, .... esiste già e dunque non occorre svolgere alcuna valutazione circa l'opportunità dell'ingresso di un nuovo soggetto giuridico nell'ordinamento o circa la convenienza di trasformare un ente, già pubblico, in struttura privata>. Ma se è esatto, come le stesse regioni ricorrenti assumono, che l'operazione di mutamento della qualifica non comporta apprezzamenti di natura discrezionale avente quel carattere costitutivo tipico dell'atto di riconoscimento, è pur vero che si è in presenza di una vicenda modificativa ad esso strettamente collegata e finalizzata in ragione degli effetti che è destinata a produrre nel regime giuridico dell'ente. Pertanto, proprio perchè si tratta di verificare la sussistenza di requisiti obbiettivamente riscontrabili, le attività dirette a prendere atto della natura giuridica dell'istituzione, se compiute in via amministrativa, come suggerito dalla sentenza n. 396 del 1988, rientrano a pieno titolo nelle funzioni delegate dall'art. 14 del d.P.R. n. 616 e non già in quelle trasferite dall'art. 22 dello stesso decreto nella materia della beneficenza pubblica.

 

Tali attività hanno difatti come oggetto diretto ed immediato una vicenda che attiene al modo di essere della personalità giuridica dell'istituzione, incidendo solo indirettamente nella materia della beneficenza pubblica che ne costituisce, dunque, l'ambito di operatività, ai sensi del citato art. 14.

 

4. - Le considerazioni per ultimo formulate tolgono altresì valore all'argomento, che sembra essere sostenuto dalle regioni ricorrenti, secondo cui il carattere non discrezionale dell'attività qualificatoria delle istituzioni in parola come enti privati, denoterebbe-a differenza delle funzioni attinenti al riconoscimento in senso proprio della personalità giuridica, implicante valutazione di opportunità e convenienza-la loro appartenenza al novero delle funzioni trasferite, a causa della diminuzione di soggetti che, prendendosi atto del mutamento della natura da pubblica in privata, si produce nel tessuto sociale ed organizzativo attinente alla materia della beneficenza pubblica.

 

Al riguardo osserva la Corte che se questa conseguenza si determina, essa, secondo quanto si è già avuto modo di osservare, costituisce effetto indiretto e comunque non principale dell'attività di verifica della sussistenza di una situazione divenuta anche giuridicamente rilevante a seguito della sentenza n. 396 del 1988.

 

D'altronde, che il riflesso nella materia dell'assistenza sia solo indiretto risulta anche dalla circostanza che, secondo quanto già espressamente ritenuto possibile dalla predetta sentenza e come le regioni ricorrenti non contestano, a tale nuova qualificazione degli enti in parola può egualmente pervenirsi attraverso verifica da parte del giudice ordinario, sia mediante accertamento in via principale sia addirittura mediante ricognizione in via incidentale, dei requisiti ritenuti sufficienti ai fini della qualificazione privatistica dell'ente.

 

5. -La Presidenza del Consiglio ha dunque seguito il suggerimento contenuto nella sentenza di questa Corte n. 396 del 1988 che, una volta riconosciuta quella giudiziaria come la sede propria per la ricognizione della natura privatistica delle I.P.A.B., aveva tuttavia ammesso la possibilità di conseguire il medesimo risultato in via amministrativa al fine di evitare l'insorgenza di un eccessivo contenzioso ed il prolungarsi di una situazione di incertezza per quelle I.P.A.B. la cui natura non è stata ancora definita.

 

A tale scopo, la direttiva governativa ha ritenuto di stimolare l'esercizio del potere delegato da parte delle regioni in tema di funzioni concernenti le persone giuridiche private. In questo quadro, pur trattandosi di delega c.d. devolutiva o traslativa (sentenza n. 559 del 1988), deve escludersi che, nell'elencare i criteri da seguirsi per l'attribuzione in via amministrativa della qualifica privata alle I.P.A.B. che ne facciano richiesta, il Governo abbia ecceduto dai limiti imposti dalla natura traslativa della delega.

 

Al riguardo si devono difatti considerare le peculiarità, già messe in evidenza, dell'attività volta a verificare la sussistenza dei requisiti del carattere privato dell'istituzione, attività da cui, come le stesse regioni ricorrenti asseriscono, sia pur per pervenire a conclusioni opposte, esula ogni apprezzamento discrezionale. Non possono perciò valere quei limiti, indicati, nella già richiamata sentenza n. 559 del 1988, come propri delle direttive volte a regolare l'esercizio, da parte delle regioni, di potestà discrezionali derivanti da deleghe c.d. traslative o devolutive, essendosi in presenza di un'attività di verifica per sua natura vincolata.

 

Nell'emanare la direttiva impugnata, il Governo ha individuato dei criteri assumendo, secondo le indicazioni contenute nella sentenza n. 396 del 1988 di questa Corte, come < punti di riferimento> alcuni degli esempi normativi richiamati dalla sentenza stessa.

 

Trattandosi di direttiva volta a regolare l'attività di verifica della sussistenza di certi presupposti obbiettivi e non implicante valutazioni discrezionali, non può perciò ritenersi che- indicandosi specificatamente i presupposti in presenza dei quali, al di fuori di un accertamento giudiziale, possa pervenirsi alla ricognizione del carattere privato dell'ente-si sia ecceduto dai limiti consentiti per direttive del genere.

 

6. - Nè, - per negare che la verifica della natura giuridica delle I.P.A.B. rientri nell'ambito delle funzioni delegate ed affermare invece che si tratti di funzioni trasferite -, può seguirsi la tesi, secondo cui le I.P.A.B. apparterrebbero alla categoria degli enti dipendenti dalle regioni, in quanto operanti nel settore dell'assistenza e della beneficenza pubblica.

 

Che non si sia in presenza di enti appartenenti a tale categoria si desume in primo luogo dalla sentenza n. 173 del 1981 di questa Corte con cui è stata dichiarata l 'illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma 5, del d.P.R. n. 616 (che prevedeva la soppressione delle I.P.A.B. infraregionali) muovendo dalla considerazione che tale soppressione esulava dalle previsioni della legge di delega n. 382 del 1975, proprio in ragione dello < spessore storico> di dette istituzioni, determinante una peculiare categoria di enti con caratteristiche tali da sottrarle - in virtù dell'art. 38 della Costituzione, che sancisce il principio della libertà della assistenza privata -, alle funzioni connesse alle operazioni di trasferimento alle regioni.

 

D'altra parte, già prima di tale pronuncia, l'interpretazione dell'art. 13 d.P.R. n. 616 del 1977 - che attribuisce espressamente alle regioni le funzioni concernenti < l'istituzione, i controlli, la fusione, la soppressione e l'estinzione di enti pubblici locali operanti nelle materie di cui al presente decreto>, così equiparando quest'ultimi, ai limitati fini del trasferimento delle funzioni, agli enti amministrativi strumentali dipendenti dalla regione-non poteva prescindere da una lettura sistematica dell'intero decreto delegato. Al riguardo, se si considerano gli effetti dell'attività in questione, diretta ad accertare l'eventuale natura privata dell'istituzione al fine di sottrarla al regime pubblicistico della legge Crispi, non si può non rilevare che il legislatore delegato aveva escluso il potere regionale di disporre in ordine all'esistenza delle I.P.A.B., dettando all'uopo apposita disciplina contenuta nell'art. 25 del decreto di trasferimento. E la dichiarata illegittimità costituzionale di tale disposizione si fondò, come si è visto, sulla riscontrata mancanza di un'espressa norma statale di delega, ritenuta necessaria, non tanto a superare l'esigenza di trasferire alle regioni le funzioni concernenti gli enti locali operanti nelle materie di loro competenza, quanto piuttosto ad incidere sul peculiare regime giuridico delle I.P.A.B. la cui soppressione avrebbe richiesto < da parte del legislatore delegante un'indicazione in termini non equivoci del thema transferendum>.

 

Se, dunque, il legislatore delegato aveva comunque escluso che le regioni, per alcune categorie di enti, fra le quali le I.P.A.B., potessero esercitare i poteri di cui all'art. 13 del d.P.R. n. 616 del 1977, ed in particolare quello di disporre dell'esistenza dell'ente, dettando al riguardo una specifica disciplina-per la cui attuazione l'intervento regionale era previsto nella sola ipotesi di mancata emanazione della legge statale di riforma generale dell'assistenza (art. 25 comma 7 d.P.R. 616, anch'esso dichiarato illegittimo dalla sent. n. 173 del 1981)-anche l'attività di ricognizione dell'eventuale natura privata dell'istituzione pubblica di assistenza e beneficenza, non può ritenersi ricompresa nelle materie trasferite.

 

Tale attività, difatti, incidendo sul modo di essere di tali istituzioni, si sottrae alla sfera di funzioni che in base al citato art. 13 le regioni esercitano sugli enti locali operanti nelle materie trasferite e rientra invece nell'ambito delle competenze delegate di cui al successivo art. 14, costituendo - come si è già detto - una vicenda strettamente collegata al riconoscimento della personalità giuridica.

 

7. -In ordine alla denunciata violazione dei principi generali della legislazione statale nella materia, quali desumibili dalle norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna emanate con d.P.R. n. 348 del 1979 e dalla legge regionale siciliana n. 22 del 1986, che la direttiva non avrebbe osservato, ponendosi così in contrasto con le indicazioni contenute nella sentenza n. 396 del 1988, va osservato che detta sentenza, nell'indicare la possibilità della via amministrativa, come alternativa o preventiva rispetto a quella della ricognizione giudiziale, non aveva fornito -nè avrebbe potuto farlo-indicazioni vincolanti circa i principi ed i criteri da desumersi dal sistema legislativo vigente. I testi normativi in questione erano stati infatti richiamati, indipendentemente dalla loro vigenza, solo < come utile punto di riferimento> per l'enucleazione dei predetti principi, un richiamo cioè da valere come guida per poter pervenire, in mancanza di apposita legge organica, alla ricognizione della natura privata dell'istituzione.

 

8. -Prive di fondamento sono anche le censure attinenti, l'una alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, perchè l'atto impugnato porrebbe una disciplina diversa rispetto a quella prevista per la Regione Sardegna, l'altra alla violazione del principio generale secondo cui gli indici rivelatori del carattere pubblico o privato di un ente avrebbero valore < tendenziale e non vincolante>.

 

Relativamente alla prima delle censure suddette, va infatti rilevato che le richiamate norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna (d.P.R. n. 348 del 1979)-emanate, come si evince dallo stesso titolo del provvedimento, in relazione al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616-muovono dal presupposto della vigenza dell'art. 25 del medesimo decreto, ormai venuto meno per effetto della sentenza di questa Corte n. 173 del 1981, con i conseguenti e naturali riflessi sulle disposizioni che si fondano su tale articolo. Esse non sono quindi utilmente invocabili come tertium comparationis, avendo come presupposto un contesto normativo diverso.

 

Per quanto attiene all'altra censura, si deve osservare che le già evidenziate peculiarità della presente funzione delegata (vedi precedente punto 5) giustificano, per un'ovvia esigenza di uniformità, la specifica individuazione degli indici di riconoscimento della natura pubblica o privata di un ente.

 

D'altronde la direttiva, nel determinare tali indici, ha pienamente rispettato quello che è l'aspetto qualificante degli stessi e cioé il loro valore sintomatico, perchè ha richiesto la sussistenza congiunta di più elementi rivelatori che spetta alla regione di verificare in concreto.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara che spettava allo Stato il potere di emanare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 1990 (Direttiva alle regioni in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza a carattere regionale ed infraregionale) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 45 del 23 febbraio 1990.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/09/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 16/10/90.