Sentenza n. 444 del 1990

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SENTENZA N.444

 

ANNO 1990

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Francesco SAJA, Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 15, terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477 (Delega al Governo per l'emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato) promossi con ordinanze emesse il 9 maggio 1989 (n. 2 ordd.), il 9 giugno 1989 e il 7 luglio 1989 dal T.A.R. della Sicilia - sezione staccata di Catania, iscritte rispettivamente ai nn. 173, 174, 175 e 176 del registro ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1990.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1990 il Giudice relatore Mauro Ferri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con quattro ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, il T.A.R. Sicilia - sezione staccata di Catania - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477, recante "Delega al Governo per l'emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato".

 

Va precisato che tre delle ordinanze di remissione (r.o. nn. 173, 175 e 176) sono state emesse in sede di esame delle domande di sospensione dei provvedimenti impugnati proposte dai ricorrenti, dopo che, come precisa lo stesso giudice a qua, con coeva ordinanza era stata disposta, "in accoglimento temporaneo della domanda cautelare, ...la sospensione del provvedimento impugnato sino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale".

 

Il T.A.R. remittente osserva che il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età del personale ispettivo, direttivo, docente e non docente delle scuole statali di ogni ordine e grado é disciplinato dall'art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477; tale norma, dopo aver unificato, al primo comma, il limite di età per tutto il personale a 65 anni, ha, tuttavia, previsto, ai commi secondo e terzo, - al fine di non pregiudicare la posizione di coloro che contavano, in base alla normativa previgente, di essere collocati in pensione al compimento del 70° anno di età - la possibilità, per tutti i docenti e i non docenti, purchè in servizio al lo ottobre 1974, di rimanere in servizio fino a maturare il periodo richiesto per il massimo della pensione e comunque fino al 70° anno (secondo comma); oppure, fino al 70° anno, ove al compimento del 65° anno non fosse stato raggiunto il numero di anni richiesto per il minimo della pensione (terzo comma).

 

Nessuna particolare disposizione al riguardo é, invece, prevista nei dd.P.R. nn. 417 e 420 del 1974, rispettivamente per il personale docente e non docente (cfr. artt. 109 e 39).

 

Ciò premesso, il giudice remittente rileva che nel settore del pubblico impiego esiste una stretta connessione tra il limite di età per l'assunzione dei dipendenti e il limite di età prescritto per il loro collocamento a riposo, determinato in modo tale da garantire il conseguimento del diritto a pensione. L'esistenza di tale principio é dimostrata dall'intima correlazione che sussiste tra l'art. 2 dei d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (come modificato dalla legge 27 gennaio 1989, n. 25), il quale stabilisce in 40 anni, di regola, (elevabile in casi speciali a 45) il limite di età per la partecipazione ai concorsi pubblici, e l'art. 42, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, il quale prescrive che il diritto a pensione sorge dopo quindici anni di effettivo servizio.

 

Allorchè disposizioni speciali hanno previsto l'assunzione prescindendo dai limiti di età sopra indicati, il legislatore si é preoccupato di elevare correlativamente il limite di età per il collocamento a riposo, come, ad esempio, é avvenuto con l'art. 13 della legge 26 dicembre 1981, n. 763, concernente i profughi.

 

Un intento analogo é stato perseguito con l'art. 15, terzo comma, della legge n. 477 del 1973. Tale norma, prosegue il giudice a quo, ha natura duplice, in quanto non ha la sola finalità di consentire la maturazione dei diritto a pensione ai docenti delle scuole secondarie che si erano visti abbassare l'età del collocamento a riposo (prima prevista in 70 anni) e quindi avevano acquisito legittime aspettative in tal senso, ma, riferendosi a tutte indistintamente le categorie di personale, persegue l'intento prevalente di garantire il diritto alla pensione a tutti i dipendenti che, assunti in ruolo ope legis (e quindi prescindendo dai limiti di età), non avrebbero potuto effettuare il servizio minimo richiesto ove fossero stati mantenuti in servizio solo fino al 65° anno di età.

 

Tale essendo la ratio della norma, l'esclusione del mantenimento in servizio oltre il 65° anno di età dei docenti e non docenti assunti dopo il 1° ottobre 1974 (quale é il caso dei ricorrenti nei giudizi a quibus) appare al giudice remittente irrazionale e discriminatoria, in palese violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto introduce una diversità di trattamento tra dipendenti pubblici che esplicano identiche funzioni e poichè l'esigenza di raggiungere un numero di anni di lavoro sufficiente per ottenere il minimo della pensione é un interesse di tutti i lavoratori, a prescindere dall'epoca della loro assunzione.

 

La norma censurata lederebbe, inoltre, l'art. 38 della Costituzione, in quanto non consente il conseguimento del diritto sociale alla pensione minima a quei lavoratori, che, entrati in servizio successivamente al 1° ottobre 1974, ad età inoltrata, non riuscirebbero in base alla normativa generale a completare, sia pure per pochi anni o mesi, il periodo di lavoro minimo richiesto per ottenere il trattamento di quiescenza (é richiamata la sentenza di questa Corte n. 238 del 1988).

 

2.- É- intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

 

Preliminarmente l'Avvocatura eccepisce l'inammissibilità delle questioni sollevate con le ordinanze emesse in sede cautelare, in quanto la disposta sospensione dei provvedimenti impugnati comporta che il potere cautelare é stato ormai esercitato, a nulla rilevando che la domanda di sospensione sia stata accolta in via temporanea sino all'esito del giudizio di costituzionalità.

 

Nel merito l'Avvocatura conclude per l'infondatezza delle questioni.

 

A suo avviso la norma censurata - di natura transitoria - trova la sua ragione nell'esigenza di tutelare le aspettative del personale già in servizio, per il quale la norma di cui al primo comma dello stesso art. 15 aveva abbassato l'età limite per il collocamento a riposo (e cioé del personale ispettivo, direttivo e docente della scuola secondaria ed artistica, il cui limite d'età era precedentemente fissato a 70 anni). Se la data-limite del 1° ottobre 1974 non fosse stata apposta, sicchè il regime transitorio si sarebbe potuto applicare a tutto il personale, anche a quello assunto in futuro, non di regime transitorio si sarebbe trattato, diretto a tutelare aspettative già maturate, bensì di regime definitivo e per di più con vanificazione della regola generale che unifica al 65° anno l'età pensionabile. Per chi, come i ricorrenti nei giudizi a quibus, non appartiene alle categorie di personale anzidette e, per di più, é entrato in servizio dopo il 1° ottobre 1974 il beneficio del trattenimento in servizio avrebbe un doppio carattere di eccezionalità.

 

In effetti, prosegue l'Avvocatura, la questione avrebbe dovuto avere per oggetto più appropriato l'art. 42, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, che stabilisce, per tutti i dipendenti statali, in 15 anni di servizio effettivo il requisito minimo per aver diritto alla pensione normale: il particolare trattamento del personale della scuola costituisce espressione di una disciplina derogatoria e non di carattere generale.

 

Quanto alle altre considerazioni svolte nelle ordinanze di rimessione, l'Avvocatura rileva, da un lato, che la pretesa correlazione tra limite d'età per l'accesso all'impiego e limite d'età per il collocamento a riposo non trova conferma nella normativa vigente, come é dimostrato dal fatto che quando la legge 29 gennaio 1989, n. 25 ha elevato il limite per la partecipazione ai concorsi pubblici nessuna corrispondente elevazione é stata disposta per il limite d'età del collocamento a riposo (nè può farsi riferimento alla legislazione sui profughi per il suo carattere di eccezionalità); dall'altro, in ordine alla pretesa duplice ratio della norma impugnata, si osserva che questa ha la sola finalità di carattere transitorio sopra illustrata, e che il fatto di aver ricompreso nell'unitaria nuova disciplina anche categorie di personale per le quali era già previsto il collocamento a riposo al 65° anno di età risponde soltanto a criteri di tecnica legislativa.

 

Considerato in diritto

 

1.-I giudizi, avendo ad oggetto un'identica questione, vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

 

2. - L'art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477 (recante delega al Governo per l'emanazione di norme sullo stato giuridico del personale della scuola), dopo aver stabilito, al primo comma, che a decorrere dal 1° ottobre 1974 il collocamento a riposo del personale ispettivo, direttivo, docente e non docente della scuola materna, primaria, secondaria ed artistica < avviene il 1° ottobre successivo alla data di compimento del 65° anno di età>, consente, al secondo comma, al personale in servizio al 1° ottobre 1974 che, per effetto del comma precedente, doveva essere collocato a riposo e non aveva raggiunto il numero di anni di servizio richiesto per il massimo della pensione, di < rimanere in servizio su richiesta fino al raggiungimento del limite massimo e comunque non oltre il 70° anno di età>.

 

Il successivo terzo comma, che qui specificamente interessa, prevede (nel testo vigente anche a seguito della sentenza di questa Corte n. 207 del 1986) che la disposizione di cui al comma precedente si applica anche al personale che, < in servizio al 1° ottobre 1974, al compimento del 65° anno di età non abbia raggiunto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione>.

 

Il remittente T.A.R. della Sicilia-sezione di Catania-, dopo aver precisato che nessuna particolare disposizione in ordine al trattenimento in servizio oltre il 65° anno è contenuta nella normativa delegata di cui ai dd.P.R. nn. 417 e 420 del 1974, rileva preliminarmente che nel settore del pubblico impiego esiste una stretta correlazione tra il limite di età per l'assunzione dei dipendenti e quello prescritto per il loro collocamento a riposo, in quanto quest'ultimo è sempre determinato in modo tale da garantire il conseguimento del diritto a pensione. Ciò posto, il giudice a quo osserva che il citato terzo comma dell'art. 15, riferendosi a tutte le categorie di personale e non soltanto a quelle (docenti delle scuole secondarie ed artistiche) alle quali lo stesso art. 15 -al primo comma - aveva abbassato l'età del collocamento a riposo da 70 a 65 anni, persegue l'intento prevalente di garantire il diritto al trattamento di quiescenza a tutti i dipendenti che, essendo stati assunti ope legis prescindendo dall'età, non avrebbero potuto raggiungere il periodo di servizio minimo richiesto se fossero stati inderogabilmente collocati a riposo al compimento del 65° anno.

 

Così individuata la ratio della norma, il giudice remittente ritiene che la stessa, nella parte in cui esclude il mantenimento in servizio del personale ultrasessantacinquenne docente e non docente assunto dopo il 1° ottobre 1974, che non abbia maturato l'anzianità minima per il trattamento di quiescenza, violi, da un lato, l'art. 3 della Costituzione, per irrazionale disparità di trattamento tra pubblici dipendenti a seconda che si siano o meno trovati in servizio al 1° ottobre 1974, <poichè l'esigenza di raggiungere un numero di anni di lavoro sufficiente per ottenere il minimo della pensione è un interesse di tutti i lavoratori a prescindere dall'epoca della loro assunzione>; dall'altro, l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, in quanto la norma, non consentendo ai lavoratori assunti dopo la data anzidetta, in età avanzata, di completare il periodo minimo richiesto per il conseguimento del trattamento di quiescenza, lede il diritto sociale alla pensione minima.

 

3.-Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce preliminarmente l'inammissibilità della questione, limitatamente ai casi in cui la stessa è stata sollevata dal giudice remittente in sede cautelare: sostiene l'Avvocatura dello Stato che la sospensione degli atti impugnati, disposta dal giudice stesso con separato provvedimento, sia pure temporaneamente < < fino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale>, avrebbe ormai comportato, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'avvenuto esercizio del potere cautelare da parte del giudice a quo, con conseguente irrilevanza della questione.

 

L'eccezione non può essere accolta.

 

Premesso che l'indicata vicenda processuale si è verificata in tre dei quattro giudizi a quibus, come meglio specificato in narrativa, e che pertanto la questione andrebbe comunque esaminata nel merito in relazione all'altro giudizio (in cui la stessa è stata sollevata nella fase di merito), va osservato che questa Corte ha dichiarato (v. da ult. sent. n. 579 del 1989) l'inammissibilità di questioni sollevate in sede di giudizio cautelare dopo l'accoglimento della relativa istanza da parte del giudice, e ciò per l'avvenuto esaurimento di ogni sua potestà in quella sede, con conseguente irrilevanza della questione ai fini di quel giudizio.

 

Ma nei casi in esame la situazione è diversa. Accertata la rilevanza (e la non manifesta infondatezza) della questione di costituzionalità ai fini della decisione sulla sospensiva, il T.A.R., contemporaneamente alla emissione dell'ordinanza di rimessione a questa Corte, ha disposto, con separato provvedimento, la sospensione degli atti impugnati in via provvisoria e temporanea fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di costituzionalità: tale pronuncia non ha determinato, per la sua natura meramente tecnica ed interinale, l'esaurimento del potere cautelare del giudice amministrativo, con la conseguenza che la proposta questione deve ritenersi tuttora fornita del requisito della rilevanza.

 

4.-Passando al merito, va innanzitutto precisato che la norma impugnata, pur inserita in una legge di delegazione in materia di stato giuridico del personale della scuola, detta una disciplina di diretta ed immediata applicazione circa un aspetto della materia stessa, sul quale, pertanto, nulla hanno disposto le norme delegate.

 

Ciò posto, la questione è fondata.

 

Questa Corte ha avuto modo in varie occasioni di occuparsi di normative (statali e regionali) concernenti i limiti di età per il collocamento a riposo dei pubblici dipendenti, con particolare riferimento al problema del trattenimento in servizio oltre tali limiti a fini previdenziali.

 

Nella sentenza n. 238 del 1988, citata nelle ordinanze di rimessione e relativa a leggi delle Regioni Calabria e Campania, le quali consentono ai dipendenti regionali ultrasessantacinquenni, che non hanno maturato il diritto al trattamento minimo di pensione, di essere mantenuti eccezionalmente in servizio per il periodo strettamente necessario al conseguimento di tale diritto, la Corte, nel dichiarare infondata la questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all'art. 117 della Costituzione, sottolineò fra l'altro che le norme impugnate rispondono a < finalità sociali di particolare pregio costituzionale>, in quanto tendenti a conferire < il massimo di effettività alla garanzia del diritto sociale alla pensione>, riconosciuto a tutti i lavoratori dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione.

 

Nella successiva sentenza n. 461 del 1989, la Corte, pur dichiarando non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui non prevede in linea generale il diritto al trattenimento in servizio del personale statale ultrasessantacinquenne che non abbia ancora maturato l'anzianità di servizio minima per il conseguimento del diritto a pensione, osservò, tuttavia, che < nella prospettiva di una più ampia attuazione del diritto garantito dall'art. 38, secondo comma, Cost., l'interesse del lavoratore ad essere trattenuto in servizio per il tempo necessario al conseguimento della pensione normale è meritevole di considerazione>, tanto più che la presunzione secondo cui al compimento dei sessantacinque anni si pervenga ad una diminuita disponibilità di energia incompatibile con la prosecuzione del rapporto < è destinata ad essere vieppiù inficiata dai riflessi positivi del generale miglioramento delle condizioni di vita e di salute dei lavoratori sulla loro capacità di lavoro>.

 

Va poi rilevato che successivamente a dette pronunce sono intervenuti il decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357, convertito dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417, il quale, all'art. 10, sesto comma, dispone che il servizio utile da prendere in considerazione, ai fini della permanenza in servizio prevista dall'art. 15, secondo e terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477, < deve intendersi comprensivo di tutti i servizi e periodi riscattati, computati e ricongiunti per il trattamento di quiescenza con provvedimento formale>; nonchè la legge 28 febbraio 1990, n. 37, che, nel convertire il decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, prevede (art. 1, comma quarto-quinquies) l'estensione ai dirigenti civili dello Stato delle disposizioni di cui ai citati artt. 15, secondo e terzo comma, della legge n. 477/73, e 10, sesto comma, del decreto legge n. 357/89, convertito dalla legge n. 417/89.

 

Tali recentissime disposizioni di legge denotano che il legislatore da un lato tende ad evitare il più possibile il verificarsi, per il personale scolastico, di ipotesi di mancato raggiungimento del diritto a pensione al compimento del sessantacinquesimo anno di età, e, dall'altro, mira ad estendere ad altre categorie le norme derogatorie dettate per tale personale.

 

Si è, pertanto, in presenza di una evoluzione legislativa tendente a quella più compiuta attuazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione auspicata da questa Corte nelle pronunzie sopra menzionate.

 

Ora, venendo più direttamente alla presente questione di costituzionalità, deve riconoscersi che la norma impugnata, limitatamente alla parte in cui esclude, per il personale ultrasessantacinquenne assunto dopo il 1° ottobre 1974, la facoltà del trattenimento in servizio fino al conseguimento del diritto alla pensione nella misura minima (e comunque non oltre il 70o anno di età), non risponde, nell'attuale quadro normativo, al precetto contenuto nel parametro costituzionale dianzi citato.

 

Invero, non può essere preclusa, senza violare l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, la possibilità, per il personale in questione che al compimento del °anno-e quale che sia la data di assunzione - non abbia ancora maturato il diritto a pensione, di derogare a tale limite per il collocamento a riposo, al solo scopo di completare il periodo minimo di servizio richiesto dalla legge per il conseguimento di tale diritto.

 

Resta con ciò assorbito il profilo di censura relativo all'art. 3 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477 (Delega al Governo per l'emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato), nella parte in cui non consente al personale assunto dopo il 1° ottobre 1974, che al compimento del 65° anno di età non abbia raggiunto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione, di rimanere in servizio su richiesta fino al conseguimento di tale anzianità minima (e comunque non oltre il 70° anno di età).

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/09/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Mauro FERRI, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 12/10/90.