Sentenza n. 364 del 1990

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SENTENZA N.364

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 16 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165 (Approvazione del testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica), e dell'art. 2 del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226 (Approvazione del nuovo statuto-tipo degli istituti autonomi per le case popolari), promosso con ordinanza emessa il 10 ottobre 1989 dal Tribunale di Torino nei procedimenti civili riuniti vertenti tra l'Istituto autonomo per le case popolari della provincia di Torino (I.A.C.P.) e l'Istituto bancario San Paolo di Torino, iscritta al n. 189 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visti gli atti di costituzione dell'I.A.C.P. e dell'Istituto bancario San Paolo di Torino nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 giugno 1990 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

uditi gli avv.ti Carlo Solari per l'I.A.C.P. e Claudio Dal Piaz e Paolo Vaiano per l'Istituto bancario San Paolo di Torino e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di alcuni giudizi - successivamente riuniti - di opposizione ad esecuzioni immobiliari introdotti dall'Istituto autonomo per le case Popolari della provincia di Torino (I.A.C.P.) nei confronti dell'Istituto bancario San Paolo di Torino (il quale aveva agito in forza di mutuo garantito da ipoteca), il, Tribunale di Torino, con ordinanza emessa il 10 ottobre 1989, ha sollevato, in relazione agli artt. 2, 3, 42, secondo comma, e 47, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 16 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165, nonchè dell'art. 2 del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226.

Premesse alcune considerazioni circa la natura di ente pubblico non economico dell'I.A.C.P., il giudice a quo richiama la normativa che prevede il ricorso di quest'ultimo al finanziamento privato per la costruzione degli alloggi e, in replica ad un'eccezione in tal senso sollevata dall'opponente, esclude in nuce la configurabilità di un diritto d'ipoteca senza facoltà di espropriazione.

Osserva peraltro il Tribunale che gli immobili dell'Istituto sono suscettibili di venir sottratti alla loro destinazione in attuazione della garanzia ipotecaria, in forza delle disposizioni impugnate che, appunto in caso di mutui garantiti ipotecariamente, consentono l'espropriabilità dei beni in argomento.

Con specifico riferimento alla posizione di quegli assegnatari che vantano il diritto al godimento dell'alloggio in vista della cessione in proprietà dello stesso, si rileva in ordinanza come questi soggetti vengano ad essere pregiudicati con riguardo al citato trasferimento di proprietà, allorchè l'I.A.C.P. sia inadempiente verso la banca che ha concesso il mutuo fondiario (ed essa proceda ad espropriare gli immobili ed a venderli a terzi aggiudicatari nei cui confronti potrà essere al massimo opposta la locazione).

Pertanto soggetti appartenenti "alle categorie economicamente e socialmente meno abbienti e più deboli" risulterebbero danneggiati dall'inadempimento dell'I.A.C.P., mentre la banca mutuante finirebbe per compromettere il pubblico servizio - rappresentato dall'attività istituzionale del debitore - con il rivalersi su beni patrimoniali indisponibili.

La denunciata normativa concreterebbe pertanto violazione: a) del principio costituzionale del favore all'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione; b) del diritto alla abitazione da considerarsi diritto inviolabile dell'uomo; c) del principio di uguaglianza sostanziale, sotto il profilo della rimozione dell'ostacolo (di ordine economico per il lavoratore-risparmiatore) posto all'accesso alla proprietà dell'abitazione dall'alto costo di mercato della stessa; d) del diritto di proprietà sotto il profilo della lesione del principio di rendere "accessibile a tutti" la proprietà privata di cui la disciplina dell'edilizia popolare risulta applicazione.

2.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, preliminarmente eccependo l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 2 del d.P.R. n. 226 del 1975, per la natura regolamentare del provvedimento.

Nel merito si conclude per l'infondatezza, rilevando come il legislatore abbia riconosciuto la preminenza del credito fondiario (che verrebbe reso inoperante ove si escludesse l'assoggettabilità ad esecuzione forzata degli alloggi costruiti con tale finanziamento) disponendo l'inapplicabilità delle norme sulla revocatoria fallimentare. Tale normativa (art. 67 della legge fallimentare) é uscita più volte indenne dall'esame di legittimità costituzionale di questa Corte e pertanto non sembrerebbe razionale vanificare tale forma prevalente (anche se non esclusiva) di finanziamento dell'I.A.C.P. in presenza di un inadempimento di quest'ultimo.

Diversamente opinando - osserva l'Avvocatura - "si favorirebbero la deresponsabilizzazione degli operatori creditizi e, in definitiva, forme di parassitismo da parte degli utenti degli alloggi".

3.- Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituite le parti private.

In particolare, l'I.A.C.P. ha rilevato come lo ius distrahendi rappresenti un modo - non espressamente previsto dalla normativa - di sottrazione dei beni dal patrimonio dell'Istituto diverso dall'assegnazione in proprietà (in via originaria o a seguito di trasformazione della locazione), con conseguente venir meno degli alloggi al servizio pubblico, onde se ne dovrebbe escludere nella specie la stessa configurabilità. Secondo la difesa dell'Istituto i creditori degli enti pubblici - potendo rivalersi sui beni disponibili e giovarsi del giudizio di ottemperanza - godrebbero di una tutela non inferiore, ma soltanto di segno diverso rispetto ai creditori dei soggetti privati.

Da parte sua, l'Istituto bancario San Paolo di Torino ha concluso per la declaratoria d'infondatezza, ovvero d'inammissibilità della questione. Sotto il primo profilo, la parte osserva come il giudice a quo muova dall'erronea premessa secondo cui le assegnazioni degli alloggi di edilizia popolare sarebbero finalizzate alla cessione in proprietà Laddove l'assegnazione in parola non é più prevista dalla normativa). Inoltre le disposizioni che consentono all'I.A.C.P. di contrarre mutui con ipoteca volontaria integrerebbero appunto un'ipotesi legislativa di sottrazione dei beni dal patrimonio indisponibile ex art. 828, ultimo comma, del codice civile.

Gli assegnatari, d'altro canto, vanterebbero esclusivamente un interesse legittimo alla gestione ed all'organizzazione dell'I.A.C.P.

Considerato in diritto

1. -Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 10 ottobre 1989 (R.O. n. 189 del 1990), emessa nei procedimenti riuniti vertenti tra Istituto autonomo per le case popolari della Provincia di Torino e Istituto bancario San Paolo di Torino, solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 42, secondo comma, e 47, secondo comma, della Costituzione, degli artt. 1 e 16 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165 (Approvazione del testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica) e dell'art. 2 del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226 (Approvazione del nuovo statuto-tipo degli istituti autonomi per le case popolari).

2.- Il contenuto dispositivo del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226 (modulo di statuto-tipo destinato a riversarsi nei singoli statuti degli Istituti autonomi per le case popolari di ciascuna provincia), nonchè il procedimento di formazione di tale atto normativo ne evidenziano l'indubbia natura regolamentare. Mancano quindi i presupposti per un diretto controllo della legittimità costituzionale dell'impugnato art. 2.

L'accoglimento dell'eccezione d'inammissibilità, tuttavia, atteso il rapporto che lega la fonte secondaria e la normativa che ne prevede contenuto e finalità (testo unico sull'edilizia popolare ed economica) non limita -come già in altre occasioni affermato da questa Corte: cfr. sentenze n. 504 e n. 1104 del 1988 - l'osservazione sull'oggetto della questione sollevata.

Quest'ultima è dal giudice a quo globalmente prospettata con riguardo ad uno di quei possibili modi di finanziamento dell'edilizia in argomento che è il mutuo con garanzia ipotecaria, essendosi correttamente esclusa l'astratta configurabilità di un'ipoteca priva di ius distrahendi.

3. - La questione è peraltro inammissibile anche rispetto agli artt. 1 e 16 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165.

Gli articoli in esame elencano semplicemente enti, mutuanti e mutuatari, facultati a concedere o a contrarre prestiti per la costruzione o l'acquisto di case popolari od economiche.

Argomenta il Tribunale rimettente: a) in base alla impugnata normativa, gli Istituti autonomi per le case popolari sono ammessi al finanziamento da parte degli Istituti di credito fondiario, i quali, ai sensi dell'art. 2 del d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, possono concedere mutui garantiti da ipoteca di primo grado su immobili; b) l'art. 2808 del codice civile attribuisce al creditore ipotecario il diritto di espropriare i beni vincolati a garanzia del suo credito; c) il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, in quanto destinato al pubblico servizio dell'edilizia residenziale, è indisponibile e pertanto, per il combinato disposto degli artt. 828 e 830, secondo comma, del codice civile, non può essere sottratto alla sua destinazione all'infuori dei modi stabiliti dalle leggi, uno dei quali è individuabile nella espropriazione forzata da garanzia ipotecaria; d) nell'ipotesi di espropriazione per l'assegnatario di alloggio in locazione con patto di futura vendita, verrebbe meno l'aspettativa della cessione in proprietà dell'immobile, e risulterebbero perciò violati i seguenti parametri costituzionali: art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, tra i quali è da ricomprendersi il diritto all'abitazione; art. 3, primo comma, per la disparità di trattamento tra gli assegnatari di alloggi espropriati e gli altri assegnatari; art. 3, secondo comma, circa la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto libertà ed eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana; art. 42, secondo comma, che riconosce e garantisce la proprietà privata; art. 47, secondo comma, che favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione.

Tutte le argomentazioni, convergendo in quella sub d), sono superate dalla considerazione che l'art. 27 della legge 8 agosto 1977, n. 513, abrogando ogni precedente normativa in tema di trasferimento in proprietà degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, rende inattuale l'ipotesi, peraltro irrilevante nel giudizio a quo, di lesione della sfera giuridica dell'assegnatario, con conseguente vanificazione delle prospettate violazioni dei parametri costituzionali.

Il petitum del giudice a quo mira ad ottenere una pronuncia che, dichiarando la illegittimità costituzionale delle norme denunziate, conduca ad escludere l'espropriazione forzata sugli immobili degli Istituti autonomi per le case popolari a garanzia dei mutui ottenuti dagli Istituti di credito fondiario. Bilanciare gli interessi contrapposti della tutela del credito degli Enti finanziatori e della preservazione del patrimonio degli Istituti che assicurano il servizio della edilizia residenziale pubblica è compito riservato alle scelte discrezionali del legislatore: pertanto la questione sollevata è inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 16 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165 (Approvazione del testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica) e dell'art. 2 del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226 (Approvazione del nuovo statuto-tipo degli istituti autonomi per le case popolari), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 42, secondo comma, e 47, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Torino, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco Paolo CASAVOLA, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 24/07/90.